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Quanti equivoci sulla sperimentazione animale!

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Gli argomenti degli animalisti contrari alla sperimentazione animali usano essenzialmente tre argomenti: a) la sperimentazione animale non serve, b) gli animali con cui i ricercatori lavorano soffrono molto, c) ci sono metodi alternativi alla ricerca biomedica che non richiedono l’uso di animali. Giacomo Rizzolatti risponde a ciascuno di essi. Pubblichiamo qui il suo editoriale apparso il 4 febbraio sulla Gazzetta di Parma.
Crediti immagine: Rama/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 2.0 France

Esistono persone che credono che la terra sia piatta, altri che sia imminente un’invasione di alieni, altri che la sperimentazione animale non serva. Le prime due categorie di “terrapiattisti” sono delle brave, ingenue persone. La terza categoria no. Gli appartenenti a questa categoria si sentono giustificati dalla loro ideologia a compiere atti di violenza. Ecco un estratto della lettera che ha ricevuto Marco Tamietto, professore dell'Università di Torino, per una ricerca sui primati da condursi a Parma con Luca Bonini: “Bastardo assassino Tamietto, colpiremo duro te o la tua famiglia”. Per chiarire il concetto alla lettera è stata acclusa una pallottola.

Gli argomenti degli animalisti contro la ricerca biomedica si basano sulla loro ignoranza di cosa sia la ricerca sugli animali e soprattutto su una loro presunta bontà e sensibilità. È questa che spesso li porta al fanatismo e alla violenza. Gli argomenti che gli animalisti usano sono essenzialmente tre: a) la sperimentazione animale non serve, b) gli animali con cui i ricercatori lavorano soffrono molto, c) ci sono metodi alternativi alla ricerca biomedica che non richiedono l’uso di animali.

I progressi medici

La risposta al primo argomento è semplice: basta esaminare i progressi medici ottenuti grazie alla sperimentazione animale. Copio da un elenco (molto parziale), ma ufficiale dell’American Medical Association. Mi limito alle scoperte degli ultimi decenni: scoperta del fattore RH (sta per macaco rhesus) del sangue; trattamento della lebbra, trattamento dell’artrite reumatoide; profilassi della poliomielite; profilassi della difterite; chirurgia a cuore aperto e pace-maker cardiaco; chemioterapia anti-tumorale; uso terapeutico del cortisone; trattamento dell’insufficienza coronarica; trapianto di cuore; trapianto della cornea; scoperta di farmaci antidolorifici senza assuefazione; utilizzo della ciclosporina e altri farmaci anti-rigetto; trapianto di cuore artificiale; anticorpi monoclonali per la terapia di varie patologie.

A questo vanno aggiunti i progressi in clinica veterinaria, che qui non cito per ragioni di spazio (Scienza in rete ne ha citati alcuni qui). Impressionante! Ma questo è solo la punta dell’iceberg. Manca l’aspetto più importante della ricerca biomedica: le scoperte di base, le scoperte che permettono di conoscere i meccanismi che regolano la nostra vita, e che rappresentano l’humus da cui derivano le scoperte che successivamente diventano di rilevanza clinica. Da questo humus è nata, ad esempio, la scoperta delle cellule staminali, la cura chirurgica del Parkinson e quella dell’epilessia farmaco-resistente, di cui in Italia siamo all’avanguardia. Questi progressi sono il risultato di molteplici esperimenti su primati condotti in tutto il mondo.

Il dolore

La risposta al secondo argomento è data da Rita Levi Montalcini. Nella prefazione alla traduzione italiana del “Libro Bianco” sull’uso degli animali nella ricerca scientifica dell’American Medical Association, Montalcini scrive: “Il 94% degli animali sottoposti a sperimentazione non sono esposti a sofferenza o questa è ridotta ai minimi termini in base a farmaci che leniscono il dolore. Rimane circa il 6% sottoposto a trattamenti che provocano dolore perché lo scopo degli esperimenti è di produrre farmaci che leniscono la sofferenza. Ogni procedimento che la mitigasse ne vanificherebbe lo scopo”. I dati che riporta Levi Montalcini non sono dati inventati, ma dati statistici ufficiali.

Facciamo ora un esempio sul dolore nell’uomo, considerando tecniche ricavate da esperimenti sulle scimmie e che ora si usano sull’uomo. Immaginiamo che un animalista si ammali di Parkinson. Si sentirà goffo nei movimenti, lento nell’iniziarli, lento nel parlare; poi andrà sempre peggio. Mettiamo che nel suo caso i farmaci anti-parkisoniani giovino solo per poco tempo, come purtroppo in genere avviene. Andrà allora in un centro di chirurgia stereotassica e qui, sorpresa, verrà trattato esattamente come si trattano le scimmie negli esperimenti di neuroscienze. Subirà un piccolo intervento chirurgico in anestesia e poi senza anestesia gli verrà mosso un elettrodo dentro il cervello. Non sentirà dolore (nel cervello non ci sono recettori dolorifici) e parlerà col chirurgo. Poi, quando il chirurgo troverà un particolare centro nervoso, questo sarò stimolato e il paziente guarirà. Tornerà al suo lavoro e (speriamo) non dirà più sciocchezze sulla sperimentazione animale.

Modelli alternativi

Questo argomento era di attualità anni fa. Oggi nel modulario per ottenere fondi europei bisogna rispondere a questo punto. Personalmente, ho collaborato per anni con Michael Arbib, matematico, allievo dei grandi cibernetici del MIT di Boston e tra i maggiori “modellisti” al mondo del sistema nervoso. Michael, che verrà tra poco a Parma per Parma 2020, non ha mai “inventato” modelli del sistema nervoso, ma ha sempre chiesto i nostri dati e quelli di altri, tratti da veri esperimenti, per i suoi modelli.

L’uso di metodi statistici e di modelli matematici da anni aiuta la ricerca biomedica. Non c’è qui niente di alternativo. I fondi dell’European Research Council (ERC) sono personali. Il vincitore di un grant ERC (vari milioni di euro), può scegliere l’università nella quale condurre la sua ricerca. La proposta di Tamietto è partita dal Dipartimento di Psicologia di Oxford su un tema molto studiato in quella università: la “visione inconscia”, una rara sindrome clinica chiamata in inglese blind sight. Ha scelto i laboratori di Torino e Parma per capire i meccanismi alla base di questa sindrome.

Ora gli animalisti, urlando nelle nostre piazze, fanno di tutto perché torni a Oxford o in un altro centro europeo. Così i vantaggi scientifici ed economici di un prestigioso premio dato a ricercatori italiani lo godranno ricercatori di altri Paesi europei. Ma che geni quelli della LAV!

 


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