L’epidemia di Covid-19 rappresenta una formidabile prova-di-concetto del rapporto tra scienza e tecnologia. Non c’è dubbio che questo rapporto è risultato largamente virtuoso, se pensiamo alla insospettata velocità con cui abbiamo ottenuto una serie di vaccini contro il SARS-CoV-2 efficaci e sicuri. Questo risultato si deve, in larga misura, alle regole e ai controlli imposti dalle due agenzie regolatorie, che hanno vigilato prima di approvare i vaccini per l’uso umano. Ma cosa accade nei paesi non compiutamente democratici, ancorché tecnologicamente avanzati, come la Russia o la Cina? I due vaccini sviluppati in Cina da Sinovac e Sinopharm si sono rilevati molto meno efficaci dei quattro autorizzati da EMA e FDA, mentre lo Sputnik V sviluppato in Russia non è ancora stato approvato in numerosi paesi perché manca la documentazione necessaria a valutarne sicurezza ed efficacia. Tutto questo ci fa riflettere sulla straordinaria importanza della nostra “bioetica”, termine coniato per la prima volta nel 1970 dall’oncologo americano Van Reasselaer Potter, e da lui definita come “una scienza della sopravvivenza che ha la capacità di coniugare conoscenze biologiche e valori umani”, e che deriva primariamente dai concetti morali della filosofia occidentale. Ma, attenzione! L’equilibrio tra modulo tecnologia/economia e bioetica può essere molto fragile anche nei nostri paesi occidentali e può facilmente saltare.
Nell'immagine fiale del vaccino Sputnik V sviluppato dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica Gamaleja di Mosca prodotte nello stabilimento della società Biocad a Sanpietroburgo. Credit: IMF/Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.