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Matteoli, Parisi e Balzani: come si insegna la ricerca

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Il Nature Award for Mentoring on Science è stato assegnato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Michela Matteoli dell'Università degli Studi di Milano. Al chimico Vincenzo Balzani e al fisico Giorgio Parisi è andato il riconoscimento alla carriera. Pubblichiamo i discorsi che i tre scienziati hanno pronunciato durante la cerimonia di premiazione in Quirinale.

Bisogna sempre stimolare a perseguire la qualità più alta 
di Michela Matteoli

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Colleghi, Amici, è un grande onore per me essere qui oggi. Ringrazio soprattutto il nostro Presidente per dare, con la consegna di questo premio, una ulteriore dimostrazione del Suo grande interesse e impegno per la ricerca.
E’ un segnale molto importante, di cui la comunità degli scienziati italiani ha un grande bisogno, soprattutto in questo momento.

Ho aperto il mio laboratorio a Milano presso il Centro CNR di Farmacologia Cellulare e Molecolare, Dipartimento di Farmacologia nel 1992, dopo un periodo di post-dottorato all’Università di Yale.
La ricerca del mio gruppo è sempre stata focalizzata sullo studio delle sinapsi, strutture cerebrali fondamentali che mediano il trasferimento di informazioni tra le cellule nervose, controllando tutte le funzioni dell’organismo e tutti gli aspetti cognitivi, tra cui l'attenzione , la percezione e l’apprendimento. Il mio laboratorio ha contribuito a questo campo di ricerca identificando importanti ruoli funzionale di alcune proteine sinaptiche coinvolte in disturbi psichiatrici e del neurosviluppo e si sta attualmente interessando di definire in quale misura l’attivazione del sistema immunitario e l’infiammazione cooperino con fattori genetici nella  insorgenza di malattie neurologiche e psichiatriche.
Da quando il mio laboratorio è nato, ho seguito decine di ragazzi durante lo svolgimento della tesi di laurea, come dottorandi o come borsisti post-dottorato. Inoltre sto fornendo supporto strutturale per alcuni validi ricercatori del gruppo che stanno iniziando la loro carriera, mentre sono  alla ricerca di finanziamenti propri. Ho appreso solo pochi giorni prima della scadenza del bando  che un folto gruppo di persone che hanno lavorato nel laboratorio negli ultimi 20 anni aveva deciso di nominarmi per questo premio. Sono stata molto colpita dal fatto che così tante persone, da diversi luoghi del mondo, si siano messe in contatto e abbiano deciso con entusiasmo di nominarmi per questo prestigioso riconoscimento. La mia gioia è stata davvero enorme. Ho cercato di capire il motivo per cui questi brillanti ricercatori, ex studenti del laboratorio, abbiano deciso di proporre il mio nome. Mi sono allora resa conto che anche le persone che hanno lasciato il laboratorio molti anni fa lo considerano ancora un punto di riferimento e pensano a me come persona a cui rivolgersi in caso di necessità, per un consiglio in caso di una scelta professionale importante o per un parere sperimentale. Quando ho messo a fuoco questa cosa, ne sono stata davvero orgogliosa. Io non ritengo sinceramente di fare niente di speciale, se non incoraggiare le persone a perseguire i propri interessi scientifici e aiutarli ad individuare le proprie capacità personali. Tra le persone interessate alla scienza, alcuni hanno una chiara inclinazione a diventare ottimi ricercatori, mentre altri hanno spiccate capacità imprenditoriali, che sarebbe un peccato non sfruttare. Ognuno di loro è diverso. Ho sempre cercato di aiutare le persone a utilizzare al meglio le proprie inclinazioni, incoraggiandoli a perseguire sempre la qualità più alta, con la massima onestà intellettuale.

Questo premio, ideato dalla prestigiosa rivista Nature, rappresenta per me un riconoscimento di grande importanza, che coinvolge non solo la mia attività scientifica ma anche quella personale e relazionale. Per questo motivo ho pensato molto a come utilizzare al meglio il contributo economico associato al premio e alla fine ho deciso di utilizzarlo come primo seme per la creazione di un fondo di ricerca per sostenere gli studi sui meccanismi molecolari alla base delle malattie del neurosviluppo. Speriamo che possano crescere!
Sono davvero molto orgogliosa di aver ottenuto questo riconoscimento e sono orgogliosa di essere qui oggi in questa sede, cuore istituzionale della nostra nazione, a riceverlo dalle mani del nostro Presidente.
Sono anche felice di avere con me la mia famiglia, che mi ha sempre supportato e aiutato nel mio percorso, pazientemente e con affetto.
Spero di essere riuscita anch’io a fare il meglio anche per loro, come suggerisco sempre di fare ai miei ragazzi in laboratorio. 

Insegnare non è versare acqua in un vaso, ma accendere un fuoco
di Vincenzo Balzani

Signor Presidente della Repubblica, autorità, colleghi, signore e signori, buon giorno.

Anzitutto voglio ringraziare il Presidente della Repubblica, che ci onora con la sua presenza, per il costante impegno a favore della scienza e più in generale della cultura. Ringrazio anche i dirigenti della rivista Nature per aver voluto conferire il loro prestigioso premio in questo luogo, che meglio di ogni altro rappresenta la nostra Italia.
Devo poi ringraziare moltissime persone: i giovani colleghi italiani e stranieri che hanno voluto presentare la mia candidatura, i più di cento ricercatori e scienziati di ogni parte del mondo che hanno passato mesi o anni nel nostro laboratorio, imparando, e anche insegnandoci, molte cose; ringrazio la gloriosa Università di Bologna e il nostro paese, l’Italia, che mi sono sempre sentito fiero di rappresentare nelle centinaia di conferenze tenute in tutto il mondo.
Ma il ringraziamento fondamentale va alla Divina Provvidenza che molti anni fa, quando frequentavo il liceo scientifico, mi ha fatto innamorare di una ragazza di nome Carla, che poi è diventata mia moglie, e di una scienza di nome Chimica, che ha permeato tutta la mia vita di docente e di ricercatore. La ricerca scientifica è così bella che a volte strega chi di lei si innamora e lo avvolge fino a racchiuderlo in una torre, non sempre d'avorio, dove lo scienziato rischia di isolarsi. E' accaduto anche a me all'inizio della carriera. Poi, col passare degli anni, mi sono reso conto che chi ha avuto il privilegio di studiare e di fare un mestiere così bello come quello del professore universitario non può rimanere chiuso nelle sue ricerche, per quanto belle e gratificanti esse siano. C'è una responsabilità che deriva dalla conoscenza: lo scienziato ha il dovere di occuparsi dei problemi della società, deve contribuire a risolverli. Ha molti modi di farlo: con le sue ricerche, l'insegnamento, la divulgazione della scienza e anche partecipando attivamente al governo della sua università, della sua città o della nazione.
Questo impegno è oggi più che mai importante, perché viviamo in un momento cruciale della storia, caratterizzato da due grandi problemi, da due “insostenibilità”: quella ecologica, che trova il suo culmine nella crisi energetico-climatica, e quella sociale che vede sempre più allargarsi la forbice fra i ricchi e i poveri.
Come ha scritto il premio Nobel Richard Ernst: "Chi altro, se non gli scienziati, ha la responsabilità di stabilire le linee guida verso un progresso reale, che protegga anche gli interessi delle prossime generazioni?" Ho cercato e cerco ancora di trasmettere ai colleghi più giovani, due messaggi che hanno in comune la parola fuoco. Uno riguarda la didattica: nel preparare le vostre lezioni, dico, ricordate la massima di Teofrasto: "Insegnare non è versare acqua in un vaso, ma accendere un fuoco". I giovani hanno bisogno di maestri di vita che non insegnino solo la scienza, ma che facciano anche capire per che cosa la scienza deve o non deve essere usata: per la pace e non per la guerra, per ridurre e non per aumentare le disuguaglianze fra paesi ricchi e paesi poveri, per custodire il pianeta, non per distruggerlo, in modo che sia abitabile anche per le prossime generazioni. Questi concetti potrebbero, dovrebbero essere lampi di luce capaci di accendere un fuoco anche nei freddi programmi dei corsi scientifici. L’altro messaggio riguarda la ricerca; prima di tutto dico ai giovani che per avere successo ci vuole creatività e passione; una grande passione, perché come ha scritto Albert Szent-Gyorgyi “Ogni scoperta consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò a cui nessuno ha mai pensato.”
Creatività e passione, dunque, che i giovani scienziati dovranno usare per svolgere, fra gli altri, un compito molto importante, quello di re-inventare il fuoco: nel senso che il fuoco, cioè l'energia che sostiene lo sviluppo della civiltà, non potrà più essere ottenuto bruciando le risorse che abbiamo trovato sotto terra, i combustibili fossili, ma dovrà essere creato utilizzando la luce del sole, che scende dal cielo.
Re-inventare il fuoco sarà un'impresa entusiasmante per le nuove generazioni. Grazie

È vitale stimolare la curiosità dei propri allievi
di Giorgio Parisi

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Colleghi, Signore e Signori.

Vorrei anch'io ringraziare la rivista Nature per aver istituito questo premio che ha il grande merito di attirare l'attenzione su un compito fondamentale degli scienziati, passare la fiaccola della ricerca alle nuove generazioni, in modo che, salendo sulle nostre deboli spalle, possano vedere più lontano di noi. I premi scientifici sono importanti non tanto per gratificare il premiato, ma in quanto sono una rappresentazione di quelle che sono (o dovrebbero essere) le priorità della società civile.
A maggior ragione vorrei ringraziare il Presidente della Repubblica per il suo costante aiuto e incoraggiamento alla Cultura in generale e alla Ricerca Scientifica in particolare, che oggi si concretizza nella Sua partecipazione a questa cerimonia. La Cultura e la Scienza italiana Le sono grate per questo Suo quasi decennale impegno che è risultato evidente a tutti, anche dalle Sue recenti nomine dei Senatori a vita, nomine che sottolineano quanto questi settori siano cruciali per l'Italia.Signor Presidente, la Scienza continua ad aver bisogno del Suo appoggio, specialmente in un periodo come l'attuale, dove le difficoltà economiche e la contrazione dei finanziamenti dello Stato costringono all'emigrazione i nostri migliori ricercatori, facendo sì che il frutto del nostro impegno di “maestri” non si trasformi più in un arricchimento culturale dell'Italia. Piange il cuore a vedere molte delle migliori intelligenze di questo paese essere costrette a emigrare, senza che ci sia la minima traccia di un contrapposto flusso verso l’Italia.
La Sua presenza qui è estremamente significativa proprio nella speranza che possa servire a contrastare questa situazione che mi riempie di tristezza.
Le mie attività s’inquadrano nella lunga tradizione dei grandi “maestri” della scuola di fisica romana, a partire da Enrico Fermi, Edoardo Amaldi; questo premio sarebbe andato certamente al mio “maestro” Nicola Cabibbo, se non fosse prematuramente scomparso tre anni fa. Personalmente sono estremamente felice per questo riconoscimento prestigioso, che non premia solo me, ma anche tutti coloro che ho seguito durante la mia carriera.
Se io sono stato un bravo “maestro”, loro sono stati degli ottimi allievi che sono riusciti a trarre vantaggio dai miei insegnamenti che spesso non erano di una chiarezza cristallina (per usare un eufemismo).
Non ho mai avuto remore a discutere con loro argomentazioni solamente abbozzate perché pensavo che fosse istruttivo per loro oltre ad essermi utile per schiarirmi le idee: non volevo dargli il cibo già cotto, ma fargli vedere come si prepara un pranzo. Spesso passavo lunghi periodi per spiegargli come fare un calcolo, anche quando sapevo che avrei risparmiato tempo facendo io il calcolo e mostrandogli il risultato.Ho cercato di trattare i miei allievi come collaboratori alla pari (sfortunatamente diventa sempre più difficile con l'avanzare dell'età). Mi sono sforzato di non essere ipercritico: quando avevano ottenuto un risultato in maniera non elegante, a volte contorta, non li spingevo a rifare i conti più semplicemente o più elegantemente, ma la volta successiva mi ricordavo di dar loro le istruzioni appropriate per svolgere meglio il loro compito.
Quando qualcuno arriva da te, tutto contento per aver ottenuto un nuovo risultato o risolto un problema difficile, non è il momento giusto per fare obiezioni, ma bisogna piuttosto rallegrarsi insieme.
Nelle collaborazioni ho sempre diviso il credito con i miei collaboratori su base paritetica, anche quando avevo fatto io buona parte del lavoro perché pensavo che fosse utile per fare crescere la loro autostima.
È vitale stimolare la curiosità dei propri allievi, dar loro importanti responsabilità, renderli contenti e fiduciosi in se stessi. Impegnarsi nella ricerca deve dare una forte soddisfazione personale. In questo sono stato profondamente influenzato dal mio “maestro” Nicola Cabibbo. Nicola aveva un entusiasmo contagioso per la fisica. Aveva un'abilità innata nel risolvere i problemi: per lui la fisica era una specie di gioco, come mettere insieme i pezzi di un puzzle per formare un quadro coerente a partire da un insieme caotico di dati. Mi ricordo che diceva spesso “Perché dovremmo studiare questo problema, se non ci divertiamo nel risolverlo?”.
Io ho sempre cercato di trasmettere questo entusiasmo e questo gusto nel risolvere i problemi. Le motivazioni per questo premio scritte dai miei allievi, in cui raccontano perché per loro io sia stato un buon “maestro” e il suo conferimento da parte della giuria mi fanno pensare di esserci (almeno in parte) riuscito.


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