Martedì 23 aprile – dalle 17:30 alle 19:30 – presso l'Università Bocconi di Milano si terrà il primo incontro pubblico interdisciplinare organizzato dal Gruppo 2003, “Prendere le Decisioni o Subire Le Decisioni. Processi decisionali e dinamiche dei sistemi socio-economici”.
Le
discussioni interdisciplinari suonano in genere affascinanti, ma spesso sono
un’attrazione irresistibile per tuttologi di varia specie. Condizione necessaria
per tali discussioni dovrebbe essere che i partecipanti abbiano una conoscenza
approfondita di almeno una
disciplina! A questo riguardo il Gruppo 2003 dovrebbe essere una buona
garanzia: esso include solo gli studiosi italiani classificati dall’organizzazione
“Web of Science” tra i più visibili a livello mondiale in termini di citazioni
scientifiche (Highly Cited Scientists), il cui numero totale in Italia tra
tutte le discipline non raggiunge un centinaio.
L’incontro
prevede presentazioni da parte di Guido Tabellini (economista), Giacomo
Rizzolatti (neuro-scienziato), Giorgio Parisi (fisico), moderato dal
sottoscritto (economista, seppur abbastanza eretico).
Il
tema è sicuramente al centro non solo dell’economia ma di buona parte delle
scienze sociali. Come decidono gli uomini (se decidono)? E qual è il risultato
collettivo di tali decisioni e dei conseguenti comportamenti?
Consideriamo
la prima domanda. Ad un estremo sta la versione “forte” dell’”individualismo metodologico”
che buona parte degli economisti sottoscrive. Non solo gli individui sono “ben
formati” nelle loro capacità cognitive e di elaborazione delle informazioni, ma
date (coerenti) preferenze, “rispondono bene” in una qualsiasi condizione
ambientale nel perseguimento dei propri interessi. Se rispondono perfettamente
bene, si può dire che letteralmente massimizzano la funzione obiettivo (per
esempio, l’utilità oppure i profitti). Tabellini parlerà di “risposte
appropriate”, alle quali – immagino
– è permesso discostarsi dalla
risposta ottima, ma quest’ultima rimane il riferimento centrale (negli ultimi
tempi, una parte significativa della cosiddetta economia comportamentale si è focalizzata sulla natura e rilevanza
di tali scostamenti).
Va
notato comunque che se la risposta cognitivo/comportamentale è “appropriata”,
non c’è bisogno, per così dire, di “aprire la testa” del decisore. Basta
conoscere l’ambiente nel quale la decisione si colloca, l’informazione cui ha
accesso, gli obiettivi che vuole perseguire, ed è allora possibile prevedere
con buona approssimazione quello che il decisore farà. A questo riguardo, una parte
significativa della psicologia cognitiva e della neuropsicologia sostengono più
o meno l’opposto: senza una conoscenza dettagliata dei processi cognitivi non è
possibile prevedere le decisioni, non importa quanto accurata è la conoscenza
del contesto. L’intervento di Rizzolatti andrà in questa direzione ed oltre: i
comportamenti sono subiti, nel senso
che sono largamente determinati da “nemi”, potenti entità psicologiche
cognitivo-comportamentali che certo evolvono, ma che poi dirigono in misura
significativa i processi decisionali. E lungo questa via non solo si perdono i
pilastri di qualsiasi individualismo metodologico, ma la stessa nozione di
libero arbitrio diviene elusiva.
Incidentalmente,
voglio ricordare che anche prima di giungere ad una nozione di decisione subita, è possibile discostarsi
radicalmente dal paradigma della scelta (quasi) razionale. Molti psicologi (ed
anche alcuni economisti lontani dall’ortodossia come il sottoscritto), partono
dalla considerazione che in mondi complessi (e spesso in evoluzione) come
quelli con i quali gli uomini hanno tipicamente a che fare – dentro e fuori l’ambito economico – cosa sia la “scelta razionale” è di
difficile definizione anche in linea di principio. Allora studiare “come
funziona la testa” è fondamentale per capire gli effettivi processi
decisionali. E i risultati cominciano ad arrivare: per esempio il fatto che noi
funzioniamo largamente sulla base di euristiche che non hanno niente a che
vedere con “deviazioni dalla razionalità”, ma piuttosto sono artifici cognitivi
e comportamentali che offrono risposte robuste in ambienti complessi e spesso
mal compresi (tra gli altri si vedano i lavori di Gerd Gigerenzer e colleghi del Max Planck di Berlino).
Comunque, dati i processi decisionali, come si combinano tra loro a livello collettivo i comportamenti individuali?
Di nuovo troviamo ad un estremo il paradigma
dominante degli economisti. E la risposta è: equilibrio. Esso può essere
fondato sulla credenza che un numero alto di agenti piccoli vi convergano via
aggiustamenti nelle quantità che scambiano e come conseguenza nei prezzi (dico
volutamente credenza, perché i risultati formali sulla convergenza di tali
processi scarseggiano, mentre abbondano quelli negativi…). Oppure, può essere
un equilibrio tra agenti che interagiscono strategicamente, per i quali nessuno
ha incentivo a cambiare, dati i comportamenti degli altri giocatori. In ogni
caso per la maggioranza degli economisti “equilibrio” è una nozione
interpretativa chiave, e con questa anche la congettura che le osservazioni empiriche
vadano generalmente considerate come fenomeni di equilibrio.
Fuori dall’economia e lontano dalla razionalità
olimpica, è più facile studiare fenomeni nei quali l’ordine collettivo, quando
appare, è una proprietà emergente dalle interazioni locali tra molteplici
entità ben lontane da norme di comportamento razionale – dagli alveari al volo
degli stormi, alle dinamiche collettive del cervello rispetto ai singoli
neuroni … – ma la congettura
affascinante che si è iniziato ad esplorare è che gli strumenti utilizzati per
analizzare questi fenomeni possono essere proficuamente applicati anche
all’analisi di fenomeni economici come le bolle speculative sui mercati
finanziari, “contagi di opinione”, meccanismo di coordinamento (o no) sui
mercati. Su questa linea interpretativa Giorgio Parisi presenterà
l’applicazione alle scienze sociali di una formalizzazione che va sotto il nome
di “vetri di spin”.
Certo, il dibattito di martedì non risolverà controversie che sono al cuore del pensiero sociale moderno ma, sono certo, contribuirà a chiarirne i termini anche per un pubblico di non specialisti.
Fonte: Domenica del Sole24Ore, 21 aprile 2013