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I neutrini e la comunicazione interna alla comunità dei fisici

Esperimenti come quelli di OPERA producono risultati inaspettati e contemporaneamente offrono l'occasione per riflettere sulla comunicazione scientifica rivolta, non tanto al grande pubblico, ma agli scienziati stessi. Per analizzare le tendenze in atto in questo ambito può essere utile prestare attenzione a due momenti di questo particolare processo comunicativo. Il primo, datato 22 settembre, corrisponde alla pubblicazione dei risultati originali del team guidato da Ereditato su arXiv. Il secondo, datato 17 novembre, appare invece più complesso, assumendo una duplice forma: la pubblicazione di nuovi risultati – con cui sembra essere confermata la velocità superluminale dei neutrini - e la sottomissione degli stessi al Journal of High Energy Physics (JHEP). Due momenti che per essere compresi implicano un confronto con concetti quali preprint e peer review, ma anche con le trasformazioni innescate dalla diffusione e l'evoluzione di internet. O più semplicemente con arXiv, uno dei più noti archivi online di pubblicazioni scientifiche liberamente accessibile.

Arxiv, non un semplice archivio

Quello che però contraddistingue arXiv, rendendolo non uno dei ma l'Archivio (non a caso arXiv si pronuncia come il vocabolo inglese archive), è la forma dei contenuti ospitati sui propri server, ovvero la caratteristica di pubblicare preprint. Questi ultimi, come il nome potrebbe lasciare supporre, non costituiscono documenti necessariamente destinati alla stampa – quel print che li tramuterebbe in dei paper – ma sono articoli in cui non è presente quel processo di peer review proprio delle riviste scientifiche tradizionali. La storia, perlomeno quella ufficiale, di arXiv inizia nel 1991, quando Paul Ginsparg, da poco trasferitosi presso il LANL (Los Alamos National Laboratory, Stati Uniti), lancia un sistema, basato su un bulletin board system, per lo scambio di preprint tra i fisici delle particelle. L'idea era quindi quella di beneficiare delle nuove possibilità offerte da internet per facilitare l'accesso dei ricercatori alla pubblicazione e alle pubblicazioni scientifiche. I preprint non nascono però con arXiv, anzi, una delle chiavi del suo successo deriva dal riuscire a innestarsi su una cultura del preprint già esistente, descritta sia dalla sociologa dell'Università di Cardiff Kristrún Gunnarsdóttir (“On the Role of Electronic Preprint Exchange in the Distribution of Scientific”) che dal fisico del MIT David Kaiser (“Science in the digital age”). Una cultura che fino agli anni '60 e '70 del secolo scorso si appoggiava, quasi esclusivamente, su un unico mezzo di comunicazione (la posta), organizzandosi intorno ad alcuni centri di catalogazione, come le biblioteche della Stanford Linear Accelerator Center (SLAC) e della Deutsches Elektronen-SYncrototron (DESY). Sotto questo punto di vista, arXiv rappresenta un erede di queste istituzioni, nato e cresciuto in - e grazie a - quella rivoluzione dell'informazione provocata da internet. Gli aspetti tecnologici hanno dunque giocato un ruolo chiave per il suo sviluppo, abbassando i tempi di pubblicazione e abbattendo i costi di catalogazione. Sarebbe però riduttivo, se non fuorviante, limitarsi a questi elementi, finendo per concepire arXiv come un mero modello alternativo di distribuzione della conoscenza. D'altronde lo stesso Ginsparg, in un articolo apparso recentemente su Nature per il ventennale della sua creatura (“ArXiv at 20”), non nascondeva la speranza di ristrutturare l'attuale sistema della conoscenza. In quell'occasione Ginsparg si riferiva esplicitamente alla convivenza tra diversi meccanismi per implementare un controllo di qualità sulla conoscenza prodotta e comunicata dagli scienziati. Uno scenario animato dalla compresenza di sistemi top-down (come la peer review delle riviste convenzionali), crowd-sourced (come nel caso dei preprint di arXiv) e misti (in cui la revisione dei colleghi interviene in un determinato stadio del processo di pubblicazione). Una convivenza che rispecchia l'assenza di un consenso presso la comunità scientifica circa il miglior modo per condurre la revisione degli articoli scientifici. Uno scenario in cui la scelta di uno scienziato, rispetto ai meccanismi di controllo dei risultati, appare condizionata da almeno due aspetti.

346 anni dopo

In primo luogo, la sua scelta non può che essere situata all'interno di un processo storico: gli attuali sistemi di revisione sono assai diversi da quelli del 1665, anno in cui apparve il primo numero dei Philosophical Transactions e con esso la peer review. Nell'era digitale, la peer review praticata dalle riviste convenzionali difficilmente può pretendere una posizione egemone. A quanto sembra né si è trovato un sistema altrettanto efficace di revisione né esistono comunità scientifiche che vi abbiano rinunciato completamente, tuttavia non mancano le critiche e, con esse, gli sforzi per creare sistemi alternativi alla peer review. Critiche che tendono a evidenziare, da un lato, l'allungarsi dei tempi di pubblicazione e, dall'altro, le conseguenze del consolidarsi nel mondo accademico della cultura del “public or perish” (favoritismi, autoalimentazione delle citazioni, paper slicing, conflitti di interessi, etc.). Mentre i sistemi alternativi si declinano attraverso una molteplicità di forme: da una sostanziale autopubblicazione, all'ammissione di commenti (una sorta di post-pubblication) o al open notebook science (pubblicazione dei registri della ricerca).

La diversità scientifica

In secondo luogo, la scelta dello scienziato – o del gruppo di ricerca - di sottoporsi a una determinata tipologia di revisione si posiziona all'interno della propria comunità scientifica di appartenenza: le pratiche di pubblicazione di un biologo tendono a differire da quelle di un fisico. Ogni comunità di scienziati ha un suo approccio nella pubblicazione, sostenuto da molteplici motivazioni ed esigenze. Tornando all'esempio di arXiv è significativo notare come la fisica delle particelle sia l'ambito scientifico in cui si è originato e continua a essere uno tra i più presenti all'interno dell'archivio dei preprint, il medesimo ambito in cui si inserisce l'esperimento condotto da OPERA. Considerare alcune specificità della fisica delle particelle (in inglese high energy physics) può essere utile per comprendere il perché di queste – niente affatto casuali – coincidenze. I membri di questa comunità si ritrovano immersi in una cultura sostanzialmente omogenea, ma comunque aperta e in grado di accettare l'esistenza di divergenze e posizioni talvolta anche radicalmente diverse. Una comunità in gran parte internazionalizzata, che si raggruppa intorno a pochi grandi laboratori – il CERN di Ginevra, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, il Fermilab di Chicago, o il giapponese Super-Kamiokande – al cui interno si svolgono esperimenti difficili da realizzare. Tutti elementi che concorrono a delineare un contesto in cui la collaborazione tra i diversi gruppi di ricerca è un bene particolarmente prezioso. Un contesto in cui la pubblicazione dei preprint è in buona parte accettato, garantisce una certa rapidità e innesca meccanismi di valutazione che finora sembrano funzionare. E il caso di OPERA?

OPERA e i meccanismi di revisione

In generale, le critiche alla scelta di pubblicare su arXiv hanno trovato poco spazio sui media, e probabilmente le più rilevanti sono quelle di alcuni fisici intervistati da Scientific American (“Faster-Than-Light Neutrinos? Physics Luminaries Voice Doubts”) o la posizione espressa da Ferroni, presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica (“Italy's Nuclear Physics Chief: We Can Afford SuperB”). Ma le critiche, seppur in forma silenziosa, sono arrivate anche dall'interno, ovvero dallo stesso gruppo di ricerca. Alcuni membri di OPERA hanno infatti preferito non firmare la prima pubblicazione, mentre altri sono ritornati sui propri passi, decidendo di firmare il primo preprint ma non il secondo. Una situazione in cui i critici - o dissidenti, come sono stati spesso presentati nei media - non hanno però espresso le loro posizioni innescando un conflitto, anzi si sono defilati dal processo comunicativo, e di fatto non si hanno dichiarazioni esplicite dei diretti interessati. In tal senso, quanto di più si vicino a una uscita pubblica è probabilmente l'esternazione - riportata dal fisico e blogger Jon Butterworth (“Those faster-than-light neutrinos. Four things to think about”) - di Luca Stanco, il quale ammette di non aver firmato la prima pubblicazione poiché riteneva i risultati ancora preliminari. Una posizione che sembra far emergere una tensione tra l'esigenza di rigore e la necessità di rendere pubblici i propri risultati, una tensione che potrebbe acuirsi quando i risultati assomigliano a delle scoperte straordinarie. Una circostanza tutt'altro che remota nel caso di OPERA, ma che non ha comunque impedito una successiva riconfigurazione della tensione stessa, avvenuta in un secondo momento, con la pubblicazione del nuovo preprint su arXiv e la sottomissione dei risultati a un processo di peer review. Quest'ultima scelta è stata giustificata dal gruppo OPERA sostenendo di aver ottenuto nuovi risultati - attraverso ulteriori esperimenti - e migliorato il primo preprint, depurandolo da alcune imperfezioni (probabilmente le stesse imperfezioni a cui si riferiva Luca Stanco, e che l'avevano indotto insieme ad altri otto membri a firmare soltanto la seconda versione del preprint). Si tratta di un passaggio che non si limita a rimodulare la tensione tra le esigenze di rigore e di pubblicazione, ma che rivela almeno due elementi interessanti. Innanzitutto confermerebbe uno dei principali vantaggi di arXiv: la velocità. OPERA, confidando sulla bontà dei risultati ottenuti, ha deciso di renderli noti senza sottoporsi a un processo di peer review accelerando il processo di condivisione dei dati, aumentando il ritmo della verifica degli stessi e, infine, facendo pressione su altri gruppi per replicare o condurre ulteriori esperimenti. In seconda analisi si tratta di un fenomeno in linea con la lettura della sociologa Gunnarsdóttir, secondo cui il preprint e la peer review soddisfano esigenze diverse. Pubblicare su arXiv significa soprattutto richiedere una valutazione e un consenso di carattere locale, ovvero dei membri della comunità scientifica di appartenenza e in particolare di chi lavora su tematiche fortemente affini alle proprie. Sottoporsi a un processo di peer review, aspirando a una pubblicazione su una rivista convenzionale, sancisce la richiesta di una valutazione e un consenso più ampio rispetto al precedente. In altri termini, un preprint dimostra la sua utilità nel contesto più prossimo alla ricerca – il laboratorio – mentre la peer review nel mondo accademico o addirittura al di fuori di esso. Un interpretazione di questo tipo suggerisce dunque l'esistenza di una certa complementarietà tra meccanismi propri di arXiv e di JHEP, o quantomeno una certa interdipendenza. Probabilmente il futuro della comunicazione scientifica “specialistica” e, quindi interna, si risolverà affrontando le tensioni che caratterizzano l'attuale gestione della conoscenza scientifica. Un obiettivo che implica lo sviluppo di sistemi di revisione dinamici e aperti, in grado di coniugare le esigenze di rigore e di pubblicazione.

di Carlo Tartivita

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