fbpx November 2025 | Scienza in rete

November 2025

Regime shift: quando i sistemi naturali perdono equilibrio

elaborazione grafica della rappresentazione di AMOC

L’immissione di grandi quantità di acqua dolce negli oceani può spingere l’AMOC verso un potenziale regime shift, alterando uno dei principali motori climatici del pianeta. Un nuovo studio mostra perché questa circolazione è vulnerabile e quali segnali indicano un possibile punto di non ritorno: ne parliamo con Riccardo Farneti, ricercatore all’ICTP di Trieste.

Immagine di copertina: elaborazione grafica della mappa topografica dei mari del Nord e dei bacini subpolari con le correnti di superficie e di profondità. Crediti: R. Curry, Woods Hole Oceanographic Institution/Science/USGCRP, licenza: CC BY 3.0

Un recente studio pubblicato su Earth System Dynamics da Marcel Boot e Henk Dijkstra mostra come l’immissione di acqua dolce negli oceani Indiano e Atlantico possa alterare la Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC). È una dinamica che rappresenta un potenziale regime shift: un rapido passaggio da uno stato climatico stabile a uno nuovo, più povero e incerto. Ne parliamo Riccardo Farneti, ricercatore all’ICTP di Trieste ed esperto di modellistica oceanica.

La voce della criosfera alla COP30

La COP della verità scientifica - e politica -  si è conclusa con pochi strumenti di mitigazione e adattamento. Tutto questo mentre la criosfera è sempre più vicina al punto di non ritorno: ne parliamo con Florence Colleoni, glaciologa e paleoclimatologa, che ha partecipato alla COP30 a Belem.

La COP30 di Belém, appena conclusa piuttosto ingloriosamente, coincideva con il decennale dell’Accordo di Parigi e rappresentava anche la scadenza per la presentazione dei nuovi impegni nazionali (NDC), pilastro per l’attuazione globale dell’accordo, con l'obiettivo di mantenere il riscaldamento climatico entro +1,5°C.

Nel tunnel della cattiva prevenzione

persone in macchinario TAC

Il libro di Roberta Villa "Cattiva prevenzione" (Chiarelettere, 2025) affronta il lato oscuro di una medicina altrimenti fondamentale e salvavita. Dagli screening utili e inutili, anzi pericolosi, ai popolarissimi check-up, alla affascinante ma insidiosa medicina predittiva, l'autrice fa il controcanto alla cultura tanto in voga della ricerca della longevità e l'accanito controllo e miglioramento dei sani, il cui mercato sta rubando spazio e centralità alla sanità pubblica, orientata all'appropriatezza scientifica e sociale. Il libro ha la prefazione di Silvio Garattini ed è dedicato a Roberto Satolli, la cui domanda ricorrente ("chi ci guadagna?") fa da bussola al saggio.

È successo anche a David Cameron, di cui ci si ricorda più che altro per avere autorizzato il referendum sulla Brexit: dopo il test del PSA e ulteriori accertamenti, il politico britannico ha ricevuto diagnosi di tumore maligno ed è stato quindi sottoposto a una terapia focale che l'ha eliminato pare senza spiacevoli conseguenze. Cameron ha quindi deciso di sensibilizzare i coetanei, poco inclini a preoccuparsi della loro salute, a farsi controllare di più e a tenere d’occhio possibili sintomi.

Sì, l’educazione sessuale contribuisce a prevenire la violenza contro le donne

Ragazza che tiene un cartello con su scritto "Silence=Violence"

Il “paradosso nordico”, richiamato dalla ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella, per cui in Svezia, con tutta l’educazione sessuale che si fa da sempre, ci sono più femminicidi che in Italia è una vecchia tesi che confronta aspetti non paragonabili. Quando si analizzano con la metodologia corretta i risultati, ripuliti dalle variabili sociali ed economiche, e prima e dopo un intervento educativo le differenze positive degli interventi a favore della parità di genere emergono chiaramente. Crediti immagine: Sacha Verheij/Unsplash

«Non c’è correlazione tra l’educazione sessuale a scuola e una diminuzione di violenze contro le donne. Lo vediamo nei Paesi dove da molti anni (l’educazione sessuale a scuola) è un fatto assodato, come per esempio la Svezia. La Svezia ha più violenze e femminicidi di noi».

Fare la TAC ai Campi Flegrei, e poi la diagnosi

Immagine della solfatara di Pozzuoli

Sfruttando le migliaia di terremoti registrati negli ultimi anni, i ricercatori hanno ottenuto un’immagine tridimensionale ad alta risoluzione della caldera vulcanica e attribuito la responsabilità del bradisismo a un ampio sistema geotermale ricco di gas e liquidi e riscaldato dal magma presente in profondità. Questo secondo gli autori suggerisce la necessità di considerare le esplosioni freatiche nei piani di gestione del rischio. Nell'immagine la Solfatara di Pozzuoli. Credit: Norbert Nagel/Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

Immaginate di tagliare i Campi Flegrei con un piano verticale in direzione nord-sud che attraversa il centro di Pozzuoli, cioè il punto dove si registra il massimo sollevamento del suolo e si concentrano i terremoti più forti.

COP 30: ancora silenzio sui combustibili fossili

La conferenza di Belém finisce con qualche piccolo passo avanti ma mancando gli obiettivi centrali della progressiva messa al bando delle fonti fossili e di una tabella di marcia per rendere operative le azioni di contrasto alla deforestazione. Arrivano più soldi per l'adattamento, ma pochi impegni aggiuntivi dal mondo della finanza. In un modo spaccato più che mai in due non si poteva probabilmente fare di più. L'Europa si conferma al centro della transizione, ma da sola non basta.

Si è chiusa la COP 30, come previsto senza menzionare nel testo finale (il global mutirāo)  la fine programmata dei combustibili fossili. Se ne tornerà a parlare nel 2026 in un incontro per non lasciare cadere nel dimenticatoio l’obiettivo più importante. Magra soddisfazione. Nemmeno c'è stata chiarezza sull'obiettivo altrettanto impegnativo di fermare la deforestazione. 

“Non è vero che all’INFN non c’è precariato”. I precari INFN rispondono alle dichiarazioni del presidente Zoccoli

Foto dall'alto dell'INFN

Il gruppo Precari Uniti INFN risponde alle recenti dichiarazioni del presidente dell'Istituto, che nega l'esistenza di un problema di precarietà. Secondo il gruppo, l’INFN è un’eccellenza scientifica italiana riconosciuta a livello mondiale, ma si regge sul lavoro di centinaia di precari. Negare questa evidenza, affermano, o interpretare erroneamente le norme di stabilizzazione, significa tradire lo spirito stesso della legge Madia, nata per valorizzare chi ha contribuito alla ricerca pubblica per anni senza tutele e ignorare il riconoscimento del valore e del merito delle carriere del personale precario che lavora nell’INFN.

In merito alle dichiarazioni rilasciate dal presidente dell’INFN Antonio Zoccoli sui media, riteniamo necessario chiarire alcuni punti che, nella loro formulazione, risultano inesatti o fuorvianti rispetto alla realtà del lavoro precario all’interno dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

PRIN: perché la dotazione di 150 milioni non regge il peso dei costi 

La dotazione di 150 milioni di euro annui destinata ai Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) non rappresenta,  purtroppo, come da dichiarazione della ministra Bernini, un “risultato straordinario”. Pur riconoscendo il valore della programmazione e della continuità dei bandi, gli autori sottolineano che la cifra è insufficiente rispetto alle reali esigenze della ricerca, soprattutto alla luce dell’assenza di finanziamenti per tre anni e dell’aumento significativo dei costi per reagenti, strumentazioni e personale. 

La ministra dell’Università e della Ricerca, On.

Appello per l’autonomia, il finanziamento e la dignità dell’università e della ricerca

L’Università e la Ricerca italiane stanno attraversando un momento cruciale. Dopo anni di sottofinanziamento strutturale e di crescente burocratizzazione, e dopo il diluvio effimero dei finanziamenti PNRR, si profila oggi il rischio di un ulteriore arretramento: un sistema sempre più centralizzato, meno libero, meno capace di produrre sapere critico e innovazione.