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Splendori e miserie della scienza italiana

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I ricercatori italiani fanno sempre di più, con sempre meno. O, se volete, continuano a celebrare con fichi sempre più secchi nozze di sempre maggiore successo. Tre recentissimi rapporti internazionali ci danno la misura di questa condizione paradossale in cui ormai verso la scienza italiana.
Il primo è il rapporto sulla “Consolidator Grant 2013 Call” con cui l’European Research Council (ERC) ha finanziato 312 progetti di ricerca scientifica, europei e non, sulla base unicamente del merito. La dotazione della Call era notevole: 575 milioni di euro. Il finanziamento per singolo progetto presentato da un ricercatore era piuttosto alto: in media 1,84 milioni di euro con un picco massimo di 2,75 milioni di euro. La competizione è stata al massimo livello. (vedi anche questo articolo)
Questi i risultati. La Germania ha visto premiati 48 suoi ricercatori. Subito dopo, l’Italia: con 46 ricercatori.
Seguono, nettamente distaccate, la Francia (33), la Gran Bretagna (31) e l’Olanda (27). Poi ancora il Belgio e Israele (17) e la Spagna (16). Per avere un’indicazione di quanto sia straordinaria la performance dei ricercatori italiani basta ricordare che l’Italia ha ottenuto praticamente lo stesso numero di successi della Germania, sebbene spenda in ricerca meno di un quarto della Germania (17 miliardi di euro contro i 71 della Germania).
E ha ottenuto il 39% di successi in più della Francia, sebbene la Francia investa in ricerca una cifra (40 miliardi nel 2013) che è quasi due volte e mezza quella italiana. Lo stesso vale per la Gran Bretagna: con un investimento in R&S doppio rispetto a quello italiano, ha visto finanziati un terzo in meno di progetti di suoi ricercatori rispetto a quelli degli italiani.

Pochi giorni prima il rapporto International Comparative Performance of the UK Research Base – 2013, elaborato dagli esperti della Elsevier per conto del Department of Business, Innovation and Skills (BIS) del governo della Gran Bretagna registrava l’avvenuto sorpasso dei ricercatori italiani su quelli americani in termini non solo di produttività, ma in termini di qualità. La performance può essere racchiusa in poche cifre: nell’anno 2012 con l’1,1% dei ricercatori del mondo, con l’1,5% della spesa totale mondiale che, secondo la rivista R&D Magazine ha superato i 1.150 miliardi di euro; l’Italia ha prodotto il 3,8% degli articoli scientifici del pianeta che hanno ottenuto il 6% delle citazioni. Le citazioni sono considerate, appunto, un indice di qualità. E, dunque, la qualità media degli articoli scientifici di autori italiani è cresciuta costantemente negli ultimi anni e ora è 6 volte superiore alla media mondiale. I nostri ricercatori hanno fatto meglio degli americani. E sono stati superato solo dagli inglesi e dagli svizzeri. 
Possiamo riassumere queste due notizie con un piccolo slogan: i ricercatori italiani sono pochi, ma buoni. Lavorano molto e hanno stoffa.
Ma qui iniziano le dolenti note. Lo stesso rapporto dell’ERC sui suoi Consolidator Grant riporta che dei 46 assegni staccati per i ricercatori italiani, solo 20 saranno spesi in Italia: 26 ricercatori (il 57% dei vincitori) lo andranno a spendere all’estero. Perché all’estero trovano un ambiente migliore.

In nessun altro paese la diaspora è stata così alta. I tedeschi che spenderanno all’estero il loro grant sono 15 (il 31%); i francesi 2 (il 6%); gli inglesi 4 (il 13%). Inoltre la capacità di attrarre ricercatori dall’estero è sfacciatamente contraria al nostro paese: 10 stranieri andranno a spendere il loro grant in Germania e altrettanti in Francia; addirittura 34 stranieri andranno in Gran Bretagna. Cosicché la classifica dei paesi dove verranno spesi i soldi dell’ERC è completamente ribaltata: 62 progetti saranno realizzati nel Regno Unito; 43 in Germania; 42 in Francia e solo 20 in Italia.
Il succo è chiaro: i ricercatori italiani sono bravi – più bravi di quasi tutti  gli altri – ma l’Italia non è un paese adatto per fare scienza.
D’altra parte per avere buone idee non occorrono soldi. Ma per creare un ambiente adatto alla scienza, occorrono investimenti. E gli investimenti italiani in ricerca scientifica stanno crollando. Secondo la rivista americana R&D Magazine, che ogni anno redige un rapporto sugli investimenti mondiali in ricerca, l’Italia è decima al mondo per produzione di ricchezza (Pil), ma solo quattordicesima per investimenti assoluti in ricerca scientifica. Eravamo dodicesimi nel 2012. Lo scorso anno ci hanno superato anche Australia e Taiwan.
I due paesi hanno un Pil pari alla metà di quello italiano, ma investono di più in ricerca. Non solo in termini relativi, ma assoluti.
Questo, dunque, è il paradosso della scienza italiana. Da un lato aumenta la produttività e la qualità della ricerca, dall’altro diminuiscono i finanziamenti. In pratica l’Italia sta disperdendo la risorsa che conta di più nell’era della conoscenza. L’unica, forse, che sarebbe in grado di tirarla fuori dal percorso di declino in cui si è incamminata da due o tre decenni. Se solo ce ne accorgessimo anche noi, oltre che gli esperti stranieri.

Articolo pubblicato su l'Unità

Il Ministro Maria Chiara Carozza sulle pagine del L'Unità in merito a questo articolo


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