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L'eco gravitazionale del Big Bang

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Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un vero e proprio terremoto nella comunità scientifica internazionale.
Con un comunicato stampa decisamente laconico, alla fine della settimana scorsa l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston ha annunciato una conferenza stampa per lunedì 17 marzo, in cui sarebbe stata presentata una "major discovery". Sulla natura di questa «grande scoperta», però, nessun indizio.
La strategia mediatica, simile a quella utilizzata dal CERN per annunciare la scoperta del bosone di Higgs, ha funzionato: tra inevitabili rumors e slanci contrapposti di entusiasmo e scetticismo, la suspense è stata palpabile per giorni.
Alla conferenza stampa spicca John Kovac, cosmologo a capo dell’esperimento BICEP2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization 2) situato in Antartide: si tratta di un telescopio sensibile alle microonde che rileva con grande precisione la temperatura e la polarizzazione del fondo cosmico.
Kovac annuncia che, dopo tre anni di lavoro, il suo team ha rilevato nella radiazione cosmica di fondo l’effetto di onde gravitazionali prodotte subito dopo il Big Bang; inoltre, questo effetto è tale da costituire una prova diretta e inequivocabile dell’inflazione cosmica. Insomma: abbiamo visto il primissimo vagito dell’Universo, la “eco gravitazionale” del Big Bang, e abbiamo anche dimostrato per la prima volta la validità di una teoria cosmologica di importanza cruciale.
L’annuncio è di quelli che – a un fisico, per lo meno – fanno tremare i polsi. Subito si è parlato di un risultato sensazionale: “A parte trovare la vita in altri pianeti o osservare direttamente la materia oscura, non riesco a immaginare un’altra scoperta astrofisica più importante nel breve termine per migliorare la nostra comprensione dell’Universo” commenta Sean Carroll, fisico teorico al California Institute of Technology. Qualcuno parla già di Nobel. Ma che cosa è stato scoperto, di preciso? E perché è tanto importante? Cerchiamo di fare ordine e fornire una panoramica della situazione.

CMB, inflazione e onde gravitazionali

Tutto cominciò nel 1964, quando i fisici statunitensi Arno Penzias e Robert Wilson scoprirono casualmente una debole radiazione nella banda delle microonde che proveniva in maniera particolarmente omogenea da ogni direzione del cielo, senza una sorgente apparente. Più tardi si scoprì che la sorgente è l’Universo stesso: quella radiazione, poi battezzata Cosmic Microwave Background (CMB) o “radiazione cosmica di fondo”, è la prima testimonianza elettromagnetica del nostro Universo. Una sorta di fotografia del cosmo all’età di “appena” 380.000 anni. Prima di quel momento, materia e radiazione erano talmente “invischiate” da rendere l’Universo completamente opaco, incapace di liberare la luce.
La CMB rappresentò una prova schiacciante a favore della teoria del Big Bang, secondo cui l’Universo e lo spazio-tempo avrebbero avuto un’origine, situata all’incirca 13,8 miliardi di anni fa. Tuttavia, la CMB dava anche qualche grattacapo. Per esempio: perché è così omogenea? Come mai tutte le regioni dell’Universo “bambino” sembrano essersi accordate per avere la stessa temperatura (e quindi la stessa densità)? Una possibile risposta a questa domanda fu proposta nel 1981 da Alan Guth, all’epoca ricercatore alla Stanford University.
L’idea di Guth è davvero semplice: a un certo punto l’Universo iniziò a espandersi più velocemente della luce, e poco dopo smise. Non è importante ora capire il perché fece questo; ma in quel periodo di espansione accelerata, chiamata “inflazione”, le dimensioni dell’Universo passarono da quelle di una particella subatomica a quella di un frutto nell’arco di una frazione infinitesima di secondo. L’effetto di questo enorme “stiramento cosmico” è stato appianare tutto: come se un centimetro cubo di aria in una stanza si espandesse fino a occuparla tutta, rendendo la temperatura e la densità uniformi in tutta la camera. Secondo la teoria dell’inflazione, è più o meno quanto è successo all’Universo tra circa 10–35 s e 10–32 s dopo il Big Bang.
Per quanto l’inflazione possa essere efficace, però, la densità dell’universo primordiale non può essere completamente uniforme: il principio di indeterminazione di Heisenberg impone l’esistenza di fluttuazioni quantistiche ineliminabili, che l’inflazione avrebbe amplificato e “congelato” su scala macroscopica. Queste fluttuazioni di origine quantistica sono visibili nella CMB, che infatti presenta lievissime disomogeneità dell’ordine di una parte su 100.000: come se la superficie di una piscina profonda 10 m avesse onde alte appena 0,1 mm. Grazie all’azione lenta e paziente della gravità, da quelle perturbazioni di densità così piccole ebbero origine galassie, stelle, pianeti, e quindi per certi versi anche noi.
Ora, la domanda è: possiamo trovare tracce dell’inflazione nella CMB? La risposta è: sì! Ed è qui che entrano in gioco le onde gravitazionali. Predette quasi un secolo fa da Albert Einstein a partire dalla relatività generale, le onde gravitazionali sono increspature del tessuto spazio-temporale che si propagano alla velocità della luce, comprimendo e dilatando al loro passaggio lo spazio-tempo. Ebbene, la teoria dell’inflazione prevede l’emissione di grandi quantità di onde gravitazionali, che nel loro viaggio cosmico possono interagire con i fotoni della CMB lasciando impressa la loro “impronta”. Questa impronta è proprio ciò che è stato osservato dal gruppo di BICEP2, ed è per questo che la loro scoperta rappresenta una prova inconfondibile dell’inflazione: “Finalmente – commenta Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – abbiamo un’idea di come ha fatto l’Universo a diventare così grande così in fretta. Tutti hanno sempre creduto alla inflazione come l’unica soluzione possibile, ma averne una prova osservativa, anche se indiretta, è fantastico”.
Ma come distinguere le perturbazioni dovute alle fluttuazioni quantistiche da quelle dovute alle onde gravitazionali? Per farlo bisogna osservare la polarizzazione della CMB, ovvero la direzione in cui oscilla il campo elettrico delle onde elettromagnetiche che costituiscono la radiazione cosmica di fondo. Le perturbazioni della polarizzazione dovute a fluttuazioni di densità (chiamate “scalari”) producono pattern di polarizzazione radiali o circolari: si parla in gergo tecnico di “modo E”; le perturbazioni dovute a onde gravitazionali (dette “tensoriali”) possono produrre modi E oppure un pattern “a girandola” chiamato “modo B”.

Verso la gravità quantistica?

Quello che hanno osservato Kovac e il suo team è appunto la presenza di modi B nella polarizzazione della CMB, che si può attribuire con ragionevole certezza proprio alle onde gravitazionali. Modi B nella CMB erano già stati osservati recentemente da due strumenti “rivali”: il South Pole Telescope (SPT) in Antartide e PolarBEAR nel deserto dell’Atacama (Cile), ma a scale angolari più piccole di quelle necessarie per poterli attribuire a onde gravitazionali primordiali, e compatibili invece con l’effetto del lensing gravitazionale degli ammassi di galassie. Le osservazioni di BICEP2, d’altro canto, mostrano modi B su scale angolari dell’ordine di 1° (circa il doppio del diametro apparente della Luna piena), esattamente quello che ci si aspetta dalla teoria dell’inflazione.
I modi B osservati da Kovac e il suo gruppo di ricerca sono molto più intensi di quanto ci si aspettasse. La “forza” della polarizzazione della CMB si descrive con un parametro che i fisici chiamano r, e che rappresenta il rapporto tra l’intensità delle perturbazioni scalari e quelle tensoriali. Prima di questa scoperta c’era un certo consenso attorno all’idea che r dovesse attestarsi su un valore di circa 0,1. Le misurazioni di BICEP2, invece, sono compatibili con r = 0,2: circa il doppio più intense. Secondo i fisici, questo significa che le energie in gioco al momento della produzione di queste onde gravitazionali fossero di circa 2 · 1016 GeV (gigaelettronvolt): un valore enorme, circa un miliardo di volte superiore a quello ottenibile con il Large Hadron Collider (LHC) del CERN, il più potente l’acceleratore di particelle al mondo.
Un’energia così alta, stando ai modelli fisici che vanno per la maggiore, corrisponde a una fase dell’Universo in cui le forze fondamentali della natura (elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole, esclusa quella gravitazionale) erano unificate.

Le osservazioni di Kovac e del suo team confermerebbero quindi l’idea che anche la gravità abbia una natura quantistica. Max Tegmark, fisico del Massachussetts Institute of Technology, non ha dubbi: "Si tratta della prima prova sperimentale della gravità quantistica".

L’attesa per le conferme

Ma quanto sono solide le analisi del team di Kovac? Stando ai dati presentati nella conferenza stampa di lunedì, sembrerebbe molto: la significatività statistica dei modi B osservati è pari a 5,2σ: la chance di essere in errore, ovvero, è meno di una su 3.500.000. Il punto più delicato sta nell’avere una ragionevole certezza di essere di fronte a un effetto prodotto dalle onde gravitazionali primordiali: questo non è garantito al 100%, ma la zona di cielo osservata da BICEP2 (battezzata “Southern Hole” dagli astronomi) è nota per essere particolarmente “pulita”, ovvero priva di polveri e altro materiale che potrebbe disturbare la polarizzazione della CMB; inoltre, le caratteristiche della polarizzazione osservate sono decisamente differenti da quelle che si ottengono dall’interazione della CMB con polveri cosmiche.
Stando ai primi responsi i dati mostrati sembrano reggere da un punto di vista statistico. Naturalmente bisognerà valutarne anche la robustezza, ovvero la compatibilità con misure indipendenti. La scoperta, in altre parole, verrà confermata solo se esperimenti analoghi daranno risultati analoghi. Secondo Marc Kamionkowski, fisico alla John Hopkins University, «si scoprirà molto rapidamente se si tratta di una scoperta corretta o fallace»: sono molti infatti i gruppi di ricerca sparsi per il mondo pronti a ottenere misure indipendenti da quelle di BICEP2. In particolare sono attesi i risultati del satellite Planck, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), lanciato nel 2009 e in grado di ottenere misure precisissime della polarizzazione della CMB. I dati di Planck sono attualmente in fase di analisi e dovrebbero essere rilasciati entro il prossimo anno.
Insomma, la scoperta di Kovac ora attende il vaglio della comunità scientifica internazionale. C’è chi spera fortemente in questo risultato (Alan Guth in primis) e chi sta già cominciando a fare le pulci ai paper del gruppo di BICEP2. Non è da escludere che la scoperta non si riveli corretta: il pensiero corre al settembre 2011, quando l’esperimento OPERA al Gran Sasso diede annunciò la scoperta di neutrini superluminali, per poi scoprire che la misurazione della loro velocità era affetta da un errore sistematico. Se dovesse essere confermata, però, la scoperta di Kovac e del suo team sarà cruciale per diversi motivi:

  • per la prima volta è stato osservato un segnale prodotto appena dopo il Big Bang;
  • questo risultato rappresenta la prima prova osservativa diretta della teoria dell’inflazione;
  • corrobora l’idea dell’unificazione delle forze fondamentali e in particolare della natura quantistica della gravità;
  • apre una nuova finestra di osservazione del cosmo, finora inesplorata.

Le onde gravitazionali primordiali sono un terreno tutto da scoprire, che può fornirci informazioni fondamentali sui primissimi istanti del nostro Universo.

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