Comunicare è difficile, ma comunicare la scienza lo è ancora
di più. Lo sa bene Sébastien Balibar, fisico e professore francese, direttore di ricerca del CNRS presso il Laboratorio di Fisica
Statistica della École Normale Supérieure a Parigi, nonché autore di oltre 200
pubblicazioni e di tre libri.
Noi lo abbiamo intervistato,
scoprendo come giorno dopo giorno viva il suo lavoro in modo consapevole e appassionato.
Balibar ci parla di sé e della propria attività di divulgatore, raccontandoci cosa
vede attraverso gli occhiali tondi dalla montatura sottile.
Come avviene il passaggio
dalla ricerca scientifica alla divulgazione?
Passare dalla vita di
ricercatore alla scrittura è davvero stimolante, ma è anche difficile. Devi
distanziarti da quello che fai, capire cosa è importante e cosa no per poter
andare oltre la superficie, tralasciando i dettagli tecnici. Ci sono scienziati
che scrivono libri per parlare del proprio successo o descrivere formule
matematiche impossibili, solo per dimostrare quanto sono brillanti: ecco, non
sono questi i libri che mi piacciono. Elogiare me stesso o essere criptico non
è nel mio stile. A me piace andare incontro alle persone, mi piace che la gente
possa comprendere quello che faccio. Credo che, se si riesce in questa impresa,
il risultato è qualcosa di grandioso.
Lei è riuscito a
raggiungere questo traguardo con il libro “L’atomo e la mela”, edito nel 2009?
Mi auguro di sì. “L’atomo
e la mela” tratta 12 storie contemporanee riportando la fisica a una dimensione
quotidiana; è stato tradotto in tutto il mondo ed
è un successo editoriale di cui sono molto orgoglioso. Dopo la pubblicazione mi
hanno invitato a essere ospite di programmi radiofonici e televisivi, ma quello
che mi ha emozionato di più è stato ricevere messaggi e lettere da persone che
non avevo mai conosciuto prima in vita mia. Di solito un ricercatore lavora
isolato nel suo studio, per cui gli è difficile avere un vero e proprio
rapporto con la gente. Grazie a questo libro, però, io sono riuscito a creare
un contatto.
Per gli scienziati, in
effetti, è sempre difficile raggiungere le persone. Crede che la causa siano
solo le pareti dei laboratori o intervengono altri fattori? C’è modo di colmare
la distanza?
Il problema
fondamentale è che oggi l’immagine della scienza è negativa: gli scienziati
sono esseri umani, ma molti credono che
siano degli squilibrati senza nessuna connessione con il mondo esterno. Semplicemente
non si fidano di noi. Senza la scienza, però, non potremmo venire a conoscenza
di problemi cruciali come il riscaldamento globale, non potremmo predire quello
che accadrà o monitorare i fenomeni; molti problemi senza la tecnologia di
fatto non avrebbero soluzione. Quindi, se l’opinione pubblica continua a essere
diffidente e incosciente, per persuaderla bisogna trovare la chiave giusta:
questa chiave sono le storie. Se devi credere a qualcuno devi sapere chi è,
conoscerlo, sapere perché fa quello che fa, e questo messaggio può trasparire
solo attraverso la narrazione della scienza e dei suoi protagonisti.
In questo senso,
cambia qualcosa nell’ambito della fisica rispetto alle altre discipline?
Per i fisici,
purtroppo, forse è ancora più complicato essere capiti e accettati che per gli altri
scienziati. Veniamo accomunati a scoperte terribili e controverse come la bomba
atomica e per il pubblico diventa difficile investire la propria fiducia. Un
altro problema è che spesso le persone hanno un brutto rapporto con la fisica,
in parte perché necessita di ragionamento individuale e in parte a causa della
loro esperienza scolastica: tutto ciò che ricordano sono insegnanti severi e
brutti voti.
E per lei come è il
rapporto con questa materia?
Il fatto curioso è che
a scuola neanche io amavo per nulla la fisica. Ho incominciato ad appassionarmi
a questa scienza quando ho capito che era la chiave per comprendere il mondo.
Il merito è stato di un mio professore universitario, che, come ogni buon
insegnante, è stato anche un grande attore: ha saputo sedurmi. Oggi aumentare
la conoscenza di quello che ci circonda, scoprire e raccontare il mondo, mi dà
lo stesso piacere che dà a un artista dipingere un quadro o creare un’opera
d'arte. E quando il tuo lavoro ti rende felice, ti entusiasma e ti coinvolge,
significa che quello che stai facendo ha davvero un valore.