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Sperimentazione animale, i benefici per gli animali non umani

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Tempo di lettura: 6 mins

Un aspetto che spesso non emerge nel dibattito sulla sperimentazione animale è quello relativo alle ricadute benefiche che tale sperimentazione può avere sugli animali stessi. In questo articolo ne raccogliamo alcuni: dai farmaci a uso veterinario a quelli che, nati per la medicina umana (su cui si concentra la maggior parte degli sforzi della ricerca), oggi sono impiegati per la cura e la terapia degli animali non umani, fino agli esempi di come la sperimentazione consenta anche alcune strategia di conservazione per gli animali a rischio. Naturalmente, tali esempi non sono un motivo per non investire sullo sviluppo di nuovi metodi, ma vogliono rappresentare uno spunto di riflessione nell'analisi costi-benefici che la sperimentazione animale, un argomento complesso in cui s'intrecciano etica, economia e politica, porta con sé.
Crediti immagine: J C/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Parlare di sperimentazione animale significa parlare di un argomento davvero complesso. Chiama in causa aspetti etici, economici e politici intersecati tra loro, che influenzano fortemente la ricerca scientifica e, di conseguenza, il benessere dell'essere umano. Ma solo di quest'ultimo? Nel dibattito sulla sperimentazione animale che si ritrova tanto spesso nella cronaca, un aspetto a volte trascurato è che, nell'analisi costi-benefici, tra i benefici può rientrare anche, in alcuni casi, lo sviluppo di farmaci (e non solo) a uso veterinario. Sia perché gli stessi farmaci sviluppati appositamente per gli animali hanno richiesto la sperimentazione, sia perché anche farmaci o metodologie o ancora strumenti messi a punto per la nostra specie possono essere impiegati anche per altri animali.

Anche la ricerca in veterinaria impiega gli animali: l'esempio dei vaccini

Chi ha un pet in casa sa che dovrebbe essere vaccinato. E i vaccini (come altri farmaci) che usiamo per proteggere la salute dei nostri pet non sarebbero disponibili se non fossero stati messi a punto su altri animali. Prendiamo, solo per fare un esempio, il cimurro, una malattia virale che colpisce il cane e altre specie, dolorosa e spesso mortale, soprattutto nei cuccioli. Il vaccino, oggi ampiamente ed efficacemente usato per prevenire l'infezione, è stato sviluppato negli anni Venti del secolo scorso, come ricorda un articolo pubblicato sul British Jounal for the History of Science nel 2014, innanzitutto grazie alla sperimentazione sui cani, che ha permesso in primis d'identificare l'agente patogeno, e quindi sui furetti, sui quali sono continuate le ricerche e da cui si prelevava il virus vivo usato per il secondo inoculo del vaccino, necessario per rafforzare la risposta immunitaria.

Storia simile, di una sessantina d'anni successiva, ha il vaccino contro la rabbia, messo a punto sui cani negli anni Ottanta. Ancora più di recente, sono stati sviluppati vaccini per la leishmaniosi canina, endemica in Italia ed in Europa, importanti sia per la salute del cane sia, dal momento che il cane è il reservoir, per quella dell'essere umano, soprattutto nelle aree in cui è maggiormente presente il patogeno.

Molti dei vaccini impiegati per i nostri pet, come quello contro il cimurro e la rabbia, sono stati sviluppati con un'apposita ricerca in veterinaria, che ha richiesto l'impiego di animali.

Meccanismi simili... simile terapia?

Senza dubbio, comunque, gran parte della ricerca biomedica che impiega gli animali è orientata alla comprensione dei meccanismi patogenici e alla ricerca di possibili cure o terapie per malattie umane. Anche in questo caso, tuttavia, anche le specie su cui è avvenuta la ricerca possono averne un beneficio. E la ragione è piuttosto logica: «Il modello animale si sceglie sulla base del meccanismo che si vuole studiare, ossia scegliendo la specie nella quale il meccanismo è più simile all'uomo», spiega Giuliano Grignaschi, segretario generale di Research4Life e responsabile del Benessere Animale presso l’Università degli Studi di Milano. «Poi, a parità di somiglianza del meccanismo, il ricercatore deve utilizzare, per legge, la specie a più basso sviluppo del sistema nervoso centrale».

E se un meccanismo, o un agente patogeno, sono simili tra la nostra e un'altra specie, è possibile che anche le terapie volte a contrastarli lo siano. Certo, questo non avviene sempre, e spesso la ricerca deve ancora avvalersi di animali nei quali la patologia è indotta. In altri casi, però, la sperimentazione animale condotta per il benessere umano ha consentito di migliorare la salute anche di altre specie. Per fare alcuni esempi rimanendo sui pet classici, possiamo citare il diabete nel cane e nel gatto. I primi lavori sullo studio della malattia furono condotti sui cani, e consentirono di capire che nel pancreas veniva prodotto un fattore in grado di contrastarne l'insorgenza. Su queste prime basi, fu possibile prima la purificazione dell'insulina dal pancreas suino, e poi il suo utilizzo in clinica, dopo test condotti sui conigli e sui cani.

Queste ricerche, che valsero il premio Nobel per la Medicina a Frederik Banting e John Macleod nel 1923, consentono oggi non solo la terapia umana, ma anche quella per il diabete di tipo 1 nei cani, e di tipo 2 nei gatti.

Non solo farmaci

Vi sono anche molti altri esempi di come la sperimentazione animale, anche quando condotta per trovare terapie per la nostra specie, abbia infine portato o possa portare beneficio anche ad altre: è il caso di alcuni anti-infiammatori non steroidei, dei farmaci usati come anti-convulsivanti per il trattamento dell'epilessia, della ricerca su alcune forme di tumore, del lanosterolo per la prevenzione e il trattamento della cataratta , di molti antibiotici...

Senza contare l'infinità di procedure e tecnologie mediche che sono oggi impiegate anche per la diagnosi e la chirurgia veterinaria, o gli studi sullo stile di vita per la prevenzione o il miglioramento di alcune malattie. Ad esempio, il morbo di Alzheimer umano è molto simile alla disfunzione cognitiva del cane, che rappresenta dunque un valido modello di studio, e nel quale l'arricchimento comportamentale, una dieta ricca di antiossidanti e l'esercizio fisico si sono rivelati di beneficio per rallentare il progredire della disfunzione cognitiva canina.

Anche se ci siamo soffermati su esempi che riguardano cani e gatti, altri si possono trovare su animali da compagnia non convenzionali, sugli animali d'allevamento e anche selvatici. Di questi ultimi, solo per citarne un paio, ricordiamo la ricerca di un vaccino contro il virus Ebola testato sulla scimmie, che potrebbe potenzialmente essere usato per la popolazione selvatica (ad esempio qui), o quello per la tubercolosi nei tassi e la rabbia nelle volpi.

Vale anche la pena ricordare che la sperimentazione animale è alla base anche di molte strategie di conservazione. Intanto perché per tutelare una determinata specie è necessario innanzitutto conoscerla, e quindi studiarla; poi perché alcune tecniche avanzate che possono essere impiegate ad esempio per il ripopolamento delle specie devono passare attraverso una sperimentazione, magari su specie vicine. Ad esempio, come Scienza in rete ha raccontato qui, la tecnica della fecondazione in vitro è stata di recente applicata sul rinoceronte bianco settentrionale, una specie di cui non restano che due esemplari in vita (entrambe femmine, e nessuna delle due in grado di portare avanti una gravidanza), dopo essere stata testata sulla sottospecie meridionale.

Una considerazione economica

Le ricadute benefiche della sperimentazione animale sugli animali stessi diventano, in un certo senso, ancora più importanti quando si pensa anche un altro aspetto: «Se si considera anche l'aspetto economico, bisogna ricorda che i farmaci a uso veterinario non sono coperti dal Servizio sanitario nazionale come avviene per quelli umani, e i loro costi possano essere molto elevati (è il caso dei chemioterapici)», spiega Francesca Vitari, veterinaria dell'Animal Care Unit dell'Istituto Mario Negri. «Questo fa sì che il proprietario di un cane che sviluppa una neoplasia scelga più facilmente di sopprimerlo. È un serpente che si morde la coda: il farmaco veterinario ha un costo elevato, è acquistato di meno, l'interesse per il suo sviluppo da parte delle aziende diminuisce; ed ecco che i farmaci sono meno e più costosi. È anche per questa ragione che la ricerca veterinaria è meno sviluppata. In questo senso diventa ancora più importante quando la ricerca per la nostra specie può essere applicata anche per altre, ad esempio nei casi di farmaci a uso umano che per legge, in deroga, possono essere somministrati ad alcuni animali domestici quando manchi l'equivalente veterinario».

«Il mondo della ricerca biomedica è costantemente alla ricerca di metodi sempre più affidabili, precisi e rapidi tramite i quali sviluppare terapie per l’uomo e per gli animali», conclude Grignaschi. «A oggi purtroppo il modello animale è ancora imprescindibile, ma lo sforzo di tutti è rivolto allo sviluppo di nuovi metodi che possano, un giorno, sostituirlo».

 


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