fbpx Non è la fine del mondo. E un pianeta sostenibile è (ancora) possibile | Scienza in rete

Non è la fine del mondo. E un pianeta sostenibile è (ancora) possibile

Tempo di lettura: 5 mins
Due mani a coppa che proteggono una piantina che nasce, su sfondo verde

I problemi ambientali e la crisi climatica sono senz'altro seri, ma affrontabili con azioni concrete e basate sui dati. È il punto centrale del saggio Non è la fine del mondo di Hanna Ritchie. Con un approccio ottimistico e critico, possiamo conciliare sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale, evitando scorciatoie come la decrescita demografica ed economica. 

Il negazionismo ambientale e climatico è completamente infondato, perché il problema dell’inquinamento e quello del riscaldamento globale sono assai seri e richiedono misure radicali. Altrettanto infondata, tuttavia, è la convinzione che ormai non vi sia più nulla da fare, perché stiamo andando verso il disastro. Nel suo libro Non è la fine del mondo. Come possiamo costruire un pianeta sostenibile (pubblicato in italiano da Aboca Edizioni), Hanna Ritchie ci spiega che le soluzioni sono possibili. E che non sempre quelle che a molti di noi paiono le scelte migliori sono anche le più efficaci.

Secondo il Guardian, il libro è pieno di soluzioni utili e pragmatiche, tanto che «We urgently need her and people like her» (Abbiamo urgente bisogno di lei e di persone come lei). Sulla stessa linea la prestigiosa rivista Science: «As Ritchie demonstrates, a better future for both people and planet is possible and even achieveble» (Come dimostra Ritchie, un futuro migliore sia per le persone sia per il pianeta è possibile e possiamo perfino raggiungerlo). A condizione, naturalmente, che studiamo le varie questioni basandoci sui dati, e non su ideologie preconcette. Ma entriamo nei dettagli.

Hanna Ritchie è una scienziata ambientale, attualmente senior researcher all’Università di Oxford. Sin dall’introduzione, l’autrice si appoggia esclusivamente a dati solidi e scientificamente accertati. Per ammonirci, prima di tutto, sulle conseguenze del catastrofismo ampiamente diffuso fra gli ambientalisti. Questo determina, fra i giovani, una visione estremamente spaventata del futuro, con riflessi persino sulla volontà di avere dei figli. Come se stessimo viaggiando verso la fine del mondo. Ora, se questo fosse vero, ci sarebbe poco da fare. Ma l’estremo pessimismo verso la possibilità di un futuro sostenibile per il pianeta non è fondato. I principali indicatori di benessere sociale e ambientale sono infatti in miglioramento a livello globale: la percentuale di persone che vivono in estrema povertà, il numero di bambini che muoiono, il numero delle bambine e ragazze che non vanno a scuola, le percentuali dei bambini vaccinati anche nel Sud del mondo, la disponibilità di acqua pulita e di cibo, persino le emissioni climalteranti. Questo, naturalmente, se attiviamo non lo zoom ma il grandangolo, vale a dire se guardiamo ai fenomeni sociali sui tempi lunghi e da lontano.

Di fronte a questi dati, un ragionevole e critico ottimismo è un dovere, perché è il solo atteggiamento che determina conseguenze positive sia sul piano individuale che sul piano sociale. Non siamo “l’ultima generazione” e non dobbiamo ribellarci a una “estinzione” in corso. Pensare così porta molti, soprattutto giovani, a gesti distruttivi e di pessimismo e li allontana dall’impegno costruttivo per risolvere i problemi, secondo le indicazioni della scienza e con la giusta (ma non acritica) fiducia nella tecnologia. I giovani di oggi non sono “l’ultima generazione”, anzi, potrebbero essere la prima a conseguire un mondo nel complesso sostenibile, vale a dire un mondo in cui sia possibile conciliare un ragionevole sviluppo con la salvaguardia ambientale. Perché, per quanto controintuitivo ciò possa apparire, il mondo non è mai stato complessivamente “sostenibile”.

Il libro di Hannah Ritchie analizza in dettaglio alcuni fra i principali problemi ambientali che il mondo sta affrontando e dovrà (meglio) affrontare nei prossimi anni. Per ciascun problema, l’analisi parte da un'affermazione di estremo pessimismo, presente e spesso dominante nel dibattito pubblico. Per dimostrare, sempre e solo con dati scientifici, che i problemi ambientali sono molto seri, ma concretamente affrontabili, se lo vogliamo. E che non stiamo sprofondando verso l’abisso. Il tutto con quattro fondamentali avvertenze preliminari. La prima è che i problemi ambientali da affrontare sono davvero gravi. In mani sbagliate, l’ottimismo critico professato dall’autrice può fare seri danni. Può aggravare le conseguenze dell’inquinamento, soprattutto verso chi vive in condizioni già disagiate. Non possiamo rilassarci pensando che, tutto sommato, non stiamo scivolando verso l’estinzione e che il mondo è ambientalmente migliore rispetto a un secolo addietro. Anzi, dobbiamo trovare una spinta per agire più e meglio, anziché cullarci nel pessimismo.

La seconda avvertenza è che, mentre riflettiamo sull’ambiente e pensiamo a cosa possiamo fare, anche nella nostra vita individuale, per migliorare la situazione, non siamo soli. Certo, vi sono forze che frenano l’azione per il miglioramento ambientale. Ma, in tutto il mondo, molti economisti, scienziati e tecnici, sia nelle agenzie internazionali che nei governi e persino nei consigli di amministrazione di molte grandi società, stanno lavorando per migliorare le cose. Stanno lavorando spesso nel silenzio e con grande fatica. Stanno lavorando seguendo le indicazioni della scienza.

Ancora, seguire le indicazioni della scienza è quanto anche ciascuno di noi deve provare a fare nella propria vita individuale. Perché non basta agire, nel nostro piccolo, per l’ambiente e il clima. Bisogna anche e soprattutto agire nel modo più efficace. Leggendo questo libro, scoprirete che in molti casi la nostra percezione di quanto è ambientalmente utile differisce dalla realtà.

Infine, occorre sapere e accettare che due scorciatoie, spesso sostenute con entusiasmo, non sono efficaci, né realistiche, per raggiungere la sostenibilità ambientale. La prima è quella di spingere la decrescita demografica. Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, il numero dei bambini da 1 a 5 anni nel mondo ha raggiunto il suo picco nel 2017. Questo significa che la popolazione mondiale raggiungerà il suo picco intorno al 2080 (da 10 a 11 miliardi). Ora, anche ammesso che esistano modi umani per costringere le persone a non avere figli (o ad averne non più di uno), questo non risolverebbe i problemi dei prossimi vent’anni. Non siamo in troppi, sono le impronte ecologiche di ciascuno di noi a essere eccessive.

La seconda scorciatoia, tanto frequentemente invocata quanto irrealistica, è quella della decrescita economica (più o meno felice). Le nazioni ricche devono molto migliorare la propria sostenibilità. Ma non erano più socialmente e ambientalmente sostenibili quando erano più povere. Inoltre, per far accedere tutta la popolazione mondiale a standard di vita dignitosi, abbiamo ancora bisogno di crescita economica, purché sostenibile ambientalmente. Decine di migliaia di anni fa, gli umani potevano produrre energia solo bruciando legno. Poi si sono aggiunti carbone e olio. Tutte soluzioni ambientalmente insostenibili. Solo con la crescita e la tecnologia degli ultimi decenni sono state rese disponibili, e sono in grande (seppur ancora insufficiente) crescita, soluzioni sostenibili: il fotovoltaico, il solare, l’eolico, ecc.

Sulla base di queste interessanti premessi, il volume di Ritchie affronta in dettaglio sette fra i più gravi problemi ambientali: sostenibilità, inquinamento ambientale, cambiamento climatico, deforestazione, cibo, biodiversità, plastiche nell’oceano, pesca eccessiva nei mari. Per ciascuno di essi, vengono identificati i problemi e le possibili soluzioni. E vengono illustrati gli errori di valutazione che spesso compiamo anche nella nostra vita privata. Un problema alla volta, ne parlerò nei prossimi mesi. Ma nel frattempo, soprattutto se questa introduzione NON vi convince, cosa aspettate a comperare e leggere il libro?

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Solo il 3,5% delle città europee monitorate ha una buona qualità dell’aria

Inquinamento atmosferico cittadino

Solo 13 città europee tra quelle monitorate su 370 circa rispettano il limite OMS di 5 microgrammi per metro cubo annui di PM2,5. La svedese Uppsala è la prima. Nessuna di queste è italiana. Nonostante la qualità dell'aria e le morti associate sono in continuo calo in Europa, serve fare di più.

Immagine: Uppsala, Lithography by Alexander Nay

La maggior parte delle città europee monitorate non rispetta il nuovo limite dell’OMS del 2021 di 5 microgrammi per metro cubo all’anno di concentrazione di PM2,5. L’esposizione a particolato atmosferico causa accresce il rischio di malattie cardiovascolari, respiratorie, sviluppo di tumori, effetti sul sistema nervoso, effetti sulla gravidanza.