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L'uomo vitruviano di Giacomo Andrea da Ferrara

Come ricordano nel loro libro “Leonardo scienziato” (Hoepli, 2019) le due giornaliste scientifiche Enrica Battifoglia ed Elisa Buson, il primo modello di un uomo iscritto in un cerchio e in un quadrato lo compose Giacomo Andrea da Ferrara, grande amico di Leonardo, decapitato il 12 maggio 1500 per le sue attività anti francesi, che un anno prima si erano impadroniti del Ducato di Milano facendo scappare Ludovico il Moro e tutta la corte degli Sforza, Leonardo compreso. Certo il disegno di Giacomo non è paragonabile a quello di Leonardo da Vinci, l’uomo è abbozzato e ha un po’ la postura di un Cristo in croce. Ci pensò Leonardo a trasformarlo nell’emblema dell’antropocentrismo rinascimentale. Crediti: Giacomo Andrea Da Ferrara, Biblioteca Ariostea, Ferrara (Cart. Sec. XVI, Fol. Figurato, Classe II, N. 176, Fol 78V).

L’Uomo vitruviano, conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, è un disegno a matita e inchiostro su carta tracciato nel 1490 che raffigura le proporzioni ideali del corpo umano, armoniosamente inscritto nelle due figure perfette del cerchio, che simboleggia il cielo, e del quadrato, che rappresenta la Terra. Un ponte tra umano e divino, dunque, il simbolo dell’ideale rinascimentale che vede nell’uomo la misura di tutte le cose e il centro del Creato.

Un ritratto genetico degli italiani

Il nostro Paese è stato e continua a essere un crocevia di spostamenti e migrazioni che ha favorito il contatto tra i popoli. E questo, a sua volta, ha plasmato il nostro patrimonio genetico: ma allora, chi sono davvero gli italiani? Il più grande studio di genetica della popolazione italiana, recentemente pubblicato su Science Advances, ne analizza in maniera sistematica la distribuzione della variazione genetica, rivelandone l'incredibile eterogeneità. La ricerca ha anche messo in luce la presenza di un contributo genetico mai evidenziato prima, frutto di un processo di espansione delle popolazioni dal Caucaso all'Italia circa 4.000 anni fa, e il maggior contributo di DNA neandertaliano nel nord della penisola. Questo viaggio nella storia dei nostri geni racconta chi siamo: un cocktail genetico e culturale in continua evoluzione. (Crediti: mappa dell'Europa colorata con il primo fingerprinting genetico introdotto da Alec Jeffreys nel 1984 © Science Museum / SSPL)

Il nostro Paese è stato e continua a essere, un crocevia di spostamenti e migrazioni che ha favorito il contatto tra i popoli. E questo, a sua volta, ha plasmato il nostro patrimonio genetico: ma allora, chi sono davvero gli italiani? Il più grande studio di genetica della popolazione italiana, recentemente pubblicato su Science Advances, ne analizza in maniera sistematica la distribuzione della variazione genetica, rivelandone l'incredibile eterogeneità. La ricerca ha anche messo in luce la presenza di un contributo genetico mai evidenziato prima, frutto di un processo di espansione delle popolazioni dal Caucaso all'Italia circa 4.000 anni fa, e il maggior contributo di DNA neandertaliano nel nord della penisola. Questo viaggio nella storia dei nostri geni racconta chi siamo: un cocktail genetico e culturale in continua evoluzione

La classifica è vera gloria?

Il dibattito su come debba essere valutata la ricerca si incendia quando si invoca il criterio bibliometrico. Nonostante le classifiche in base alle citazioni vengano criticate e messe in discussione, ogni qualvolta viene diffuso un nuovo ranking, parte la caccia ai vincitori. È accaduto anche per l'ultima ricerca pubblicata da John Ioannidis, che ha presentato un algoritmo per liberare le classifiche dalle autocitazioni e restituire una fotografia più aderente alla realtà. Al di là dei nomi dei singoli ricercatori, l'Italia come ne esce?

L’Imperial College dichiara che 

“no longer considers journal-based metrics, such as journal impact factors, in decisions on the hiring and promotion of academic staff."

La Sala delle Asse svelata dal laser

La mostra “Leonardo mai visto” al Castello Sforzesco di Milano consente di apprezzare il restauro, ancora in corso, del secondo capolavoro di pittura murale di Leonardo da Vinci dopo il Cenacolo. Un restauro esemplare, che ha portato inaspettatamente alla luce nuove decorazioni e abbozzi grazie anche all’impiego del laser. Nella foto: “Sotto l’ombra del Moro. La Sala delle Asse” Rendering proiezione multimediale Progetto di Culturanuova s.r.l. - Massimo Chimenti.

La mostra “Leonardo mai visto” al Castello Sforzesco di Milano consente di apprezzare il restauro, ancora in corso, del secondo capolavoro di pittura murale di Leonardo dopo il Cenacolo. Un restauro esemplare, che ha portato inaspettatamente alla luce anche nuove decorazioni e abbozzi grazie anche all’impiego del laser.

Le notizie di scienza della settimana #109

Ma l’hamburger fa male o no? Secondo una serie di studi pubblicati su Annals of Internal Medicine dal gruppo di ricercatori NutriRECS, la carne rossa esporrebbe a un rischio trascurabile di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Quindi via libera, almeno per gli adulti, al consumo di bistecche e hamburger secondo le abitudini americane di tre porzioni alla settimana. La notizia ha fatto il giro del mondo anche perché sembra voler contrastare le linee guida nutrizionali più accreditate, che invece invitano a ridurre il consumo di carne rossa per motivi sia sanitari sia ambientali. Non sono ovviamente mancate le critiche e le reazioni delle più importanti società scientifiche del mondo, dall'American Heart Association al World Cancer Research Fund, fino all'organismo OMS per la studio del cancro, lo IARC di Lione, che nel 2015 aveva classificato la carne rossa lavorata come cancerogena. Chi ha ragione? E quali sono i possibili conflitti d'interesse in gioco? Leggi l’articolo di Scienza in rete per i dettagli

Cronache della ricerca

Ma l’hamburger fa male o no?

Secondo una serie di studi pubblicati su Annals of Internal Medicine dal gruppo di ricercatori NutriRECS, la carne rossa presenterebbero un rischio trascurabile di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Quindi via libera, almeno per gli adulti, al consumo di bistecche e hamburger secondo le abitudini americane di tre porzioni alla settimana. La notizia ha fatto il giro del mondo anche perché sembra voler contrastare le linee guida nutrizionali più accreditate, che invece invitano a ridurre il consumo di carne rossa, per motivi sia sanitari sia ambientali. Non sono ovviamente mancate le critiche e le reazioni delle più importanti società scientifiche del mondo, dall'American Heart Association al World Cancer Research Fund, fino all'organismo OMS per la studio del cancro, lo IARC di Lione, che nel 2015 aveva classificato la carne rossa lavorata come cancerogena. Chi ha ragione? E quali i possibili conflitti d'interesse in gioco? (Nella foto, l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini addenta un hamburger, dal suo profilo Istagram).

Ovviamente i media ci si sono buttati a pesce, per così dire. Secondo una serie di studi pubblicati su Annals of Internal Medicine la carne processata (tipo hamburger) o non processata (tipo bistecca), presenterebbero solo un rischio minimo, se non trascurabile, di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Peraltro, continuano i ricercatori, le prove esaminate sono di qualità molto debole, perché provenienti in gran parte da studi osservazionali e con molti confondenti (tipo le patatine che si mangiano con l’hamburger).

Appello per la Città della Scienza

Il 18 settembre scorso l’Assemblea dei Soci della Fondazione IDIS-Città della Scienza di Napoli, su indicazione del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha nominato il nuovo Presidente e i due componenti del nuovo Consiglio di Amministrazione. Si tratta di tre persone che hanno svolto attività politica a lungo e di recente – insomma, di tre politici – che non hanno alcune esperienza nella comunicazione della scienza.
Non discutiamo, in ogni caso, le capacità dei singoli. Ciò che lascia fortemente perplessi è il metodo con cui è avvenuta la designazione. 

Ghiacci e oceani: ecco cosa dice il rapporto IPCC

Il rapporto speciale dell'IPCC su oceani e ghiacci (Special Report on the Ocean and Criosphere in a Changing Climate) è frutto di un lavoro gigantesco compiuto da 107 scienziati che hanno considerato 6.981 pubblicazioni e 31.176 commenti provenienti da revisori e governi di 80 paesi. Rispetto ai precedenti rapporti IPCC aumenta il livello di certezza sugli effetti che subiranno gli oceani in base agli scenari emissivi. Trova così una conferma la proiezione al 2100 della riduzione di un terzo del ghiaccio mondiale, di quasi tutto il ghiaccio alpino, e dell'innalzamento del livello del mare fino a 1 metro se le emissioni continuassero al ritmo attuale.  Oltre agli aspetti naturali ed ecologici, il rapporto considera gli impatti su pesca, turismo, economia, salute, cultura e credenze locali. Ecco una guida ragionata al monumentale rapporto basata sulla sintesi di Carbon Brief.

Il rapporto speciale dell'IPCC su oceani e ghiacci (Special Report on the Ocean and Criosphere in a Changing Climate) è frutto di un lavoro gigantesco compiuto da 107 scienziati che hanno considerato 6.981 pubblicazioni e 31.176 commenti provenienti da revisori e governi di 80 paesi. Rispetto ai precedenti rapporti IPCC aumenta il livello di certezza sugli effetti che subiranno gli oceani in base agli scenari emissivi. Trova così una conferma la proiezione al 2100 della riduzione di un terzo del ghiaccio mondiale, di quasi tutto il ghiaccio alpino, e dell'innalzamento del livello del mare fino a 1 metro se le emissioni contuassero al ritmo attuale.  Oltre agli aspetti naturali ed ecologici, il rapporto considera gli impatti su pesca, turismo, economia, salute, cultura e credenze locali. Ecco una guida ragionata al monumentale rapporto basata sulla sintesi di Carbon Brief.

Teoria della mente per le grandi scimmie

La teoria della mente presuppone la capacità di attribuire ad altri individui pensieri e conoscenze. Nonostante decenni di ricerche al riguardo, non è ancora chiaro se possa essere attribuita anche ad animali non umani. Un nuovo studio pubblicato da PNAS supporta l'ipotesi che sia presente nelle grandi scimmie (bonobo, scimpanzé e oranghi), che sono in grado di fare inferenze dalla propria esperienza per capire come si comporterà un altro individuo. Crediti: Susanne Jutzeler, suju-foto/Pixabay. Licenza: Pixabay License

La teoria della mente presuppone la capacità di attribuire ad altri individui pensieri e conoscenze. Nonostante decenni di ricerche al riguardo, non è ancora chiaro se possa essere attribuita anche ad animali non umani. Un nuovo studio pubblicato da PNAS supporta l'ipotesi che sia presente nelle grandi scimmie (bonobo, scimpanzé e oranghi), che sono in grado di fare inferenze dalla propria esperienza per capire come si comporterà un altro individuo. 

Pseudoscienza tra basi cognitive e modernità

Avvallare le pseudoscienze ha portato effetti negativi sia in termini di politiche sanitarie e ambientali sia in termini di perdita di credibilità delle istituzioni. Ma per contrastarle bisogna capirne le origini quando, secoli fa, le nostre disposizioni cognitive si sono orientate verso le false credenze, facendo sì che la nostra specie acquisisse bias e false credenze. A metterle sotto controllo sono stati l'uso e la diffusione del pensiero controfattuale e del metodo scientifico, che dipendono da specifici processi di giudizio, che non raggiungono spontaneamente la qualità critica necessaria per capire e navigare nella modernità. È quindi necessario esercitare uno sforzo per poter acquisire il pensiero critico. E non funziona prendersela con le persone, perché il contravveleno è l’educazione al metodo scientifico, un faticoso ma necessario addestramento al pensiero critico. Gliberto Corbellini, autore di “Nel paese della pseudoscienza” (Feltrinelli editore, 2019), ripercorre le basi cognitive che sottendono la tendenza a credere alla pseudoscienza e il percorso che consente di superarli. (Nell'immagine, una mappa frenologica della fine dell'Ottocento. Crediti: Wikimedia Commons. Licenza: pubblico dominio)

Avvallare le pseudoscienze ha portato effetti negativi sia in termini di politiche sanitarie e ambientali sia in termini di perdita di credibilità delle istituzioni. Ma per contrastarle bisogna capirle le origini quando, secoli fa, le nostre disposizioni cognitive si sono orientate verso le false credenze, facendo sì che la nostra specie acquisisse bias e false credenze. A metterle sotto controllo sono stati l'uso e la diffuzione del pensiero controfattuale e del metodo scientifico, che dipendono da specifici processi di giudizio, che non raggiungono spontaneamente la qualità critica necessaria per capire e navigare nella modernità. È quindi necessario esercitare uno sforzo per poter acquisire il pensiero critico. E non funziona prendersela con le persone, perché il contravveleno è l’educazione al metodo scientifico, un faticoso ma necessario addestramento al pensiero critico. E’ la tesi del nuovo libro di Gilberto Corbellini, Nel paese della pseudoscienza (Feltrinelli, 2019) che legge la tendenza all’ignoranza e alla credulità umana con le lenti  naturalistiche del cognitivismo.

Gliberto Corbellini, autore di “Nel paese della pseudoscienza” (Feltrinelli editore), ripercorre le basi cognitive che sottendono la tendenza a credere alla pseudoscienza e il percorso che consente di superarli