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La ricerca sul diabete

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La ricerca avanza ma è trattenuta da lacci che le impediscono di fare tutto quel che potrebbe per la conoscenza e la cura delle malattie. “Come l’FDA può costarti la vita” è il titolo di un articolo pubblicato il 3 ottobre del 2011, sul Wall Street Journal, da Scott Gottlieb, un medico ed ex Commissario incaricato per conto della Food and Drug Administration statunitense. Conoscendo bene la realtà di cui parla, Gottlieb mette in luce i meccanismi per cui un sistema di regolazione che è stato creato per proteggere la vita delle persone si sia evoluto nella direzione opposta, ostacolando di fatto lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Solo le grandi multinazionali farmaceutiche hanno infatti le risorse per poter affrontare l’oneroso processo di autorizzazione richiesto dalla complicata macchina regolatoria, per cui la messa a punto di trattamenti innovativi è condizionata dagli interessi dell’industria, indirizzati ovviamente, per quanto legittimamente, al profitto. Una tecnica come il trapianto di cellule pancreatiche per la cura del diabete, per esempio, che potrebbe curare una volta per tutte la malattia, è sicuramente meno conveniente che non la produzione di nuove insuline, pompe e apparecchiature di monitoraggio per milioni di pazienti in tutto il mondo. Le aziende non hanno quindi interesse a investire in questa direzione. 

«L’alternativa potrebbe essere quella di istituire centri di eccellenza non profit per promuovere la ricerca traslazionale e la condivisione di conoscenza, usando il modello imprenditoriale del Diabetes Research Institute (DRI) dell’Università di Miami e della Federazione DRI» spiega Camillo Ricordi, ideatore del trapianto di cellule pancreatiche per la cura del diabete di tipo 1, a capo del Diabetes Research Institute stesso. «La Federazione è costituita da un network di laboratori (oggi più di 30, ma in crescita costante), sparsi per il mondo ma diretti dalla centrale di Miami, e connessi tra loro grazie alla rete e alle nuove tecnologie». 

Nell’ultimo capitolo del libro “La fine del diabete”, scritto a quattro mani con la giornalista scientifica Daniela Ovadia, che ha reso il testo brillante e di gradevolissima lettura, Ricordi sviscera nei suoi vari aspetti il groviglio di contraddizioni in cui è impigliata la ricerca, e propone soluzioni concrete a partire dalla sua esperienza e dalle nuove opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate.

«Alcuni Stati hanno interesse a velocizzare la ricerca di una cura perché il diabete costituisce un peso economico importante in termini di riduzione della produttività individuale e di qualità della vita della popolazione. Sono quindi questi i primi interlocutori di un’istituzione di ricerca non profit ma privata» aggiunge. «Per esempio, l’OMS stima che nel periodo 2006-2015 un grande Paese in pieno sviluppo come la Cina “perderà” circa 558 miliardi di dollari del suo PIL per fronteggiare il crescente impatto di infarti, ictus e diabete, tre patologie strettamente connesse. Gli sforzi pubblici sono legati principalmente alla prevenzione, ma non tutte le forme di diabete si possono prevenire e, soprattutto, non tutte dipendono dagli stili di vita dei pazienti». Quello di tipo 2, che rappresenta la stragrande maggioranza dei casi, però sì. Il libro lo ribadisce, sottolineando l’importanza di intervenire sull’alimentazione e sull’attività fisica, prima che con i farmaci, per riportare la glicemia nei limiti della norma. Sorvola invece sul fatto che l’iperglicemia, di per sé, non è una malattia, ma un fattore di rischio per altre condizioni, prime fra tutti gli eventi cardiovascolari. Gli studi che pongono come endpoint i livelli glicemici, quindi, non dimostrano l’efficacia dell’una o dell’altra terapia nel ridurre il rischio di infarti e ictus, principale scopo della prevenzione. La questione si è rivelata in tutta la sua importanza nella vicenda del rosiglitazone, efficace nel ridurre la glicemia, ma gravato da un aumento del rischio cardiovascolare che ha portato al suo ritiro in Europa e all’adozione di misure restrittive oltreoceano. Peccato che in un testo così esauriente non si sia fatto cenno a questo caso così esemplificativo. 

Per il resto il libro fornisce tutti i dati relativi a questa patologia il cui peso sembra inesorabilmente aumentare: «L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) calcola che sono circa 346 milioni i malati di diabete nel mondo: e sempre l’OMS ha stimato che il numero totale dei decessi provocati dalla malattia crescerà del 50 per cento nei prossimi 10 anni, portando il diabete al settimo posto tra le cause di mortalità mondiali. Più dell’80 per cento dei decessi per diabete avviene in Paesi in via di sviluppo, con un reddito medio piuttosto basso ».Partendo da storie di pazienti e di ricercatori e da curiosi aneddoti sui pionieri che hanno cercato, fin dall’Ottocento, di combattere il diabete, Ricordi e Ovadia raccontano tutto quel che si vorrebbe sapere sulla malattia: da quel che la provoca a come si tratta, dalle prospettive future della ricerca a un elenco di siti affidabili cui fare riferimento per trovare altre informazioni. Insomma, una guida pratica utilissima e maneggevole, scritta in un linguaggio accessibile a tutti, ideale per pazienti, familiari o chi semplicemente vuole saperne di più. Ma anche uno spunto di riflessione e dibattito per chi vive e lavora nel mondo della scienza. Partner dell’Editore è infatti il Gruppo 2003 e il volume fa parte della collana Zenit, che si propone di far conoscere i protagonisti italiani della scienza a livello mondiale seguendo il principio che per far amare la scienza bisogna far capire chi e come la fa. 


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