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Alchimie nell’arte

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Se non siete specialisti di storia dell’arte ma semplicemente degli appassionati e non potete fare a meno di visitare un paio di mostre all’anno, questo libro è per voi. In primavera le occasioni non mancano e i giornali annunciano gli eventi espositivi con belle riproduzioni dei quadri esposti. Quella dell’opera “Giovane donna in bianco, sfondo rosso”, un olio su tela di Henri Matisse datato 1946, scelta per annunciare la mostra “Matisse la figura” in corso a Ferrara, è senz’altro ben intonata al sottotitolo della medesima ovvero: “La forza della linea, l’emozione del colore”.
Guardando il quadro si rimane colpiti dalla prepotenza del rosso, il colore che domina la scena benché faccia solo da contorno all’abito bianco della modella . È un’emozione visiva che può bastare a sé stessa per fruire del “dono” dell’artista ma che ci arricchirebbe ancora di più se qualcuno ci aiutasse a capire Matisse e il suo tempo. Se poi lo facesse  in maniera semplice e diretta,  valorizzando non solo i pregi estetici dell’opera ma gli strumenti tecnici (come i colori)  che hanno permesso all’artista di esprimere la propria creatività, tanto di guadagnato per noi.

Un aiuto del genere lo offre un agile volumetto scritto da un chimico di fama internazionale con l’intento di illustrare i cambiamenti artistici resi possibili dalla disponibilità dei colori. L’autore è Adriano Zecchina, già professore di Chimica Fisica all’Università di Torino, accademico dei Lincei con l’hobby per la pittura. Il suo libro è stato pubblicato nell’ottobre 2012 ma è in corsa soltanto adesso per il Premio Letterario Galileo d’imminente attribuzione. Chi non l’avesse letto, scoprirà può essere utile a tutti , anche agli scienziati, a volte troppo occupati negli esperimenti di laboratorio o nei calcoli per occuparsi d’altro. I chimici, in particolare,  scopriranno  i “riflessi” artistici delle loro conquiste di laboratorio nel campo dei pigmenti sintetici ma apprezzeranno anche quelle dei loro antenati, gli alchimisti, il cui “vermiglione” costituì l’innovazione più importante della pittura medioevale. Tornando ad Henri Matisse (1869-1954), Zecchina ci spiega che l’uso, a volte quasi totalizzante, che fece dei nuovi pigmenti inorganici segnò l’allontanamento dai giochi di luce dell’Impressionismo. I colori di Matisse sono spesso “colori saturi senza sfumature,  posati su un disegno che si distacca via via dalla realtà”.
Zecchina ci parla anche da chimico di questi colori e così impariamo che nel quadro “La stanza rossa” (1908) domina il solfoseleniuro di cadmio e, per allietare i nostri occhi, ecco la riproduzione nella pagina a fronte, insieme a “La danza” (1909) dove dominano il blu, il verde e l’arancio.  Questo è soltanto una delle tappe del viaggio nel tempo che l’autore compie seguendo l’evoluzione della pittura.
E’ un viaggio dal Paleolitico all’arte contemporanea attraverso i colori che i pittori hanno avuto a disposizione nelle varie epoche. Leggendo il libro s’imparano tante cose, incluso il segreto del cosiddetto “blu Maya”, il pigmento derivato dall’indaco la cui stabilità è stata spiegata in tempi recenti proprio grazie alla chimica. 

Un’altra tappa del libro tocca il periodo di eccezionale splendore vissuto dalla pittura tra Quattrocento e Settecento a Venezia e nelle città limitrofe. Il segreto di artisti come Tiziano, Giorgione, Tiepolo, Veronese e Tintoretto è legato non solo all’ispirazione ma anche alla tecnica e alla disponibilità di pigmenti coloranti nella Repubblica di Venezia. Venivano dall’Oriente e dai luoghi con cui la Serenissima intratteneva stretti rapporti commerciali. I pittori ne approfittavano per dare libero sfogo alla loro creatività e, se così si può dire, non badavano a spese. Ad esempio, c’è un’opera famosa di Tiziano Vecellio (1480/1485 – 1576) in cui sono presenti quasi tutti i pigmenti conosciuti all’epoca. Si tratta del quadro “Bacco ed Arianna” (1520-1523), ora alla National Gallery di Londra.
Come scrive Zecchina: “rappresenta quasi un catalogo dei pigmenti conosciuti fino al Cinquecento”. Ne enumera sedici, comprendenti tra l’altro tre “blu” (azzurrite, lapislazzuli, smaltino) e tre “rossi” (cinabro, lacca di robbia e ematite).  A proposito di numeri, pensate che l’elenco sommario e parziale dei movimenti artistici della sola prima metà del secolo XX, compilato da Zecchina, è quasi doppio ma non scoraggiatevi.
L’autore ci aiuta con agilità e senza abuso di termini da iniziati ad esplorare  anche quest’ultimo complesso periodo, limitando al massimo le considerazioni di tipo estetico, fedele al dettato di Mark Rothko: “ Un quadro non ha bisogno che qualcuno lo spieghi. […]. Se vale parla da sé”.

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La scoperta di un nuovo legame chimico

Un gruppo di ricercatori dell'Università di Hokkaido ha fornito la prima prova sperimentale dell'esistenza di un nuovo tipo di legame chimico: il legame covalente a singolo elettrone, teorizzato da Linus Pauling nel 1931 ma mai verificato fino ad ora. Utilizzando derivati dell’esafeniletano (HPE), gli scienziati sono riusciti a stabilizzare questo legame insolito tra due atomi di carbonio e a studiarlo con tecniche spettroscopiche e di diffrattometria a raggi X. È una scoperta che apre nuove prospettive nella comprensione della chimica dei legami e potrebbe portare allo sviluppo di nuovi materiali con applicazioni innovative.

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Dopo quasi un anno di revisione, lo scorso 25 settembre è stato pubblicato su Nature uno studio che sta facendo molto parlare di sé, soprattutto fra i chimici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Hokkaido ha infatti sintetizzato una molecola che ha dimostrato sperimentalmente l’esistenza di un nuovo tipo di legame chimico, qualcosa che non capita così spesso.