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I neuroni decidono per noi?

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Lo studioso israeliano Itzhak Fried ha pubblicato su un recente numero di Neuron una ricerca che promette di riaprire le polemiche sul rapporto fra le neuroscienze e il concetto di libero arbitrio. Fried è andato in sala operatoria mentre erano eseguite operazioni a cranio aperto su una dozzina di pazienti coscienti, affetti da forme intrattabili di epilessia. Ha potuto misurare l'attività di singoli neuroni mentre i pazienti replicavano l'esperimento che rese celebre il neuroscienziato statunitense Benjamin Libet negli anni Ottanta. In questo esperimento i pazienti devono decidere quando premere un tasto. Dopo aver azionato il tasto, i pazienti devono dire, avvalendosi di un orologio le cui lancette si muovono molto rapidamente, in quale momento avevano preso la decisione di muovere il dito. Libet scoprì, attraverso l'encefaloelettrografia (EEG), che il cervello dei pazienti esibiva un'attività particolare e riconoscibile già molti millisecondi prima che la decisione diventasse cosciente. Il cervello, insomma, agisce prima che la coscienza ne sia informata. Gli studi neurofisiologici di Fried confermano i risultati di Libet e individuano nell'area motoria supplementare (SMA) la regione dove si formerebbe l'intenzione di compiere un movimento volontario. Fried e colleghi sono in grado di usare le registrazioni dell'attività neuronale per predire il momento esatto in cui il soggetto diverrà cosciente della sua decisione e, nel caso in cui ai soggetti sia lasciata la libertà di scegliere se muovere la mano destra o quella sinistra, quale mano verrà mossa. L'accuratezza di queste previsioni è piuttosto elevata.

I progressi dell'indagine neuroscientifica sulla volizione sembrano negare che la coscienza abbia un ruolo causale su alcune azioni umane che normalmente sono ritenute libere e coscienti. La coscienza verrebbe informata solo a cose fatte. Ma questo non significa affermare che gli esseri umani non godono di libertà o che non siano responsabili delle loro azioni. Infatti, le previsioni hanno ancora un certo margine di errore, cosicché non possiamo affermare di essere di fronte a una spiegazione soddisfacente della volizione nell'uomo. Inoltre l'esperimento di Libet non prevede alcun ruolo per credenze e desideri, che sono invece importanti nei casi in cui agli esseri umani sembra di essere particolarmente liberi, come nelle scelte dilemmatiche. Infine, dato che la comparsa della decisione nella coscienza precede l'azione, la mente cosciente potrebbe svolgere un ruolo inibitorio e bloccare un'azione considerata inaccettabile. Invece di un “free will” ci potrebbe essere un “free won't”, un potere di veto su ciò che i neuroni propongono di fare.

Probabilmente il clamore suscitato da questi risultati neuroscientifici trova spiegazione nell’abitudine di identificare un essere umano con la sua coscienza, specialmente quando si parla di responsabilità. Alcuni sistemi legali considerano condizione di punibilità la presenza di una mens rea, di una mente colpevole che ha consapevolmente trasgredito la legge. Ma le neuroscienze ci stanno mostrando che molta della nostra vita psichica cosciente è influenzata da meccanismi incoscienti, cioè da moduli funzionali del sistema nervoso centrale di cui abbiamo notizia solo grazie alle scienze empiriche.

Con buona probabilità queste ricerche ci spingeranno a rivedere alcune equazioni tipiche della cultura occidentale come, per esempio, quella “io = coscienza”. Questo in quanto la coscienza stessa è basata su strette interconnessioni sia fra aree del cervello, sia fra sistema nervoso centrale e resto dell'organismo. Una visione dell'uomo più naturalistica, in cui l'equazione centrale sarebbe “io = corpo umano”, renderebbe i risultati delle neuroscienze meno sorprendenti. Da questa prospettiva il concetto di responsabilità appare eminentemente sociale (e non naturale) e l'attenzione, nel caso delle attribuzioni di responsabilità, si sposta dalla mens rea a una questione di controllo. Invece che cercare di identificare le intenzioni dell'agente, diventerebbe prominente comprendere il grado di controllo esercitato dall'individuo nel suo complesso sulle proprie azioni.

Secondo questa prospettiva un imputato in tribunale non avrebbe più ragione di ricorrere a tecnologie di neuroimaging per cercare di attribuire la responsabilità delle azioni che gli sono ascritte al suo cervello, come si sta cominciando a fare negli USA.

Infatti, se l'ottica che propongo fosse adottata, risulterebbe chiaro che l'imputato è il suo corpo, e quindi anche il suo cervello. Attribuire la responsabilità delle azioni alla costituzione del cervello significa quindi attribuire la responsabilità all'individuo. Chi cercasse di discolparsi accusando il suo cervello non farebbe dunque altro che accusare se stesso.

Fried I, Mukamel R, and Kreiman G. 2011. Internally generated preactivation of single neurons in human medial frontal cortex predicts volition. Neuron 69: 548-562


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