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La tutela della biodiversità nel Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

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1. Introduzione

La perdita di biodiversità e il cambiamento climatico sono fortemente connessi e si influenzano a vicenda. È cosa nota che i cambiamenti climatici possono infatti causare il declino e la scomparsa di molte specie, in particolare quelle meno adattabili. Meno diffusa è la consapevolezza che la biodiversità si traduce in funzionamento degli ecosistemi e quindi maggiore resilienza a eventi atmosferici estremi, nonché mitigazione del surriscaldamento globale. Conservare gli ambienti naturali funzionanti e biodiversi aiuta infatti a ridurre i gas serra generati dalle attività antropiche attraverso il sequestro e l’immagazzinamento di carbonio atmosferico: foreste, zone umide, mangrovieti, mari e oceani sono molto preziosi in questo. Nel 2021, l’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) e l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), hanno pubblicato un report1, nel quale vengono esaminate le connessioni tra biodiversità e clima ed evidenziata l’importanza di trovare soluzioni che tengano conto di entrambi. Se non si riconosce e non si affronta l'intreccio tra i fattori diretti e indiretti del cambiamento climatico e del declino della biodiversità e le loro cause più profonde, si otterranno soluzioni non ottimali per affrontare entrambi i problemi.

Le misure di mitigazione del clima che non considerano le conseguenze sulla biodiversità possono avere gravi conseguenze indesiderate in termini di perdita di specie native ed endemiche. Lo sviluppo di tecnologie per l’energia rinnovabile comporta l’estrazione in profondità oceaniche di minerali rari, con significativi impatti sull’ambiente; gli impianti eolici, solari e idroelettrici possono avere significativi impatti (per esempio l’eolico ha comprovati effetti sull’avifauna migratrice e sui chirotteri, gli impianti solari estesi sottraggono suolo e causano distruzione e frammentazione dell’habitat). Anche la piantumazione di alberi non è immune da ricadute negative e può aumentare la probabilità di un cambiamento nella funzione dell'ecosistema, soprattutto se si tratta di monocolture o se si concentra esclusivamente sul reimpianto di specie con un grande potenziale di sequestro e immagazzinamento del carbonio, peggio ancora se specie esotiche. Al contrario, il ripristino di ecosistemi danneggiati, la riduzione delle minacce alla biodiversità (deforestazione, diminuzione delle pressioni su stock ittici, riduzione emissioni, ripristino di ecosistemi danneggiati etc…) sono misure vincenti anche per il contrasto al cambiamento climatico. Gli scienziati di IPBES e IPCC stressano però sull’importanza di una visione di ampio respiro e di lunga durata: la tutela della funzionalità degli ecosistemi deve essere efficace e durevole perché si possano davvero misurare effetti positivi nell’adattamento al cambiamento climatico. Inoltre, nella programmazione delle azioni di conservazione e di adattamento va tenuto conto che, per quanto le soluzioni basate sulla natura siano importanti, non possono adempiere da sole al contrasto ai cambiamenti climatici e quindi essere considerate alternative a misure quali la riduzione delle emissioni di gas serra.

2. Limiti del PNACC sul tema natura e biodiversità

Nella parte introduttiva del PNACC si parla genericamente di importanza di “migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali”, mentre la strategia europea di adattamento2 fa più volte riferimento alla necessità di integrazione dei piani per la biodiversità nel contrasto alla crisi climatica. Vengono però citati nel PNACC, come atti UE di rilievo in tema di adattamento al cambiamento climatico, le Direttive Habitat e Uccelli, nonché la Strategia sulla biodiversità 2030. È piuttosto accurata la rassegna degli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità su scala italiana, in particolare per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, dove le sempre più frequenti ondate di calore possono provocare morie di massa: questo si è già verificato, per esempio per le gorgonie, ed è oggetto di un progetto di ricerca internazionale che cataloga questi fenomeni nel mare nostrum. A questo si somma l’aumento di salinità, la cementificazione delle coste e l’arrivo di specie aliene tropicali, che beneficiano delle acque più calde.

Meno approfondita è la descrizione degli impatti sulle specie legate alle acque interne e alle zone umide, ambienti particolarmente a rischio a causa di una cattiva gestione storica che include: il drenaggio e riconversione per l'agricoltura, l’urbanizzazione, le variazioni nel regime idrologico dei corsi d’acqua e inquinamento. Tra le minacce trasversali ai diversi ambienti c’è quella posta dalle specie esotiche invasive che, essendo molto adattabili, potrebbero trarre un ulteriore vantaggio dai cambiamenti climatici in atto e aumentare a discapito delle specie autoctone.

Un capitolo dedicato alla biodiversità terrestre riassume gli effetti del rialzo delle temperature su fisiologia, produttività, abbondanza e distribuzione della flora e fauna italiana, molti dei quali sono già visibili. A questo proposito, grandi assenti, nel paragrafo dedicato agli ambienti alto montani, sono gli impatti degli effetti del riscaldamento globale sulle specie caratteristiche degli ambienti d’alta quota, mentre viene menzionato il problema della “modifica delle attività alpinistiche”, che in realtà, in alcuni casi, possono peggiorare la situazione per le già minacciate specie alpine, provocando un disturbo che va ulteriormente a incidere sulla loro occupazione dello spazio, già alterata dalle crescenti temperature.

In generale, nel PNACC manca una disamina delle attività antropiche che comportano una perdita di biodiversità nel nostro Paese e vanno a sommarsi ai cambiamenti climatici, fatta eccezione per l’ambiente marino, dove viene esplicitato il problema del sovrasfruttamento degli stock ittici mediterranei, con un tasso di prelievo pari al doppio del massimo sostenibile per il 70% delle specie. Per esempio non è esplicitato l’effetto dell’agricoltura intensiva e di una insufficiente diversificazione paesaggistica delle aree agricole, problema particolarmente pronunciato nelle aree di pianura in Italia, e causa della progressiva scomparsa di specie legate agli habitat rurali. Ne è un esempio l’andamento costantemente negativo del Farmland bird index3 che dimostra come, in Pianura Padana, ci sia stato un dimezzamento della numerosità di molte specie di uccelli negli ultimi vent’anni. Pratiche agricole intensive sono una forte minaccia anche per gli impollinatori4, il che è un serio problema non solo ambientale, ma anche di produttività delle colture stesse. Anche l’impoverimento della biodiversità del suolo ha forti ripercussioni sulla fertilità dei terreni, e aumenta la vulnerabilità a eventi climatici estremi e siccità.

3. Le soluzioni

Sono un’ottantina le soluzioni indicate nel database del PNACC connesse alla biodiversità (circa il 22% delle azioni previste), sia in modo diretto che indiretto. Tutte hanno una valutazione di importanza alta o medio-alta in termini generali, e sono giustamente considerate soluzioni “no regret” cioè con effetti benefici in diversi scenari di cambiamento climatico, e “win-win" perché i vantaggi della loro applicazione si estendono oltre la riduzione degli impatti climatici. La maggior parte delle azioni proposte si interseca con l’attuazione della direttiva Habitat e con la Strategia Nazionale per la Biodiversità5, non a caso tra le misure integrative del PNACC è previsto un raccordo con questa strategia, nonché con il Comitato per il Capitale Naturale.

Tra le misure indirizzate agli ambienti agricoli, sono incluse la promozione di una diversificazione colturale, il mantenimento di aree di interesse ecologico e la promozione del pascolo arborato. Sono una quindicina le misure dedicate alla biodiversità degli ecosistemi terrestri: tra queste, il potenziamento della connettività ecologica e una proposta di ristrutturazione delle aree protette, per riadattarle agli spostamenti delle specie causati dal clima. L’aumento della percentuale di aree sottoposte a tutela e il miglioramento della connettività ecologica coincidono con il primo target della Strategia Nazionale per la Biodiversità, che punta al potenziamento di una rete coerente di aree protette e all’istituzione di una governance che ne garantisca la tutela e un adeguato finanziamento per le misure di conservazione.

Per le aree marine e costiere, oltre al monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, sono previsti il ripristino degli ambienti più degradati, la rinaturalizzazione delle aree costiere, la decontaminazione delle acque inquinate, il rafforzamento delle aree protette e la ricolonizzazione assistita dei coralli, attraverso il posizionamento di strutture che agiscano da substrato per la colonizzazione da parte di questi organismi. Molto importanti sono le misure che puntano a una maggiore sostenibilità del prelievo ittico, considerata la situazione attuale di sovrasfruttamento dovuto alla pesca nel Mediterraneo. Sono inoltre previste misure per il restauro e il mantenimento delle zone umide, sia interne che nelle fasce costiere, nonché il ripristino della vegetazione di piante acquatiche alla foce dei corsi d'acqua dolce.

La maggior parte delle misure per la biodiversità è rivolta al potenziamento delle conoscenze (monitoraggio, creazione di database per l’individuazione delle azioni da prioritizzare) e alla sensibilizzazione e formazione; i dati ottenuti dal monitoraggio servono anche come guida per la valutazione dello stato di avanzamento ed efficacia delle azioni. Ulteriori misure per favorire la biodiversità sono integrative, e includono il contrasto alla perdita di suolo, una governance per le aree montane, il ripristino ecologico e rewilding di aree urbane e agricole abbandonate.

4. Conclusione

La biodiversità favorisce il funzionamento degli ecosistemi, e le misure del PNACC vanno nella direzione di tutela della naturale resilienza. La sinergia con la strategia nazionale per la biodiversità sarà di particolare importanza, anche alla luce della sovrapposizione di molte misure proposte. Resta un po’ vaga in generale la ripartizione dei fondi, e ci si auspica che la biodiversità e la tutela della natura non siano per l’ennesima volta le cenerentole dei finanziamenti, un annoso problema in Italia, dove spesso le stesse aree protette non hanno fondi adeguati per le attività di protezione della natura che è la loro mission.

Molte delle misure del PNACC inoltre sono le stesse previste dalla proposta di legge europea per il ripristino ambientale, la Nature Restoration Law6 che sta avendo un iter molto sofferto: presentata a giugno 2022, ha ricevuto oltre duemila emendamenti. A febbraio 2024 c’è stata l’approvazione dell’Europarlamento, anche se di una versione della legge fortemente indebolita rispetto alla proposta iniziale. Il 25 marzo 2024 si attendeva la ratifica da parte del Consiglio europeo, che è slittato a data da destinarsi, e proprio l’Italia è tra i Paesi che si sono opposti al passaggio della legge, insieme a altri Paesi come Polonia, Austria e Ungheria.

Garantire il ripristino degli ecosistemi degradati, rinaturalizzare aree antropizzate e assicurare la tutela di habitat e specie prioritarie è di fondamentale importanza per conferire al nostro territorio, estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici, la resilienza necessaria per l’adattamento. L’UE stima che ogni euro investito in questa direzione frutta dai 4 ai 40 euro in benefici, ma si tratta di un traguardo lungo, non di un qualcosa che garantisce un riscontro immediato, e questo troppo spesso fa sì che si continui a procrastinare questo investimento. L’UE ha già leggi virtuose per la biodiversità, e una delle più ampie reti ecologiche esistenti, Natura 2000, eppure l’81% degli habitat sono degradati, e si fatica a far passare una legge che può cambiare per davvero le cose. È davvero tempo di un cambiamento in positivo, che garantisca un futuro di adattamento e mitigazione delle crisi esistenti.

Note

1. Lo Scientific outcome of the IPBES-IPCC co-sponsored workshop on biodiversity and climate change https://zenodo.org/records/5101125 è stato pubblicato in seguito al primo workshop congiunto di IPBES e IPCC, tenutosi nel dicembre 2020
2. EU Climate adaptation strategy https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM:2021:82:FIN
3. Il Farmland Bird Index (Fbi), è un indicatore utilizzato per valutare lo stato della biodiversità negli habitat agricoli europei, ed è basato sul numero di specie nidificanti negli ambienti agricoli degli Stati Membri https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/25657
4. Circa l'80% delle colture e delle piante a fioritura spontanea dipende dall'impollinazione animale, ma gli impollinatori sono in declino soprattutto a causa della perdita di habitat, della mancanza di habitat adatti al letargo e alla nidificazione e della mancanza di cibo per i bruchi e le larve, dovuta all'agricoltura intensiva, all'uso di pesticidi e all'elevato apporto di fertilizzanti. Su questo si legga la EU pollination initiative https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52023DC0035 che mira proprio a contrastare questo trend negativo con obiettivi mirati fino al 2030
5. La strategia Nazionale per la biodiversità 2030 https://www.mase.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/biodiversita/2_snb_2030_marzo_23.pdf è stata adottata il 3 agosto 2023 con il Decreto Ministeriale n. 252
6. Elemento cardine del Green deal europeo, la Nature Restoration Law https://environment.ec.europa.eu/topics/nature-and-biodiversity/nature-restoration-law_en prevede, tra le varie misure: l’aumento delle superfici soggette a tutela, il ripristino degli ecosistemi danneggiati, in particolare delle zone umide, la rimozione delle barriere obsolete per migliorare la connettività fluviale, una maggiore diversificazione degli ambienti agricoli, una gestione forestale sostenibile, il ripristino degli stock ittici e l’aumento del verde urbano.

 


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