Come ha fatto l’uomo ad adattarsi alla steppa siberiana? Quali geni lo hanno aiutato a sopravvivere a temperature che scendono oltre 20 °C sotto lo zero? Una giovane ricercatrice dell’Università di Cambridge ha cercato risposte nel materiale genetico delle popolazioni artiche: durante il ciclo di conferenze Unravelling Human Origins, Alexia Cardona ha presentato i risultati dello studio condotto insieme ad altri genetisti su 200 campioni di Dna, provenienti da quasi tutte le regioni della Siberia.
Cardona e il suo team hanno usato alcune tecniche che individuano i segni della selezione naturale nel genoma umano”. Così hanno trovato tre geni che, aiutando l’uomo a sopravvivere alle basse temperature, sono stati favoriti dalla selezione naturale. Il gene ENPP7 produce un enzima che consente di digerire i grassi di carne e latticini, fondamentali nell’alimentazione dei popoli siberiani. Il PRKG1 ha un ruolo importante nella contrazione della muscolatura liscia, nonché nel restringimento dei vasi sanguigni che ostacola eccessive dispersioni di calore: è evidente quanto possa essere prezioso mantenere il calore corporeo in una regione in cui le temperature possono scendere molto sotto lo zero. Ultimo, ma non in ordine di importanza, il gene UCP1 favorisce la termogenesi “senza brivido”, ovvero la trasformazione diretta delle riserve di grasso del corpo in calore piuttosto che in energia.
La ricerca di Cardona, oltre a chiarire il funzionamento dei meccanismi della selezione naturale, ha anche una valenza paleontologica. Infatti, i geni che consentono alle popolazioni siberiane di sopportare il freddo artico potrebbero aver avuto un ruolo nell’adattamento alle temperature di quelle regioni da parte dei primi ominidi che le popolarono: l’uomo di Neandertal e l’uomo di Denisova, la cui scoperta risale soltanto al 2010.
