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Per la transizione ecologica serve una transizione economica

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Per la transizione ecologica è necessario che l’economia cambi faccia, in virtù anzitutto delle principali evidenze scientifiche che mettono in luce un uso poco efficiente se non predatorio delle risorse naturali. Le ultime politiche europee, ma non solo, vanno infatti verso un maggiore ruolo degli stati nella programmazione economica, una maggiore collaborazione tra settori e un approccio non solo quantitativo, ma anche qualitativo del benessere. Abbiamo intervistato su questi e altri temi Daniela Palma, prima ricercatrice dell’ENEA nelle aree dell'economia dell'innovazione e dello sviluppo economico sostenibile, e Alessandro Asmundo, Research and EU Projects Officer del Forum Finanza Sostenibile.

Immagine: Pixabay.

Economia per la transizione: breve stato dell’arte

Con la pandemia si è aperta una nuova stagione anche per l’economia mondiale: grandi piani di indebitamento nazionali e sovranazionali, ampi margini d’azione e pianificazione statali, investimenti massicci e – in modo più o meno parziale – bilanciamento dei diritti alla salute e diritti al lavoro. Questo lo si può già riscontrare nel duplice programma di recupero europeo formato dai fondi del Next Generation EU e dal quadro finanziario pluriennale, grazie a un generalizzato indebitamento comunitario. Per altro, il neo presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha esplicitamente espresso la sua convinzione di non voler ripristinare il Patto di Stabilità e Crescita tale e quale, probabilmente facendo riferimento ai troppo stringenti vincoli di bilancio.

L’idea di base è che eliminando i vincoli di pareggio di bilancio, preferibilmente per effettuare investimenti su opere strategiche sul piano sanitario, sociale e ambientale, si genererebbe un flusso economico che ripagherà il debito creato. Considerando il settore energetico, per esempio, l’Agenzia Internazionale dell’Energia considera la transizione energetica dei prossimi anni una grande opportunità lavorativa (ne abbiamo parlato qui). La stessa Unione Europea ha ormai adottato un approccio di programmazione economica cosiddetto mission-oriented: programmazione chiara di obiettivi, a priori (come la trasformazione industriale verso un’economia circolare o la decarbonizzazione di certi settori produttivi), coordinato dagli stati e con forte spinta sull’innovazione.

Tuttavia, tanto nel processo virtuoso di ripagamento del debito – che, in parte, deve avvenire anche attraverso le risorse proprie (come tassazioni sulle transazioni finanziarie o sul carbonio) – quanto nel normale processo produttivo, sarà necessario riconsiderare la natura degli indicatori di benessere. Oggi, infatti, la ricchezza delle nazioni è sostanzialmente misurata con il prodotto interno lordo, che somma il consumo delle famiglie, gli investimenti delle imprese e in edilizia residenziale, la spesa pubblica e le esportazioni nette. Un recente briefing dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, riferendosi alla letteratura sull’argomento, sottolinea che una crescita quantitativa come quella attuale non può che intaccare fatalmente la disponibilità di risorse naturali, oltre a essere storicamente correlata all’innalzamento della concentrazione di diossido di carbonio in atmosfera.

Al netto di un efficientamento del sistema produttivo, per il quale sarà vitale investire in ricerca di base e applicata, bisognerà quindi trasformare alla base il paradigma economico, verso un approccio più sobrio nello sfruttamento delle risorse. Un interessante tentativo in questo senso proviene dal modello «a ciambella» dell’economista Kate Raworth, per cui serve garantire un pavimento sociale (diritti, cibo, istruzione, lavoro, …) e rispettare un tetto ambientale (biodiversità, uso dell’acqua dolce, temperatura atmosferica, …). Lo spazio tra questi due confini sarebbe quello che il gruppo di Johan Rockström, tra gli altri, ha chiamato «operativo e sicuro».

Tra i vari strumenti economici per la transizione ecologica, c’è anche la finanza, e in particolare quella sostenibile. In poche parole, la finanza sostenibile fa uso di una terna di criteri con i quali effettuare gli investimenti cosiddetti sostenibili responsabili: i criteri ESG – Environmental, Social e Governance. Generalmente la finanza sostenibile ha un raggio d’azione orientato sul medio-lungo periodo, non breve o brevissimo come nella finanza tradizionale, con lo scopo di promuovere e finanziare attività che portino beneficio all’ambiente (come la realizzazione di impianti fotovoltaici), alla società (come il rispetto dei diritti dei lavoratori) e alla governance (le cosiddette pratiche di «buon governo»). Sul piano europeo si stanno definendo dei criteri di investimento sempre più uniformi – la «tassonomia per gli investimenti sostenibili» – anche per prevenire le numerose pratiche di greenwashing.

Intervista a Daniela Palma e Alessandro Asmundo

Per approfondire alcuni degli aspetti economici legati alla transizione ecologica abbiamo intervistato Daniela Palma, prima ricercatrice dell’ENEA nelle aree dell'economia dell'innovazione e dello sviluppo economico sostenibile, e Alessandro Asmundo, Research and EU Projects Officer del Forum Finanza Sostenibile.

 

Bibliografia
Giovannini E. (2018), L'utopia sostenibile, Bari, Laterza
Mazzucato M. (2018), Il valore di tutto, Bari, Laterza, (trad. italiana)
Mazzucato M. (2013), Lo stato innovatore, ed. 2018, Bari, Laterza (trad. italiana)
Palma D. (2019), Un nuovo modello di sviluppo contro il cambiamento climatico, Ambiente Rischio
Comunicazione n.16, Doppiavoce
Raworth K. (2017), Doughnut Economics: Seven Ways to Think Like a 21st-Century Economist,
Cornerstone
Crediti video
Musica: YouTube Audio Library
Immagini e video: Commissione Europea, slide Forum Finanza Sostenibile fornite da Alessandro Asmundo, Pixabay.
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