Quanto vale quella ricerca e quanto dobbiamo finanziarla? Da sempre la comunità scientifica ha individuato gli effetti collaterali causati da un uso brutale dei criteri bibliometrici, come una crescita artificiale del numero di pubblicazioni, strategie citazionali più o meno lecite (leggasi autocitazioni) per incrementare il proprio ranking eccetera. Nonostante questi avvertimenti l'Italia, a partire dalla riforma universitaria del 2010, ha esteso il peso di questi criteri attraverso la creazione dell'ANVUR, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Due articoli pubblicati recentemente su riviste scientifiche hanno riacceso il dibattito nostrano portando nuovi elementi di discussione. Uno mostra che l'introduzione di criteri strettamente bibliografici per valutare la ricerca induce la comunità scientifica a costituire in modo spontaneo club più o meno numerosi propensi a citarsi vicendevolmente, in una misura chiamata inwardness, che aumenta a seguito dell’introduzione di stringenti criteri bibliometrici nella valutazione della ricerca. Secondo lo studio del biostatistico John Ioannidis, però, l’effetto inwardness può essere dovuto a un numero molto limitato di ricercatori che si citano a vicenda e comunque non si può escludere che il risultato sia dovuto al caso più che alle regole introdotte dall’ANVUR.
La situazione è complessa e calcolare è un po' come giudicare il pulito dal profumo: non basta, perché la ricerca è un'opera collettiva il cui valore difficilmente può essere fotografato da una semplice formula