Siccità, alluvioni, ondate di caldo, uragani. Fenomeni meteorologici estremi che accompagnano la storia dell'umanità, ma la cui intensità, frequenza e variabilità va rapidamente aumentando. Nel mondo scientifico si rafforza l'ipotesi (per molti, una certezza) che l'eccezionale siccità ed altri eventi atmosferici anomali degli ultimi anni siano il risultato del riscaldamento climatico di origine antropica. Persino l'ultimo rapporto della American Meteorological Society, dopo la totale assenza di pioggie che questa estate ha colpito il Midwest degli Stati Uniti, parla di «riscaldamento inequivocabile», e ne individua le cause primarie nelle attività umane, in particolare l'utilizzo di combustibili fossili e la deforestazione. Un'interessante riflessione sulle problematiche legate al climate change l'ha data Mario J. Molina, in un intervento alla 244esima Conferenza nazionale dell'American Chemical Society, tenutasi in agosto a Philadelphia.
Secondo lo scienziato messicano, premio Nobel per la Chimica nel 1995, eventi estremi come siccità, ondate di caldo, violente precipitazioni ed uragani possono servire a rendere l'opinione pubblica più consapevole di cosa significa «cambiamento climatico» e della necessità di agire con urgenza.
«Le persone potrebbero non essere a conoscenza delle importanti scoperte nel campo dei fenomeni atmosferici estremi che riempiono i titoli dei giornali». «Potranno percepirlo direttamente, non solo sentirne parlare. Potranno vederne gli effetti sul prezzo dei beni alimentari, farsi un'idea di quello che sarà la vita quotidiana in futuro se tutti noi, come società, non facciamo qualcosa».
Molina ha ipotizzato una soluzione basata su accordi internazionali, sul modello del Protocollo di Montreal. Formulato a partire dalle ricerche dello stesso Molina e dei colleghi Frank Sherwood Roland e Paul Crutzen sugli effetti dei clorofluorocarburi sullo strato di ozono nell'atmosfera, il Protocollo di Montreal sancì la messa al bando dei CFC nel 1996. Ancora oggi è considerato uno degli accordi internazionali sull'ambiente più efficaci. Purtroppo anche Mario Molina riconosce le differenze tra il problema del buco dell'ozono e la questione del riscaldamento climatico, che hanno reso i negoziati e la regolamentazione internazionale su quest'ultimo largamente insufficienti. A differenza del problema del buco nell'ozono, il dibattito sul cambiamento climatico è molto politicizzato e polarizzato su posizioni inconciliabili. Nella deplezione dell'ozono, spiega lo scienziato, le sostanze incriminate erano poche ed è stato relativamente facile coivolgere le parti in causa per risolvere un problema specifico. Sostituire i CFC, usati come refrigeranti e nella produzione di aereosol e spray, con altre sostanze non dannose per l'ozono (i cui effetti sull'atmosfera vanno però tenuti costantemente sotto controllo).
Il cambiamento climatico è una questione molto più diffusa e pervasiva. «I combustibili fossili, che sono alla base del problema, sono di importanza fondamentale per l'economia. Il cambiamento climatico e le sue cause sono collegate ad una serie vastissima di attività umane. Questo rende il cambiamento climatico un problema molto più difficile da affrontare di quanto sia stato quello della deplezione dell'ozono».
Un accordo internazionale efficiente non è l'unico sforzo necessario. Molina rivolge un invito soprattutto alla comunità scientifica. «É necessario che scienziati e ricercatori diffondano i risultati delle ricerche legate al cambiamento climatico e che si impegnino a sviluppare fonti di energia alternative, accessibili ed economiche, che riducano la dipendenza dai combustibili fossili».
Per approfondimenti:
Report dell'American Meterological Society
Comunicato Stampa dell'intervento di Mario Molina
