Oggi, più
che in passato, si parla di intolleranze e allergie alimentari. L’attenzione
verso questo argomento è aumentata anche in seguito alla recente entrata in
vigore della Direttiva Ue che impone ai
ristoratori di segnalare sui menu gli alimenti potenzialmente pericolosi. Tanti
si lamentano e anche gli chef sono sul piede di guerra ma i consumatori
dovrebbero accogliere con soddisfazione la novità perché le conseguenze di
un’alimentazione sbagliata possono essere drammatiche.
Nel mirino c’è sovente il glutine. Da tempo,
nei supermercati, esistono scaffali appositamente dedicati agli alimenti che ne
sono privi. Sono per le persone affette da celiachia, una malattia che in
Italia colpisce circa una persona su 120. Pare che sia largamente sottostimata
in quanto le diagnosi si aggirano intorno al 15% circa del totale.
Ma cos’è il
glutine e dove si trova?
Il glutine è un complesso proteico che si trova
nelle farine di diversi cereali del genere Triticum. Ricordiamo,
tra gli altri: frumento, orzo, segale e farro. I celiaci non tollerano
precisamente la gliadina, una proteina che costituisce un’importante frazione
del glutine. La scoperta del glutine risale pressappoco alla metà del
Settecento ed è comunemente attribuita a Jacopo
Bartolomeo Beccari (Bologna, 1682 -1766). Si era laureato nel 1704 in Filosofia e Medicina all’Università di
Bologna. Nel 1709 venne dichiarato “pubblico professore” e due anni dopo fu
nominato professore di fisica, materia che insegnò pubblicamente a partire dal
1714. Nel frattempo aveva intrapreso la professione di medico.
Nel 1734 fu
chiamato a ricoprire la cattedra di chimica dell’ateneo felsineo, la prima in
Italia, se si considerano la regolarità delle lezioni e la presenza di esercitazioni
pratiche. Beccari si dedicò all’insegnamento della chimica fino alla morte,
sopraggiunta mentre faceva lezione agli studenti. Nonostante fosse di salute cagionevole e fosse
costretto ad assentarsi per lunghi periodi non rinunciò mai al suo incarico. Ebbe
numerosi, importanti, riconoscimenti.
Fu Presidente dell’Accademia delle
Scienze dell’Istituto di Bologna per quattro mandati e fu membro della Royal
Society. Presentò le sue ricerche sul glutine nel 1728 all’Accademia delle
Scienze dell’Istituto di Bologna. Il Segretario Zanotti ne riferì nella sezione
Chymica del Tomo II dei Commentarii (“De Bononiensi
Scientiarum et Artium instituto atque academia commentarii”) (1745), sotto il titolo “De Frumento”.
Vi erano descritti gli esperimenti che avevano portato Beccari a isolare il
glutine.
La farina proveniva dal miglior frumento, poco tritato e setacciato, senza
crusca. L’aveva impastato con acqua
purissima e basandosi sulla diversa solubilità in acqua aveva separato la parte
glutinosa (insolubile) da quella
amilacea (solubile). Ciascuna era stata sottoposta a digestione con lieve e
continuo calore, poi a fermentazione indi a distillazione con forte calore. Dal
confronto dei prodotti ottenuti e da alcuni saggi chimici era giunto alla
conclusione che la parte glutinosa aveva caratteristiche analoghe alla carne
tanto da definirla come “parte
animale”. Confrontò anche le farine di
cereali diversi per valutarne le differenti percentuali di “parte
animale”.
Il più autorevole chimico
europeo del secolo successivo, lo svedese Berzelius (Wäfversunda 1779 -Stoccolma 1848)
citando il glutine nel suo Trattato di
Chimica non aveva dubbi sullo scopritore, anche se lo chiamava “glutine di
Beccaria”. In effetti, come sempre succede, anche altri nomi andrebbero
associati alla scoperta ma certo Beccari vi contribuì parecchio. Molti anni dopo qualcuno contestò la priorità
di Beccari. A Bologna, nel 1949, si era
svolto un importante convegno in cui l’allora professore di Chimica Giovanni
Battista Bonino aveva celebrato Beccari con una certa enfasi. Nel 1952, un professore che insegnava Botanica nella stessa Università, Roberto Savelli (1895-1968), parlando all’VIII Congresso Internazionale di
Storia della Scienza di Firenze (1956), presentò una memoria dal titolo eloquente:
Jacopo
Bartolomeo Beccari n’a pas découvert le gluten. Sosteneva che il primo studioso che aveva elevato il
glutine a dignità scientifica era stato un altro bolognese: Francesco Maria
Grimaldi (1618-1663). Se n’era occupato nel De Lumine, un’opera postuma
(1665) così importante che Beccari non poteva ignorare.
Savelli concludeva il suo articolo ricordando che Bologna è la città delle
tagliatelle (fettuccine), un tipo di pasta che la massaia preparava in casa, partendo da una sfoglia
sottile tirata a mano. Quasi certamente,
secondo Savelli, la scoperta del glutine avvenne per caso, in cucina, a opera di qualche massaia bolognese che poi
la divulgò come oggetto di curiosità.
Non sappiamo se Savelli avesse ragione ma il
fatto che tanti nostri antenati, spesso di umile origine e analfabeti,
impegnati da secoli nel faticoso confronto con la natura, abbiano contribuito (a
modo loro) alla produzione e diffusione della conoscenza ci sembra abbastanza
scontato.
Per saperne di più
Clifford D. Conner, Storia popolare della
scienza, Tropea, Milano, 2008