E’ comandata dal pensiero e si chiama LifeHand la protesi presentata a Roma qualche giorno fa nel corso di una conferenza stampa. La mano bionica provata per un mese su Pierpaolo Petruzziello, ventisettenne italo-brasiliano, amputato in seguito a un incidente automobilistico, è infatti collegata a distanza alle terminazioni nervose del moncone rimasto. Nel corso dell’esperimento il giovane, grazie a quattro elettrodi impiantati nei nervi mediano e ulnare, riusciva non solo a muovere, ma anche ad avvertire le sensazioni relative a stimolazioni suscitate nella protesi, per esempio con aghi, sebbene questa fosse staccata da lui. I ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Campus Biomedico di Roma coordinati da Paolo Maria Rossini hanno ottenuto questo risultato anche grazie a un finanziamento di due milioni di euro dell’Unione Europea, che sosterrà anche la fase successiva del progetto: garantire che l’impianto degli elettrodi possa essere mantenuto più a lungo, la protesi si possa collegare e scollegare dal moncone e il dispositivo che trasmette i segnali sia reso un po’ meno ingombrante.
Braccio bionico telecomandato
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Il progetto Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.
Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).
Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.