fbpx Il maiale frutto di un'ingegneria genetica "pulita" | Scienza in rete

Il maiale frutto di un'ingegneria genetica "pulita"

Primary tabs

Read time: 3 mins

Basta solo un piccolo ritocco al DNA per conferire a un maiale la capacità di resistere a molte infezioni. Diciassette anni dopo la pecora Dolly, lo stesso Roslin Institute di Edimburgo che l’aveva clonata segna una nuova svolta nella storia dell’ingegneria genetica: pochi giorni fa Bruce Whitelaw e i suoi collaboratori hanno infatti dichiarato all'Independent di aver ottenuto un primo maialino (chiamato Pig 26) con una tecnica completamente nuova, il DNA editing. L’intervento sul materiale genetico dell’animale è minimo, identico a quel che accade spontaneamente in natura: la semplice delezione di una sola specifica base, sui tre milioni che costituiscono il genoma del maiale. Una piccola mutazione che però ha ricadute pratiche enormi, dal momento che conferisce all’animale una straordinaria resistenza a molte infezioni, tra cui la febbre suina africana.

Questa caratteristica genetica è tipica dei maiali selvatici africani che però non possono essere incrociati con quelli domestici europei: la nuova tecnica di ingegneria genetica “mirata” ha quindi di fatto solo riprodotto quel che accadrebbe anche in natura se fosse possibile l’incontro tra le due specie, o se il carattere si selezionasse in Europa. «In questo modo si dovrebbero superare le obiezioni di chi si oppone alla produzione di organismi geneticamente modificati, soprattutto se destinati all’alimentazione umana» ha spiegato lo scienziato. «Diversamente dalle tecniche utilizzate abitualmente, il nuovo metodo non  prevede l’inserimento nel DNA di geni che conferiscono resistenza agli antibiotici, e in molti casi nemmeno la clonazione, ma solo l’intervento diretto sull’ovocita fecondato». In pratica si guida in laboratorio un processo che avviene normalmente come spinta all’evoluzione.

Il nuovo metodo è da 10 a 15 volte più efficiente delle tecniche di ingegneria tradizionale, tanto che in ogni figliata di porcellini ce ne potrebbe essere almeno uno con la mutazione. «Il genoma dell’animale geneticamente modificato è identico a quello di uno che avesse subito una delezione spontanea. Il nostro operato non ha lasciato nessun altro segno».

Se non quello della resistenza alle infezioni, appunto, un obiettivo perseguito da molti gruppi di ricerca per la sua rilevanza in ambito zootecnico: «Con l’aumento della popolazione mondiale, che richiede un sempre maggior apporto di carne, occorre migliorare l’efficienza della produzione alimentare» ha aggiunto Helen Sang, che nello stesso istituto scozzese lavora sui polli, fondamentali nella dieta di molte popolazioni. La ricercatrice cerca il modo di renderli resistenti ai virus dell’influenza, che spesso decimano (o costringono a sopprimere) interi allevamenti.

La notizia del risultato ottenuto a Edimburgo arriva mentre si aspetta dalla Food and Drug Administration statunitense un pronunciamento storico: dopo aver dichiarato che a suo parere non esistono seri rischi ambientali né per la salute, l’ente regolatorio statunitense dovrebbe infatti approvare a breve per la prima volta la possibilità di utilizzare per l’alimentazione umana un animale geneticamente modificato. Si tratta di un salmone, messo a punto dalla Aquabounty Technologies of Massachusetts con una tecnologia più tradizionale di quella utilizzata in Scozia, che si avvale di gene capace di far crescere il pesce molto più del normale, e in tutte le stagioni.

 

http://www.independent.co.uk/news/science/pig-26-can-this-little-piggy-win-over-the-enemies-of-gm-8574119.html

Autori: 
Sezioni: 
Canali: 
Indice: 
OGM

prossimo articolo

Naomi Oreskes: «Ho mostrato come la scienza viene manipolata. E ora spiego perché»

Naomi Oreskes al Convegno Nazionale di Comunicazione della Scienza della SISSA di Trieste

La storica della scienza Naomi Oreskes è stata protagonista della giornata conclusiva del Convegno Nazionale di Comunicazione della Scienza tenuto alla SISSA di Trieste. La docente di Harvard scava alle radici del fondamentalismo economico, mettendo a nudo le fallacie di un’ideologia che vuole abolire il più possibile le regole per lasciare mano libera al mercato. E mostra le deliberate strategie con cui è stata diffusa. Un’ideologia che odia lo Stato, nel culto della libertà dell’individuo e dell’impresa, ma vede anche nella scienza un’avversaria, perché è proprio la scienza che dimostra i gravi danni provocati da un mercato privo di regole.

Nell’Aula Magna della SISSA c’è molta aspettativa, e si sente. Naomi Oreskes, invitata a parlare nella giornata conclusiva del Convegno Nazionale di Comunicazione della Scienza, tenuto alla SISSA di Trieste dal 2 al 5 dicembre, presenterà il suo ultimo saggio The Big Myth – How American Business Taught Us to Loathe Government and Love the Free Market (presto in libreria anche in traduzione italiana).