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Galileo, secondo Leopardi

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C’è un filo rosso  che lega la storia della grande letteratura italiana, da Dante a Galileo fino a Giacomo Leopardi. Questo filo rosso – anzi questa «vocazione profonda» – diceva Italo Calvino, è la filosofia naturale. Qui tre grandi – e poi lo stesso Calvino – hanno considerato «l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile».

Cosicché tra la grande letteratura e la scienza, in Italia, non c’è mai stata quella separazione denunciata cinquant’anni fa da Charles Percy Snow nel suo famoso libro sulle «due culture». Ma c’è stata una reciproca influenza? Quanto la figura di Dante ha contato per Galileo? E quanto Galileo ha pesato su Leopardi?

Alla prima domanda si può rispondere di sì: chi è venuto dopo si è lasciato influenzare dal grande che lo ha preceduto. Basti ricordare, per quanto riguarda Galileo, che la sua carriera accademica è iniziata virtualmente nel 1588, con le “ Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante”, il ventiquattrenne figlio del musicista Vincenzio dimostra di essere sia un valente matematico che un profondo conoscitore del Sommo Poeta.

Per quanto riguarda l’influenza che lo stesso Galileo avrà su Leopardi abbiamo prove meno evidenti. Nelle sue opere il poeta nato a Recanati non cita spesso lo scienziato nato a Pisa. Eppure è possibile dimostrare che «la figura e l’opera di Galileo [hanno un ruolo decisivo] sulla filosofia di Leopardi e sul suo stile» [Gaspare Polizzi, Galileo in Leopardi, Le Lettere, 2008].

Malgrado il nome dell’Artista Toscano (le definizione è del poeta John Milton) ricorra relativamente poco negli scritti di Leopardi la presenza di Galileo nel pensiero e persino nello stile del poeta di Recanati non solo c’è, ma è addirittura decisiva.

Leopardi, infatti, non solo ha letto Galileo e le opere su Galileo. Ma lo considera: il più grande fisico di tutti i tempi; un filosofo di primaria importanza nella storia del pensiero umano; e, insieme a Dante, appunto, il più grande rappresentante della letteratura italiana. Galileo è «per la sua magnanimità nel pensare e nello scrivere» un (forse “il”) modello per Leopardi.

Nella giovanile Storia dell’Astronomia (1813) scrive: «L’anno 1564 sarà sempre memorabile per la nascita accaduta in esso dell’immortale Galileo Galilei, celeberrimo astronomo e matematico». Dello scienziato toscano il quindicenne Leopardi in questa sua storia parla a lungo, limitandosi a ricostruirne la biografia scientifica. Tuttavia ci sono alcune caratterizzazioni interessanti. Per esempio quando dice che: «Galilei era filosofo, era matematico; due prerogative, che lo resero abilissimo a porre i fondamenti della scienza del moto».

Il tema della complessità e pienezza della figura di Galileo ritorna negli scritti dello Zibaldone, dove il poeta di Recanati esalta in Galileo lo scienziato: «forse il più gran fisico e matematico del mondo» (20 agosto 1821); il  filosofo: per Leopardi, Galileo è «il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano» (1 dicembre 1828); e, infine, lo scrittore: per la sua «precisa efficacia e scolpitezza evidente» (1818) e per la «magnanimità e di pensare e di scrivere» (1827).

Ma è nella Crestomazia della Prosa (scritto nel 1827), che Leopardi parla più a lungo e diffusamente di Galileo, raccogliendo in un’antologia molto meditata diciassette diversi brani dello scienziato toscano sulla natura e sulla conoscenza.

Leopardi ha dunque per tutta la sua vita una sintonia di fondo con Galileo. Ciò non toglie che il poeta modifica, aggiorna e affina nel tempo i suoi giudizi sullo scienziato toscano. Col passare degli anni Leopardi scopre aspetti nuovi e sempre più profondi di Galileo.

Ma, per quanto grande e addirittura decisiva sia l’influenza che Galileo esercita su Leopardi, l’epistemologia del poeta di Recanati non si esaurisce totalmente in quella dello scienziato pisano. Anzi, vi sono talvolta delle differenze. Entrambi, certo, considerano lo studio della natura, attraverso certe dimostrazioni e sensate esperienze, il nuovo modo, superiore, di filosofare intorno ai fatti del mondo fisico. Ed entrambi credono nella “potenza della ragione”, capace di leggere il libro della natura e superare le false credenze degli antichi. Tuttavia Leopardi insiste molto più di Galileo sui limiti della conoscenza umana anche sui fatti della natura e, dunque, sulla relatività delle verità scientifiche. Ha un’attenzione per la matematica e per il suo valore epistemologico molto meno marcata dello scienziato toscano. E, più di Galileo, focalizza la sua attenzione sulla complessità del mondo. Anzi, per dare risalto a questa sua visione molto articolata del mondo fisico – dove piccole cause all’apparenza insignificanti possono produrre grandi effetti – Leopardi non esita a “tirare” fino a distorcere il pensiero di Galileo.

Galileo, dunque, ha una grande influenza su Leopardi. Ma, come sempre accade con i giganti che salgono sulle spalle di giganti, Leopardi ha una lettura critica e personale di Galileo.

C’è, infine, una ultima considerazione sottolineata anche da Gaspare Polizzi e che ha un qualche riverbero nell’attualità. Nei suoi scritti Leopardi mostra una certa riluttanza a parlare della teoria copernicana e opera delle censure abbastanza sistematiche sul “processo a Galileo”. Uno dei motivi è da attribuire al conflitto a distanza con il padre intorno alla legittimità della proposta galileiana. Ma, probabilmente, c’è anche una certa ritrosia – forse un vero e proprio timore – del giovane di Recanati ad assumere posizioni non conformi alla lettura che la Chiesa cattolica a due secoli di distanza ancora fa del «processo a Galileo».

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