“L’universo è un libro scritto in caratteri matematici”. Così scriveva Galileo Galilei ne Il Saggiatore quattro secoli fa. Era l’inzio di una nuova era per la fisica, segnata, tra le altre cose, da una fruttuosa collaborazione e reciproca inseminazione tra la matematica e la fisica stessa.
Nel corso degli anni, i fisici hanno avuto bisogno di sviluppare nuove tecniche per descrivere i fenomeni di loro interesse e spesso si sono spinti anche ad “inventare” nuove branche della matematica. I matematici hanno quindi sviluppato e formalizzato meglio queste intuizioni e ne hanno create di nuove, che hanno, a loro volta, ispirato i fisici con nuovi strumenti interpretativi.
Uno degli aspetti più affascinanti della fisica teorica è proprio questa sorpresa nel poter leggere una formula e vedervi rispecchiata la natura, con i suoi costituenti e le loro interazioni. Un’altra feconda sorpresa avviene quando una stessa formula può essere applicata ad ambiti molto diversi della fisica. Questo viene visto da un lato come l’espressione del fatto che gli stessi principi possono governare fenomeni all’apparenza molto diversi e, dall’altro, come un’opportunità per applicare ad un campo l’esperienza acquisita nell’altro, spesso consentendo sviluppi incrociati che beneficiano entrambi i settori.
Un esempio di questa ricchezza è dato dai modelli di matrici. La matrici sono strutture matematiche che permettono di organizzare una grande quantità di dati. Sono spesso raffigurate come righe e colonne di numeri o formule (un foglio elettronico tipo Excel è un buon esempio di matrice), ma la cosa che veramente le rende preziose per la matematica è che il modo in cui queste informazioni sono immagazzinate è un’informazione anch’esso.
Oggigiorno, per la fisica teorica che studia le origini dell’universo, questi modelli di matrici sono un modo per immagazzinare l’informazione sulla struttura dello spazio-tempo. Ma possono anche essere visti come un modo per organizzare le varie particelle di alcune teorie di stringhe.
Mezzo secolo fa, Eugene Wigner era interessato a descrivere lo spettro energetico dei nuclei di atomi pesanti. Questi nuclei sono costituiti da un gran numero di protoni e di neutroni e questo rendeva insufficienti le varie tecniche esistenti, basate su approssimazioni non valide in questi nuclei. Wigner pensò quindi ad un approccio diverso, cercando di evitare queste approssimazioni, organizzò in una matrice tutte le interazioni tra tutte le parti costituenti il nucleo. In realtà, nessuno può computare esattamente il valore di queste interazioni, ma il fatto che siano organizzabili in una matrice può essere già sufficiente. Basta conoscerne il comportamento medio e sapere le simmetrie con cui queste matrici sono organizzate, per estrarne lo spettro. E trovare un incredibile accordo coi dati sperimentali.
Da allora, sono stati individuati molti altri sistemi fisici con caratteristiche simili a quelle dei nuclei pesanti, cioè con molti gradi di libertà e con interazioni che possono solo essere trattate in maniera statistica. Tutti questi sistemi sono il campo ideale per una descrizione in termini di matrici random, come viene chiamata ora la branca sviluppata sull’idea originaria di Wigner.
Applicata alla teoria della conduzione elettrica, le matrici random ci dicono cosa succede quando una corrente elettrica (composta di elettroni) incontra delle impurezze nel materiale. Un conduttore perfetto è un reticolo perfetto di atomi, su cui gli elettroni possono muoversi con “salti” regolari da un atomo all’altro. Un filo di rame o di ferro perfetto è composto solo da atomi di rame o ferro che dovrebbero organizzarsi in un reticolo perfetto. Ma non esistono giacimenti puri di rame, ferro o altro, ed ogni filo ha al suo interno inevitabilmente tracce di atomi diversi, che distorcono il reticolo e rendono più complicata la corsa degli elettroni. Il caos che emerge da questa corsa ad ostacoli può essere descritto con le matrici random e la conduttività elettrica calcolata con ottima precisione.
Ma solo fintanto che le impurezze non sono tante da bloccare completamente la corsa degli elettroni. Questo è un fenomeno squisitamente quantistico, predetto inizialmente cinquanta anni fa da P.W. Anderson, per cui l’insieme di “rimbalzi quantistici” subiti dagli elettroni nel loro farsi strada tra le impurità può arrivare ad arrestarne il movimento, se la concentrazione di queste impurità supera una certa soglia.
Questo fenomeno, noto come localizzazione di Anderson, significa che sotto questa soglia di disordine, un elettrone ha una probabilità (quantistica) finita di trovarsi un po’ ovunque nel cristallo, mentre sopra detta soglia, questa probabilità è nulla quasi ovunque, a parte una zona molto limitata dove l’elettrone rimane confinato.
Al punto di transizione, si osserverebbe uno strano fenomeno intermedio, per cui questa probabilità acquisisce una struttura detta multifrattale, con caratteristiche innovative. Recentemente, diversi esperimenti hanno cominciato ad osservare indizi di questa transizione. I modelli di matrici random tradizionali, però, si applicano solo al regime conduttivo e non possono raggiungere il punto in cui gli elettroni rimangono localizzati. Ma alcuni modelli di matrici recentemente introdotti nello studio della teoria delle stringhe potrebbero avere le caratteristiche per catturare questa transizione. Si tratterebbe di un nuovo esempio di fertilizzazione incrociata tra la fisica dello stato solido e la teoria delle stringhe, con il potenziale di aprire nuovi sviluppi in entrambi i campi.
Il linguaggio universale delle matrici
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Nell'immagine di copertina: studio del legame sigma con diffrattometria a raggi X. Crediti: Yusuke Ishigaki
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