Prima delle vacanze estive sembrava si fosse ingaggiata la partita finale per definire uno dei processi più importanti della legge di riforma dell’università, l’abilitazione nazionale alle posizioni di professore. Raccontai in un articolo su Scienzainrete [Parametri di valutazione, discutiamo di numeri] come fosse in corso un braccio di ferro fra il CUN e l’ANVUR per definire i criteri e parametri valutativi dei prossimi concorsi all’abilitazione nazionale. L’arbitro della partita era il Ministero (MIUR) che aveva preannunciato l’emanazione del decreto di regolamentazione dei concorsi per l’abilitazione dopo l’estate, recependo i diversi pareri del CUN e dell’ANVUR. A inizio ottobre, una bozza del decreto ministeriale in questione è stata mandata agli organismi rappresentativi del mondo universitario. In risposta, il CUN ha prodotto un documento [http://www.cun.it/media/114276/ps_2011_10_19.pdf] pieno di lamentele, non solo riguardo alle norme presenti nella bozza del decreto ministeriale, ma anche al ruolo considerato “esagerato” dell’ANVUR nel processo di abilitazione. In una recente intervista [http://www.corriereuniv.it/cms/2011/10/27572/], il presidente del CUN lamenta come il consesso accademico che rappresenta si senta esautorato da questo decreto, correndo il rischio di avere voce marginale in capitolo.
L’ANVUR ha poi divulgato il proprio parere [http://www.anvur.org/sites/anvur-miur/files/parere13_11.pdf] sulla bozza del decreto ministeriale e sostanzialmente la sottoscrive, anche se propone modifiche circostanziate. Alcune di queste modifiche coincidono con quelle proposte nel documento del CUN e pure in quello del CEPR, altro organismo consultivo del ministero; quindi sembra improbabile che il decreto finale non ne tenga conto. Ma lasciamo stare i dettagli normativi e veniamo alla sostanza di quel che sta succedendo. Bisogna tener presente che il CUN rappresenta da 32 anni l’organo consultivo che influenza tutte le decisioni riguardanti il sistema universitario italiano. Non risulta che il CUN abbia mai preso posizione contro suoi affiliati che avevano palesemente manipolato concorsi nazionali (e locali), promuovendo accademici sulla base di criteri non di merito, spesso arbitrari. Data la sua continuità d’azione e intima conoscenza del sistema, si potrebbe considerare il CUN più responsabile dei vari ministri succedutisi per l’attuale declino dell’università italiana. Ha certamente fatto ben poco riguardo all’emorragia di valenti scienziati e studiosi andati all’estero, mantenendo il sistema universitario italiano chiuso agli stranieri, contrariamente a quel che succede in altri paesi sviluppati – incluso la Spagna. Curiosamente, in nessuno di questi paesi sembra esistere un organismo equivalente al CUN, mentre ne esistono di equivalenti alla CRUI ed all’ANVUR.
Il proseguire del braccio di ferro fra CUN ed ANVUR riflette quindi un conflitto di potere. In cui il CUN, o perlomeno i suoi rappresentanti maggiormente conservatori, temono di perdere il potere di promuovere accademicamente chi si vuole e come si vuole, senza i riscontri di merito e di etica che sono internazionalmente riconosciti. Questo potere arbitrario è stato sinora protetto o tollerato da molta parte del corpo accademico italiano, le cui componenti più aperte sono rimaste ai margini delle decisoni importanti. Mentre l’ANVUR, organismo indipendente scevro di tipici conflitti di interesse, sembra essere indifferente al perpretarsi del potere accademico, questo potere mantiene grandi capacità di difendersi, pure a scapito dell’intero sistema universitario che lo alimenta. Perchè una cosa risulta certa in questa interminabile partita CUN-ANVUR – se ne conoscono i sicuri perdenti. Perderanno coloro che continuano a produrre conoscenza a livello internazionale, e di insegnarla, ma che sono sempre più stanchi di aspettare l’occasione di contribuire al ricambio generazionale del sistema universitario – ormai fermo da una decade!