fbpx Anno del vetro 2022: nuova luce sulle gocce del Principe | Scienza in rete

Perché le gocce di vetro del Principe Rupert esplodono?

Tempo di lettura: 5 mins

Marco Taddia ci parla di quelle conosciute come Gocce di Rupert, particolari oggetti in vetro molto in voga nel '600 e tuttora protagoniste di alcuni studi scientifici.

Crediti immagine: Wikimedia Commons

Riferiscono le cronache dell’epoca che uno scherzo in voga nelle corti europee del ‘600 consisteva nel porgere al vicino una goccia di vetro solido a forma di lacrima e, dopo che l’altro l’aveva tra le mani, spezzarne la coda provocando in tal modo una piccola deflagrazione che la riduceva in polvere. Forse la cosa non avrebbe stupito più di tanto se prima non si fosse mostrato agli astanti che percuotendo la goccia con un martello essa restava intatta esibendo una durezza eccezionale. Parliamo delle cosiddette gocce del Principe Rupert, dette anche lacrime bataviche perché provenienti (forse) dalla regione olandese di Batavia.

Cominciamo sfatando un luogo comune, ossia che molto probabilmente non fu il Principe Rupert, (Ruprecht Pfalzgraf bei Rhein, Herzog von Bayern, Praga, 1619 – Westminster 1693), figlio di Elisabetta Stuart e dell’elettore palatino Federico V, a inventare le famose gocce che portano il suo nome. Il nonno materno di Rupert era Giacomo I Stuart, Re d’Inghilterra (1556-1625) al quale erano subentrati prima Carlo I (1600-1649) e poi Carlo II (1630-1685). La vita di Rupert (detto il Principe Guerriero) è piuttosto avventurosa e si rimanda all’accurata biografia di M. Thomson (Warrior Prince, Secker & Warburg, London, 1976) per avere informazioni dettagliate anche sugli incarichi militari e i numerosi spostamenti del personaggio. Si presume che sia stato proprio lui, carattere curioso, interessato alla scienza e forse inventore della tecnica di incisione “a mezza tinta”, a riportare in Inghilterra qualche esemplare delle “gocce” in cui si era imbattuto nei suoi viaggi. Tornato in Inghilterra ne fece omaggio al Re che, tramite Sir Paul Neile, interpellò in proposito la Royal Society (1662) per saperne di più.

In Italia, tra i primi a interessarsi alle “gocciole e vermicciuoli di vetro temprato” ci fu Geminiano Montanari che il 22 aprile 1670 scrisse in proposito una lunga lettera a Ferdinando II, granduca di Toscana. Montanari, matematico e astronomo, nacque il primo giugno 1633 a Modena e morì a Padova nel 1687. Montanari è noto, tra l’altro, per aver scoperto che Algol, Stella β della costellazione di Perseo, è una stella variabile, così che la sua luminosità diminuisce per circa dieci ore ogni 69 ore circa. Egli riferiva che le “gocciole” erano note da molti anni in Italia, che provenivano dall’Olanda o dall’Inghilterra e che ne aveva parlato Balthasar de Monconys (1611-1665) nel suo Journal des Voyages. A Montanari sembrava strano che in Italia nessuno avesse tentato di riprodurle così, alla fine del carnevale 1669, dovendosi recare a Venezia, ne approfittò per andare in una fornace di Murano e tentare insieme a altri l’esperimento. Descriveva il risultato, non troppo incoraggiante, aggiungendo che aveva ripetuto l’esperimento in una fornace di Bologna in presenza di alcuni accademici, dove viceversa le cose erano andate meglio. Montanari si dilungava nei dettagli operativi per evitare che le gocce di vetro fuso, solidificando in acqua, crepassero e forniva abbondanti particolari sul procedimento, soffermandosi in particolare sui “vermicelli” ossia le lunghe e sottili code terminali. Non mancava poi di illustrare un paio di esperienze, delle tante che aveva eseguito, dove comparava dati quantitativi e misurazioni dei pesi di gocce temprate e stemprate. Ciò che oggi interessa maggiormente è il suo tentativo di spiegare lo scoppio delle gocce derivate da vetro “infocato” raffreddato in acqua o aria fredda.

Oggi si attribuisce il tutto al processo di tempra, ossia al rapido raffreddamento dello strato esterno della goccia che solidificando esercita una compressione verso l'interno, più lento a raffreddarsi e con tendenza a rilassare verso l'esterno. Le tensioni in opposizione spiegano sia la resistenza della goccia alla percussione che la sua fragilità. Lo strato esterno più denso, che imprigiona e comprime l'interno, è più resistente agli urti, mentre il cuore della lacrima, con la sua densità inferiore dovuta al raffreddamento più lento, contrasta la spinta dell’esterno e ne assorbe gli urti. Poiché la lacrima è un solido a geometria chiusa, la lotta tra queste due tensioni si esercita in modo identico sulla totalità della struttura. Le forze si mantengono in equilibrio finché non si tronca la coda della goccia che “libera” la tensione interna.

L’interesse nostrano per le gocce, dopo Montanari, parve affievolirsi fino al ‘700. In Inghilterra, invece, si deve a Robert Hooke (1635-1703) un approfondimento della questione, con studi al microscopio riportati nella Micrographia (1665) dove appaiono le gocce in sezione. Da allora l’interesse per questi oggetti non si è mai affievolito e di recente, anche in coincidenza con l’Anno Internazionale del Vetro 2022, è aumentato in maniera diffusa. Da un lavoro di Kooij e collaboratori, uscito online su Nature Communications nel 2021, risulta che il gruppo di ricerca ha studiato la frammentazione esplosiva delle gocce di vetro e scoperto un meccanismo di rottura fondamentalmente diverso da quello che si credeva di aver individuato in passato. Secondo loro, le gocce esplodono a causa delle grandi sollecitazioni interne e le dimensioni dei frammenti, ben definite, risultano in una distribuzione esponenziale. Essi dimostrano che esistono genericamente due processi di rottura distinti, casuali e gerarchici, che ci permettono di spiegare completamente perché le distribuzioni delle dimensioni dei frammenti seguono una legge di potenza nella maggior parte dei casi, esponenziale in altri.

In un altro recentissimo articolo, apparso su PNAS, Cashman e colleghi, sottolineando l’importanza di conoscere come si rompono e si frammentano i materiali amorfi, inclusi quelli provenienti dalle eruzioni vulcaniche, spiegano che le gocce di Rupert si prestano bene alla sperimentazione. Il loro studio mostra che la distribuzione delle dimensioni dei frammenti prodotta dall’esplosione cambia sistematicamente con la frammentazione delle gocce in aria, acqua e sciroppo. La maggior parte dei frammenti sono frattali su gran parte dell'intervallo di dimensioni, un ridimensionamento che può essere spiegato dalle ripetute biforcazioni di fratture osservate in immagini tridimensionali dalla tomografia microcomputerizzata.

Ricordiamo che ci sono degli oggetti di origine naturale, assimilabili alle lacrime bataviche, che provengono dalla solidificazione di materiali emessi dalle eruzioni vulcaniche e note come lacrime e “capelli” della dea Pele, ossia ai sottili filamenti che si formano per il subitaneo raffreddamento in aria della lava fusa. Essendo d’interesse vulcanologico, si rimanda alla letteratura del settore (Shimozuru, Bull. Volcan. 1994, 56, 217-219).

Questo è un'anteprima, in forma ridotta, dell’articolo di prossima pubblicazione su La Chimica e l’Industria Online, organo ufficiale della Società Chimica Italiana. Qui un bel video esplicativo sulle gocce del Principe Rupert

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.