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Un neutrino tutto italiano

Si è parlato molto di neutrini in questo ultimo mese, da quando i fisici dell’esperimento OPERA, chiusi nei laboratori nazionali del Gran Sasso, hanno comunicato al mondo che, forse, i neutrini vanno più veloce della luce. Se questo dato fosse confermato, da più di una misura indipendente, sarebbe rivoluzionata la fisica delle particelle e quindi tutto il nostro mondo così come lo conosciamo. Un problema non da poco.

D’altronde descrivere e caratterizzare i neutrini non è stato facile. Molto del merito della scoperta di Antonio Ereditato e il suo gruppo di ricercatori è legata in modo indissolubile alla fisica italiana: Enrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna, Ettore Majorana e Bruno Pontecorvo.

I neutrini sono particelle elementari con massa piccolissima o assente, sono privi di carica e interagiscono solo attraverso le forze di interazione debole e la forza di gravità ma non risentono della forza di interazione nucleare ed elettromagnetica. Queste particelle misteriose vengono liberate in alcune reazioni nucleari che avvengono nelle stelle (come nel nostro sole), all’interno dei pianeti e sono dappertutto anche se noi non ce ne accorgiamo e abbiamo difficoltà a identificarle perché interagiscono molto poco con la materia.

Il primo a immaginare l’esistenza dei neutrini è stato il fisico austriaco Wolfgang Pauli nel 1930 in base alle osservazioni sul decadimento radioattivo di tipo beta, per salvare il principio di conservazione dell’energia sancito dalla prima legge della termodinamica. Quando un neutrone decade genera un protone e un elettrone. Ma non solo. Scrive lo stesso Pauli ”per salvare la statistica e il teorema dell’energia… c’era infatti bisogno di pensare una nuova particella per far quadrare i conti..una particella molto strana, neutra, senza massa o quasi, incapace o quasi di reagire con la materia…”.Questa particella è il neutrino, ma ancora non si chiama così. A darle un nome e una teoria solida è il fisico italiano Enrico Fermi che nel 1934 propone la teoria del decadimento beta che ipotizza l’esistenza di una forza debole capace di trasformare, nel nucleo, il neutrone in protone. In questa trasformazione sono coinvolti gli elettroni e la nuova particella proposta da Pauli. Il neutrino teorizzato da Fermi ha una massa nulla o molto più piccola di quella dell’elettrone, una velocità uguale a quella della luce, è soggetta alla forza debole, e la sua capacità di interazione con la materia dipende dalla sua energia.

Enrico Fermi è“consapevole dell’importanza del suo lavoro e disse che quello sarebbe stato il suo capolavoro, ricordato dalla posterità, certo il meglio di quanto avesse fatto fino ad allora” (Emilio Segrè). In realtà Enrico Fermi è ricordato in tutto il mondo per i numerosi contributi in fisica quantistica e in fisica nucleare, per la teoria del decadimento beta, per la statistica quantistica di Fermi-Dirac e per i risultati sulle interazioni nucleari. Fermi ha progettato e realizzato il primo reattore nucleare a fissione in cui è stata prodotta la prima reazione nucleare a catena controllata, ed è stato uno dei direttori del progetto Manhattan che ha portato alla realizzazione della bomba atomica. Vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1938 (per l’identificazione di nuovi elementi della radioattività e la scoperta delle reazioni nucleari mediante neutroni lenti) il suo nome è legato per sempre alle particelle elementari, i fermioni, e a un elemento della tavola periodica, il Fermio.

Il grande merito di Enrico Fermi è soprattutto quello di essere stato l’iniziatore di una feconda scuola italiana di fisici. Professore di fisica teorica all’Università di Roma ha creato il gruppo di via Panisperna, centro di avanguardia a livello mondiale, che comprende Franco Rasetti, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana. Anche Ettore Majorana, fisico geniale e ombroso, ha dato un contributo alla fisica del neutrino, sostenendo che neutrino e antineutrino sono la medesima particella. Oggi ancora si cerca negli esperimenti al Gran Sasso il “neutrino di Majorana”.

Il più giovane dei ragazzi di Via Panisperna è Bruno Pontecorvo, che dedica tutta la sua ricerca al problema della massa del neutrino e che per primo intuisce la possibilità che il neutrino oscilli tra tre “sapori”, elettronico, muonico e tauonico. Bruno Pontecorvo, inoltre, suggerisce il bersaglio più adatto per rivelare la presenza di neutrini allo stato libero. Pontecorvo propone di utilizzare un isotopo del cloro, il cloro37, che possiede il nucleo particolarmente ricco di neutroni e che se colpito da un neutrino decade in argon37, che è altamente radioattivo e quindi facilmente rilevabile. Grazie a questa intuizione, il fisico americano Raymond Davis riesce a identificare i neutrini solari. Ma non solo, dai suoi esperimenti emerge che il numero di neutrini rilevati è inferiore di due terzi rispetto al numero di neutrini atteso, fornendo una prova indiretta della teoria dell’oscillazione dei neutrini, e quindi della loro massa.

L’esperimento OPERA condotto in collaborazione tra il CERN di Ginevra e l’INFN del Gran Sasso in Italia mira a descrivere proprio lo stato di oscillazione dei neutrini. Ancora una volta un gruppo di ricerca italiano è all’avanguardia nello studio e nella caratterizzazione dei neutrini e ancora una volta i risultati sono sorprendenti. Il responsabile del gruppo di ricerca che ha osservato che i neutrini provenienti dal CERN viaggiano a velocità superiore a quella della luce è un fisico italiano, Antonio Ereditato.

In questi cento anni la ricerca italiana ha contribuito in maniera importante alle grandi scoperte della fisica delle particelle sia in Italia che nel mondo: i neutrini sono oggi al centro dell’attenzione, e domani lo saranno i bosoni, che rivendicano anch’essi una storia italiana con la loro scoperta da parte di Carlo Rubbia. In un paese che spende solo l’1,5% del PIL in ricerca e che ha mandato i suoi migliori cervelli all’estero, questo è un gran risultato, e dovrebbe renderci una volta di più orgogliosi di essere italiani.

di Ilaria Canobbio

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