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Campi elettromagnetici cancerogeni? Forse…

Da qualche tempo cerco di non affrontare la questione dei campi elettromagnetici quando mi trovo a parlare in pubblico di inquinamento. Il motivo è che, mentre polveri sottili, ossidi di azoto, ozono, radon amianto, formaldeide, benzene e molte altre sostanze presenti in vari contesti fanno effettivamente salire (spesso di molto) il rischio di contrarre malattie serie, per i campi elettromagnetici non è cosi. Li lascio quindi fuori, temendo che, semplicemente parlandone, potrei dare l’impressione che siano nocivi al pari degli altri. Alla fine però la domanda arriva sempre: ma il wi-fi? I cellulari? Le antenne? E infine, oggi molto meno di un tempo: gli elettrodotti? I più informati ricordano che «secondo la IARC sono cancerogeni. Perché non ne ha parlato?».

Allora chiariamo. Chiariamo che cosa dice la IARC. Perché il gigantesco equivoco sul significato del suo responso, emesso nel 2011, si è generato soprattutto per una fastidiosa ingenuità nella traduzione di un termine dall’inglese – lingua in cui si esprime l’autorevole agenzia dell’OMS – all’italiano.
L’errore riguarda l’avverbio inglese possibly, tradotto con “possibilmente”. Il passaggio ha una qualità estetica scadente, ma non è sbagliato in sé. Il punto però è che in inglese possibly è molto usato e in buona sostanza significa “più no che sì”, mentre il corrispettivo italiano è usato poco, e con un senso assai diverso. Se invitate a cena un britannico e quello vi risponde «possibly», potete anche evitare di apparecchiare per lui, perché quasi certamente non verrà. Se invitate un italiano e quello vi risponde «possibilmente», sarete invece in dubbio sul da farsi. In inglese, possibly è un modo gentile per non dire “no”, lasciandosi però uno spiraglio aperto nel caso in cui, all’ultimo momento, si cambiasse idea. L’italiano possibilmente, invece, è una risposta da lancio della monetina.

 Lo è quasi sempre, con poche eccezioni. Una di queste però ci riguarda, perché se quell’avverbio è associato a un termine che indica un rischio, per la nostra naturale tendenza all’autoconservazione, il senso diventa subito “più sì che no”*. Per questo, fra i non addetti ai lavori, da “possibilmente cancerogeno” si passa senza neppure accorgersene a “probabilmente cancerogeno”, facendo così fare ai campi elettromagnetici un vero e proprio salto di categoria nella classificazione della IARC, che è quella che segue (in inglese):

Group 1

Carcinogenic to humans

111 agents

Group 2A

Probably carcinogenic to humans

65

Group 2B        

Possibly carcinogenic to humans

274

Group 3

Not classifiable as to its carcinogenicity to humans            

504

Group 4

Probably not carcinogenic to humans

 1

 

Infine, da “probabilmente cancerogeno” a “è un cancerogeno” il passo è altrettanto breve.

Non voglio qui addentrarmi sulla consistenza delle prove sulla nocività dei campi elettromagnetici (basti ricordare che benzene, formaldeide, amianto, radon e scarichi dei motori diesel sono tutti nel gruppo 1). Del resto, ne ho già parlato in altri post (qui e qui).
Rimango dunque sull’aspetto linguistico. Non ho la più pallida idea di chi sia stato il primo a tradurre in italiano le categorie di rischio della IARC, ma suppongo che si tratti di un addetto ai lavori a digiuno di comunicazione. Peraltro, non ho neppure mai sentito nessun esperto comunicazione mettere in discussione una traduzione così equivoca. Questo mi sembra strano, anche perché in italiano un termine più appropriato, molto usato e capace di trasmettere esattamente il senso di quale sia la differenza fra gli agenti “probabilmente cancerogeni” e quelli “possibly carcinogenic” esiste. Chiamiamoli “forse cancerogeni”.

Margherita Fronte (@mafronte)

 

* Lo stesso equivoco si genera se qualcuno con una vaga sensibilità alla lingua decide di passare avverbio “possibilmente” all’aggettivo “possibile”. Anzi: in questo caso il fraintendimento si rafforza, perché anche senza essere seguito da dal termine “cancerogeno”, quel “possibile“ è già di per sé un “più sì che no”.

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