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La dimensione regionale e locale dell’adattamento ai cambiamenti climatici

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Il PNACC rappresenta un documento programmatorio di rilevanza fondamentale ai fini della identificazione delle misure di adattamento al climate change da implementare nel territorio italiano1, la cui pubblicazione era ormai attesa da anni e, in particolare, dal giugno 2015, quando è stata approvata la “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” (della quale il PNACC rappresenta di fatto l’atto di impulso ed attuazione).

Agli operatori più attenti che hanno intrapreso la lettura del PNACC non potrà essere sfuggita la rilevanza posta dal Ministero alle amministrazioni sub-statali ed al contributo che Regioni ed enti locali possono fornire nell’implementazione delle misure di adattamento al cambiamento climatico.

Alla “dimensione regionale e locale dell’adattamento ai cambiamenti climatici”, infatti, non solo è dedicato il paragrafo 1.5 del documento di piano (da cui il presente contributo prende la denominazione), ma ai piani regionali e locali di adattamento sono stati specificamente riservati due allegati (rispettivamente allegato I e II) volti a dettare – tra le altre cose - le indicazioni metodologiche per la redazione del piano a ciascun livello e per i monitoraggi dell’efficacia delle rispettive azioni.

Se da un lato il rilievo posto dal PNACC alle amministrazioni sub-statali si rivela un elemento di indubbia importanza (considerata altresì la scarsa attenzione che per lungo tempo è stata prestata al ruolo di tali amministrazioni nel contesto dell’adattamento al cambiamento climatico, non di rado ritenuto unicamente una “questione da risolvere tra Stati”2), dall’altro lato detto rilievo non può – e non deve – stupire, e ciò per una serie di ragioni.

In primo luogo, da un punto di vista “sistemico”, è innegabile che il tema dei cambiamenti climatici coinvolga differenti aspetti, ivi inclusi profili in relazione ai quali le amministrazioni regionali e locali sono dotate di significative competenze. Sul punto meritano una particolare menzione gli aspetti correlati alla difesa del suolo, all’uso delle risorse idriche ed all’economia circolare: materie, queste, che necessitano dapprima di un “pensiero globale”, per “agire poi a livello locale”3.

Inoltre, con riferimento alla organizzazione amministrativa, la scelta del legislatore europeo in materia di “climate change” è andata chiaramente nella direzione di sposare “un disegno proprio dell’amministrazione che fa fare”, identificando obiettivi concreti (in primis la neutralità climatica dell’Unione Europea entro il 2050) e lasciando agli attori nazionali una “maggiore autonomia decisionale interna”4, anche a fronte della diversità di impatti che il cambiamento climatico può produrre in relazione a ciascuno Stato5.

Tale quadro organizzativo ha dunque favorito – quantomeno con riferimento all’ordinamento italiano – la valorizzazione del principio di sussidiarietà, attribuendo agli enti prossimi al territorio il compito di fornire le risposte più efficaci alle esigenze di adattamento delle comunità locali, pur all’interno di una cornice programmatoria unitaria assicurata dal livello nazionale.

Alla luce di quanto sopra esposto, si rivela pertanto agevole comprendere le ragioni dello spazio riservato dal PNACC alle amministrazioni sub-statali, le quali sono chiamate ad adottare strategie di adattamento al cambiamento climatico (e conseguenti piani di azione) a livello regionale e locale, recependo le linee-guida nazionali ad un livello di maggior dettaglio sulla base delle specifiche caratteristiche dei territori interessati6 ed integrando – laddove necessario – gli atti di pianificazione di rispettiva competenza (si pensi, ad esempio, ai piani regionali di tutela delle acque, piani energetici, piani paesaggistici e piani regolatori) con gli “interessi climatici” tramite un processo di “mainstreaming”.

L’approccio seguito dal Ministero si pone dunque sostanzialmente in linea con gli indirizzi “top-down”, in cui, man mano che si scende “nei rami più bassi dell'ordinamento, gli obiettivi divengono sempre più pregnanti, condizionando la programmazione economica, sociale e ambientale delle Regioni e degli enti locali”7.

In tale contesto un ruolo rilevante sarà svolto dalle indicazioni che saranno fornite dall’“Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici”8, a cui spetterà declinare le modalità e gli strumenti funzionali ad introdurre i principi e le misure di adattamento ai cambiamenti climatici all’interno della pianificazione regionale e locale (e che, a loro volta, saranno adeguati su base locale dalle strutture di governance sub-nazionali).

In attesa della formale istituzione dell’Osservatorio e della pubblicazione delle “linee-guida” a cui in precedenza si accennava9, è bene comunque evidenziare come ad oggi le amministrazioni regionali, provinciali e comunali, pur agendo in un contesto maggiormente frammentario, non abbiano esitato a intraprendere iniziative degne di nota al fine di individuare ed attuare misure di adattamento.

Differenti regioni, ad esempio, oltre all’approvazione di documenti espressamente previsti ex lege (ivi incluse le strategie regionali di sviluppo sostenibile ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. 152/2006), hanno già adottato atti di pianificazione strategica in questo senso, deliberando proprie strategie regionali di adattamento al cambiamento climatico10.

Allo stesso tempo, anche molte amministrazioni comunali hanno fatto ricorso ad atti di carattere volontario11.

Particolare attenzione – ad esempio - è stata riservata dalla dottrina ai “Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile ed il Clima” (PAESC), ovvero documenti elaborati dai Comuni aderenti al c.d. “Covenant of Mayor “(Patto dei Sindaci) al fine di identificare strumenti implementabili a livello locale per contribuire al raggiungimento degli obiettivi in esso declinati (tra cui, nella versione originaria, il raggiungimento dell'obiettivo minimo del 20% in termini di riduzione delle emissioni di CO2 entro l'anno 2020)12,13.

Ad ogni buon conto, allo stato attuale risulta naturalmente difficile prevedere l’efficacia che le azioni programmate dal PNACC recentemente approvato produrranno sul breve e sul medio-lungo periodo.

Ciò che si può tuttavia anticipare è che, già alla semplice lettura dei suoi contenuti, traspare il chiaro intento ministeriale di incidere in maniera maggiormente significativa - anche rispetto al quadro preesistente - sulle azioni di adattamento al cambiamento climatico da sviluppare a livello locale, contemplando l’inclusione di tali misure all’interno di atti di pianificazione declinanti indicazioni vincolanti (rectius, ad effetti conformativi) per i destinatari, tra cui il piano regolatore ovvero i piani paesaggistici.

Tale approccio da parte del Ministero – anche in tal caso - non deve sorprendere.

Infatti, da un lato, l’adozione di misure di adattamento (si pensi, ad esempio, a interventi correlati a finalità di messa in sicurezza idraulica, o di prevenzione di incendi boschivi) rappresenta ormai una urgenza anche nell’ottica del soddisfacimento di interessi pubblici primari, quali la tutela della salute. Inoltre, dall’altro lato, è innegabile come l’adattamento al climate change configuri un “settore” in cui le discussioni prettamente politiche si rivelano essere di intensità minore rispetto a quanto accade nel contesto della identificazione delle azioni di mitigazione (dove, agendosi direttamente sulle cause del cambiamento climatico, gli “interessi politici” emergono in misura più rilevante), agevolando così una presa di posizione maggiormente significativa.

In ogni caso, l’auspicio è che le tempistiche di attuazione previste nel PNACC vengano finalmente rispettate, e che i meccanismi di concertazione tra differenti livelli (nazionale, regionale e locale) previsti dal documento in questione possa favorire la celerità degli interventi.

Note

1. In merito alla distinzione tra misure di misure di mitigazione e misure di adattamento, si veda F. FRANCESCHELLI, Il diritto al clima: criticità, limiti e possibili soluzioni, in Federalismi.it, 4 agosto 2023. Sul punto l’autore ricorda che, mentre le misure di mitigazione “intervengono sulle cause del cambiamento climatico, perseguendo una riduzione delle emissioni climalteranti…e un aumento o potenziamento delle fonti di assorbimento”, le misure di adattamento “agiscono, invece, sugli effetti (o impatti) dei cambiamenti climatici e sulle vulnerabilità”. La circostanza che il PNACC sia principalmente preordinato a dettare misure di adattamento emerge alla luce del contenuto del medesimo PNACC, il quale afferma espressamente che il suo obiettivo principale “è fornire un quadro di indirizzo nazionale per l'implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche”.
2. Come evidenziato anche da N. BERTUZZI, F. CITTADINO, G. GIACOMINI, A. MEIER, Climate change integration in the multilevel governance of Italy and Austria: the key role of vertical and horizontal coordination, in ISSiRFA-CNR, 3/2022, secondo cui “the role of subnational governments in the fight against climate change is still largely understudied”.
3. Cfr. M.A. SANDULLI, Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc. 4/2019, p. 291 e ss.
4. D. BEVILACQUA, La normativa europea sul clima e il green new deal. Una regolazione strategica di indirizzo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, 2, 297 ss. In merito si veda anche B. MARCHETTI, Vincoli sovranazionali e discrezionalità amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2022, 721 ss.
5. È stato infatti correttamente affermato che “ogni Stato Membro sperimenterà diversi impatti dei cambiamenti climatici, a fronte di una vulnerabilità specifica per Paese, derivata da caratteristiche ambientali, sociali ed economiche” (CASTELLARI S. e altri, Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici, MATTM, Roma, 2014, p. 16). Tale affermazione è stata espressamente ripresa anche nei documenti del PNACC.
6. Passaggio significativo in merito è contenuto nell’Allegato I del PNACC, in cui si afferma che “le strategie regionali di adattamento devono essere complementari con quelle nazionali e indirizzare le azioni locali”.
7. F. FRACCHIA, P. PANTALONE, Verso una contrattazione pubblica sostenibile e circolare secondo l'Agenda ONU 2030, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2022, 243 ss.
8. Di prossima istituzione da parte del MASE.
9. Il PNACC prevede che l’istituzione dell’Osservatorio entro tre mesi dall’approvazione del PNACC medesimo, mentre l’“individuazione delle modalità, degli strumenti e dei soggetti competenti per l’introduzione di principi, misure e azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nei Piani e Programmi nazionali, regionali e locali” entro sei mesi dall’approvazione.
10. Tra le altre, si segnala Regione Lombardia che, già nel 2012, ha predisposto apposite “Linee Guida per un Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici”, alle quali successivamente hanno fatto seguito la strategia regionale (2014) ed il relativo documento di azione (2016). Sul punto, il PNACC menziona, tra gli altri, anche gli esempi di Regione Emilia-Romagna, Sardegna, Val d’Aosta, Piemonte, Molise e Liguria, aggiungendo altresì che ulteriori regioni hanno “formalmente intrapreso l’iter verso l’adozione di un piano o di una strategia, predisponendo gli atti funzionali ad essi”.
11. In aggiunta ai tradizionali strumenti contemplati dai testi normativi, tra cui i Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS) di ambito comunale e di area vasta, i Piani del verde urbano, i Piani di emergenza comunale, i Regolamenti edilizi «climate proof», i Piani Urbanistici Generali, i Piani strategici e – per quanto attengano ad un livello territoriale superiore - i Piani territoriali metropolitani.
12. Cfr. tra gli altri, E. FERRERO, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, in Foro Amministrativo, fasc.4, 2015, p. 1267 ss, in cui si evidenzia che il Patto dei Sindaci “esprime un'indubbia moral suasion nei confronti degli organi di governo delle comunità locali, perlomeno da un punto di vista degli scopi da raggiungere entro un determinato periodo di tempo”. 13. Sulla base delle prassi sviluppate dai comuni interessati, nei PAESC sono rinvenibili sia azioni di mitigazione (ad esempio, misure atte a garantire un maggiore risparmio energetico degli edifici), sia di adattamento (ad esempio, la messa in sicurezza di infrastrutture).

 


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