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L'antropologia dei microbi

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Da un lato ci sono i sempre più spettacolari progressi negli studi delle comunità microbiche che vivono nel nostro organismo; dall’altro ci sono le ricerche etnografiche volte a raccogliere informazioni sulle diverse culture umane. In mezzo, c’è chi, come il professor Jeffrey Gordon, direttore del Centre for Genome Sciences and System Biology della Washington University, il suo collega ricercatore Joseph DeStefano e la dottoranda di antropologia Amber Benezra, della New School for Social Research di New York, suggerisce un’integrazione fra questi due approcci. L’intrigante proposta è stata presentata in un articolo recentemente pubblicato su PNAS, nel quale gli autori fanno leva sui punti di contatto fra questi due programmi di ricerca per dimostrare l’utilità di un simile approccio.

Lo studio del “microbioma” umano ha fatto passi da gigante, soprattutto negli ultimi 5 anni, portando ad alcune interessanti scoperte. Ad esempio, è dimostrato che le comunità microbiche intestinali sono condivise fra membri della stessa famiglia e possono fornire svariate informazioni sulla disponibilità e i metodi di preparazione del cibo o sui movimenti delle popolazioni umane. Tutte informazioni, queste, che risultano particolarmente appetibili per chi, come gli antropologi, si occupa di studiare le tante sfumature della cultura umana. L’approccio antropologico, d’altra parte, consentirebbe agli studiosi dell’ecologia microbica umana di integrare nelle loro analisi tutta una serie di dati riguardanti i fattori alimentari, sociali e politico-economici che contribuiscono a plasmare le comunità umane e, di conseguenza, il microbioma dei singoli individui.

Gordon e i suoi colleghi non si limitano a suggerire collaborazioni volte a una migliore interpretazione di dati già raccolti; la loro proposta include la formazione di nuovi programmi di ricerca che sappiano andare oltre il semplice dialogo interdisciplinare, facendo ricorso ad approcci metodologici e concettuali innovativi. Un qualcosa di più della semplice somma delle parti, insomma.

Diversi sono i temi che varrebbe la pena affrontare e gli autori ne elencano alcuni: lo studio l’ereditarietà del microbioma in parallelo con altri aspetti politici e culturali, in diversi gruppi sociali; l’analisi dell’impatto sulla salute e sul microbioma umano dei cambiamenti di stili di vita; l’indagine delle relazioni fra cure pre- e neonatali nelle diverse culture, e la trasmissione intergenerazionale del microbioma.

Se si prova a pensare a noi stessi come a una sorta di “sovraorganismo” composto di cellule e geni tanto umani quanto microbici, coi secondi che superano i primi in termini di pura quantità, ci si rende conto di quanto simili proposte possano suonare interessanti.

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L’Europa è impreparata per affrontare i rischi climatici

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Sebbene l’Europa sia il continente che sta registrando i più rapidi aumenti delle temperature a livello globale, al momento è impreparata ad affrontarne le conseguenze. I rischi climatici minacciano molteplici ambiti: sicurezza energetica e alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche, la salute dei cittadini. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), molti di questi rischi hanno già raggiunto livelli critici, che potrebbero diventare catastrofici in assenza di interventi rapidi. Il report European Climate Risk Assessment (EUCRA) evidenzia come la combinazione tra i pericoli climatici e i pericoli non climatici accresca complessivamente i rischi economici, sociali e ambientali a cui la collettività è esposta. Inoltre, il report mette in luce i collegamenti tra diversi rischi e la loro capacità di diffondersi sia da un settore a un altro sia da una regione all’altra.

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Il primo marzo scorso l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) ha pubblicato i risultati della prima valutazione europea dei rischi climatici, European Climate Risk Assessment (EUCRA). Il report evidenzia che le politiche e gli interventi di adattamento adottate in Europa non procedono con la stessa rapidità con cui stanno evolvendo i rischi climatici.