fbpx Se gli universi “paralleli” non sono paralleli | Scienza in rete

Se gli universi “paralleli” non sono paralleli

Primary tabs

Read time: 4 mins

Esistono universi paralleli? La domanda è tra le più “grandi” che siano emerse dalla fisica del ventesimo secolo, e il dibattito è ancora aperto. Il contributo più recente viene da due fisici australiani, Howard Wiseman e Michael Hall, e uno statunitense, Dirk-André Deckert, con un articolo pubblicato qualche giorno fa su Physical Review X.
I tre autori sostengono che sembrerebbe non esserci nulla di sbagliato a immaginare che il nostro universo sia solo uno dei tanti: anzi, in questo modo si potrebbero spiegare alcune caratteristiche particolarmente “spinose” della fisica dei quanti.

La meccanica quantistica non è solo necessaria per spiegare il comportamento della natura a livello fondamentale: nella sua versione relativistica è anche la teoria più comprovata e “di successo” di tutta la fisica. Le equazioni, insomma, funzionano bene; ma non c’è ancora consenso su come vadano interpretate. «Dio non gioca a dadi», commentava per esempio un Albert Einstein particolarmente scettico sul ruolo apparentemente fondamentale della probabilità in meccanica quantistica.
Fu proprio nel dare un’interpretazione alla meccanica quantistica che allontanasse il “fantasma” delle probabilità che affiorò per la prima volta nella scienza moderna l’idea degli universi paralleli.
Era il 1957, infatti, quando il fisico americano Hugh Everett III formulò la cosiddetta “interpretazione a molti mondi” della meccanica quantistica. «La stranezza dell’interpretazione a molti mondi – spiega Wiseman, che è anche direttore del Centre for Quantum Dynamics alla Griffith University, – sta nel postulare che, ogni volta che si compie un’osservazione su un sistema quantistico in un universo, quell’universo si “dirama” in un certo numero di altri universi, uno per ogni possibile esito dell’osservazione».

Oggi l’interpretazione a molti mondi non gode di ampio successo, soprattutto per via del suo carattere fin troppo “bizzarro”: com’è possibile che un universo si dirami in più universi a mo’ di sliding doors? In che modo avverrebbe un fenomeno del genere? E inoltre, che cosa si intende esattamente per “osservazione” di un sistema quantistico? Se non osservassimo sistemi quantistici, l’universo non si diramerebbe? La coscienza umana ha un ruolo nel moltiplicarsi degli universi?
Wiseman, Hall e Deckert hanno sostanzialmente ideato un approccio alla meccanica quantistica simile a quello a molti mondi, ma privo di questi scomodi inconvenienti: hanno chiamato questo approccio “a molti mondi interagenti” (many interacting worlds). Secondo questa visione, ci sarebbero altri universi in numero sterminato, ma non infinito e soprattutto costante: in questo modo si elimina il problema della “diramazione”.

Ognuno di questi universi è caratterizzato da una fisica squisitamente classica: non c’è distinzione tra il comportamento della materia a livello macroscopico e a livello microscopico; in particolare, non esiste qualcosa come le funzioni d’onda o il principio di indeterminazione, e le probabilità non sono grandezze fisiche fondamentali: conoscendo posizione e velocità di ogni particella, si può stabilire in linea di principio l’evoluzione fisica dell’universo in maniera deterministica, come nella meccanica newtoniana.
Secondo il modello di Wiseman e colleghi, la presenza dei bizzarri fenomeni “quantistici” è dovuta al fatto che i vari universi non sono perfettamente “paralleli”. Questi infatti interagiscono tra loro: nello specifico, esiste una sorta di “repulsione” che impedisce loro di avere la stessa configurazione (ovvero, la stessa posizione e velocità di ogni particella). L’evoluzione di un sistema quantistico in un universo appare di natura probabilistica per via della nostra ignoranza su quale sia il particolare universo in cui il sistema quantistico evolve.

I tre scienziati hanno condotto delle simulazioni a computer di sistemi quantistici facendo uso del loro approccio, scoprendo che in questo modo si riesce a riprodurre alcuni fenomeni eminentemente quantistici come l’effetto tunnel, l’energia del vuoto e l’interferenza da doppia fenditura. In altre parole, questi eventi potrebbero avvenire in universi completamente “classici” nell’ipotesi che questi interagiscano con altri universi simili secondo l’approccio a molti mondi interagenti. «La bellezza del nostro approccio – dichiara Wiseman – è che se c’è un solo universo la nostra teoria si riduce alla meccanica newtoniana, mentre se c’è un numero enorme di universi riproduce la meccanica quantistica».
L’approccio a molti mondi interagenti non è destinato a rimanere soltanto una questione accademica. Come annuncia lo stesso Wiseman, attraverso le sue applicazioni simulative può rivelarsi utile per «modellizzare la dinamica delle molecole, che è importante per comprendere le reazioni chimiche e l’azione dei farmaci». Bill Poirier, professore di chimica alla Texas Tech University, commenta: «Queste sono grandi idee non solo a livello concettuale, ma anche per le scoperte a cui quasi certamente daranno origine tramite le simulazioni».

Richard Feynman, uno dei più grandi fisici teorici del Novecento, ebbe a dire: «Nessuno capisce la meccanica quantistica». Questo perché nessuno riesce davvero a far propri i concetti più anti-intuitivi di questa teoria: si possono usare per fare predizioni matematiche, ma capirli davvero è un’altro paio di maniche. Con l’approccio a molti mondi interagenti non si è più costretti a capire le stramberie della meccanica quantistica, perché queste si ridurrebbero a “semplici” proprietà emergenti dall’interazione tra i vari universi. Il prezzo da pagare, naturalmente, è presupporre l’esistenza di un gigantesco numero di universi oltre al nostro.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.