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Alla scoperta dell’anticristallo

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Pensando alla struttura molecolare di un materiale, la forma più semplice che ci viene in mente è quella cristallina: gli atomi che compongono un cristallo si dispongono in una struttura tridimensionale perfettamente ordinata e spesso semplice. L’esempio più comune è il sale da cucina, o cloruro di sodio, i cui atomi formano “griglie” regolari che danno ai cristalli di quel materiale la tipica forma cubica.

Naturalmente, i cristalli di sale non sono mai davvero dei cubi perfetti, perché inevitabilmente contengono impurità chimiche che ne “complicano” la struttura. Secondo questa logica, gli scienziati dei materiali sviluppano modelli a livello molecolare dei materiali partendo da una situazione di assoluto ordine (il “cristallo perfetto”) a cui si aggiunge man mano il “disordine” dovuto alle impurità e alle asimmetrie di struttura.

Secondo alcuni ricercatori delle università di Chicago e della Pennsylvania, però, questo metodo di modellizzare i materiali andrebbe rivisto. Con uno studio pubblicato su Nature Physics, Andrea Liu, Carl Goodrich e Sydney Nagel propongono che sia più efficace usare un modello teorico che parte da un completo disordine molecolare e che procede nella direzione opposta, aggiungendo gradualmente ordine e struttura. La situazione di completo disordine, in cui il materiale non presenta alcun pattern che si ripete, è stato chiamato dal gruppo statunitense “anticristallo”. L’anticristallo è un modello ideale, proprio come il cristallo, ma all’estremo opposto nella scala dell’ordine. “Così come un cristallo perfetto è descritto da proprietà ben definite, – spiega Liu, – anche un anticristallo lo è. Possiamo pensare ai materiali reali come qualcosa che sta tra questi due estremi.
Quello che abbiamo dimostrato è che, anche solo con poco disordine, l’anticristallo è un miglior punto di partenza per descrivere un materiale generico.”

Se sia meglio descrivere un materiale come un cristallo “disordinato” o come un anticristallo “ordinato” può sembrare una questione astratta e puramente speculativa, ma non è così. Un metodo migliore per modellizzare un materiale permette di prevedere in maniera teorica le proprietà meccaniche di un certo materiale; questo può avere un grande impatto nella progettazione di materiali che si desidera possiedano determinate caratteristiche.

Ma perché il metodo proposto da Liu e colleghi è più efficace di quello tradizionale? Volendo rispondere con una frase, si potrebbe dire che ci sono molti modi in cui un sistema può essere disordinato. Un mazzo di carte, per esempio, ha una sola disposizione “ordinata” e un numero enorme di disposizioni “disordinate”. Data una particolare disposizione “disordinata”, i modi per arrivarci a partire da quella ordinata sono astronomicamente elevati, e per questo la descrizione sarà necessariamente imprecisa. Sostiene Goodrich: “Se continuiamo ad aggiungere disordine, l’estrapolazione di un materiale a partire da un cristallo perfetto fallisce malamente. Ed è qui che entra in gioco l’anticristallo”. Tornando all’esempio del mazzo di carte, “esso va mescolato sette volte prima che abbia una disposizione completamente casuale, – precisa Goodrich, – ma mescolandolo una volta sola, se questo mazzo rappresentasse le proprietà meccaniche di un materiale sarebbe più simile a un mazzo completamente disordinato che a uno totalmente ordinato”.

L’approccio di Liu, Goodrich e Nagel si è rivelato utile per descrivere accuratamente le proprietà dei materiali amorfi, come il vetro e la plastica, che a livello molecolare possono presentare pattern che si ripetono localmente ma mancano di un ordine complessivo. In particolare, il gruppo statunitense si è interessato alla transizione di fase in cui un vetro liquido solidifica sotto pressione. “Studiare i dettagli di un sistema nei dintorni di questa transizione di fase ci dice molto su come il sistema si comporterà dopo la suddetta transizione”, spiega Goodrich. E i risultati sono stati molto incoraggianti: “Ora sappiamo che, per questo tipo di interazione, abbiamo un punto di partenza per capire perché vetri differenti hanno proprietà simili”.


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