Uno studio mastodontico pubblicato su BMJ ha assolto i telefoni cellulari dall’accusa di causare il tumore al cervello. Condotto sull’intera popolazione della Danimarca (metodo che i Paesi nordici hanno già usato in passato, per i campi elettromagnetici a basse frequenze), ha seguito per 18 anni ben 360.000 abbonati, senza rilevare nessun aumento del rischio di tumori al cervello. La conclusione segue quelle, del tutto simili, di altre indagini importanti pubblicate negli anni recenti (in particolare, lo studio internazionale Interphone), nonché la presa di posizione dello Iarc che, prima dell’estate, aveva classificato le radiazioni elettromagnetiche emesse dai cellulari “forse cancerogene”. Non illudiamoci però che tutto ciò servirà a mettere al parola fine alla questione; con i cellulari, anzi, accadrà ciò che è già successo con i campi a bassissima frequenza, accusati di causare leucemie dal lontano 1979, e mai completamente assolti, nonostante la mole di studi che non hanno rilevato associazioni significative alle intensità alle quali siamo normalmente esposti.
Il motivo è che nessuno studio potrà mai dimostrare che qualcosa non esiste. Se un effetto (cancerogeno o di altro tipo) non viene rilevato, si potrà sempre dire che l’indagine non aveva una potenza statistica adeguata, che il metodo usato non era appropriato, che lo studio non era perfetto. Si potrà sempre pensare, non vedendo nulla, che per capire meglio occorra una lente più potente. E una volta messa a punto la lente potentissima, si dirà che ne serve una ancora più grande, e avanti così all’infinito. Si potrebbe obiettare che il dubbio è il motore della scienza, e che di fronte a un sospetto cancerogeno al quale siamo tutti esposti, il principio di precauzione impone di indagare. Si potrebbe rispondere che la testardaggine e il dubbio sono cose diverse, e che cercare con tanta insistenza il pelo in un uovo significa sprecare preziose risorse, di cui già la nostra ricerca non abbonda.