Lunedì 10 novembre, con un convegno tenuto all'Accademia di Brera a Milano, l'Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere ha festeggiato una delle personalità più prestigiose della comunità scientifica italiana, dei geologi in particolare: Maria Bianca Cita Sironi, classe 1924, una dei maggiori esperti, riconosciuta a livello internazionale, in stratigrafia, micropaleontologia e geologia marina, settori che ha contribuito a far crescere in modo innovativo e rivoluzionario.
Maria Bianca Cita, pioniere della geologia marina
Laureata in geologia all'Università degli Studi di Milano nel 1946, Maria Bianca Cita è diventata subito assistente di Ardito Desio, geologo che, con il gruppo di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, partecipò a quella spedizione che nel 1954 conquistò per la prima volta la cima del monte K2.
Dal 1968, dopo essere diventata professore ordinario di geologia all'Università di Milano nel 1964, inizia il suo percorso di ricerca caratterizzato da un'intensa attività focalizzata in micropaleontologia marina. E' in questo periodo che la professoressa Cita fa la sua scoperta più importante, per certi versi controversa ma confermata negli anni essere realistica, che ha dato il via a una lunga serie di pubblicazioni sull'argomento, circa 1800. Durante una spedizione di esplorazioni oceaonagrafiche all'inizio degli anni 70, infatti, Cita Sironi documentò per la prima volta il fenomeno geologico alla base di un probabile essiccamento del Mar Mediterraneo, durante l'era del Miocene Superiore.
La crisi di salinità del Messiniano è stata una teoria molto dibattuta dai geologi negli ultimi decenni, la sua formulazione teorica inizia dalla perforazione dei fondali del mediterraneo cui prese parte proprio Maria Bianca Cita.
Ma cos'è una "crisi di salinità"?
Il progetto DSDP e l'essicamento del Mediterraneo
Su tutta la penisola italiana affiorano, in modo discontinuo, diversi depositi salini risalenti all'era del Messiniano, che i geologi avevano sempre interpretato come l'accumulo di sostanze dovuto a precipitazioni in piccoli bacini idrici, isolati dal mare aperto.
Nel 1970, però, durante la campagna internazionale di trivellazioni industriali Deep Sea Drilling Project, nell'ambito di un progetto scientifico americano all'avanguardia in cui la componente scientifica italiana era rappresentata da Maria Bianca Cita e Carlo Fores Wezerd, i geologi a bordo della nave Glomar Challenger in passaggio nel Mediterraneo rinvennero dai fondali alcuni carotaggi che rilevavano una forte presenza di cloruri e fosfati, minerali come gesso, anidride, salgemma e altri che di solito sedimentano in seguito all'evaporazione dell'acqua marina: la prova che un processo di evaporazione e la conseguente sedimentazione di questi composti aveva interessato tutto il bacino del Mar Mediterraneo.
Gli studiosi a capo del progetto DSDP suggerirono, infatti, che alla base della formazione di depositi salini anomali, così compatti e spessi - dell'ordine anche di centinaia di metri - ci potessero essere dei cicli d'isolamento geologico. Durante il Messiniano, il Mar Mediterraneo diventò cioè un bacino chiuso, isolato dall'oceano Atlantico, con un conseguente deficit del bilancio idrico: la perdita per evaporazione superava la quantità di acqua in entrata per le precipitazioni, fiumi e altre fonti di approvvigionamento idrico, facendo così abbassare il livello delle acque. Analisi più approfondite suggerivano che un episodio particolarmente forte d'interruzione dello scambio idrico si verificò a metà del Messiniano, facendo seccare quasi completamente il Mediterraneo, trasformandolo così in una specie di enorme salina naturale, con un record di abbassamento del livello delle acque stimato in circa 1500 m.
Interviste a Angelo Camerlenghi, Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, e a Maria Bianca Cita, Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Milano.
Diverse sono le questioni irrisolte e su cui ancora la comunità di geologi dibatte, come il livello dell'abbassamento delle acque, appunto, e la causa scatenante. Da un punto di vista teorico l'ipotesi però regge ancora e, inoltre, in seguito alla pubblicazione del primo lavoro su Nature, le indagini si sono allargate alla climatologia, alla modellistica, alla microbiologia. Il successivo sviluppo tecnologico ha poi consentito di misurare con precisione le valli oceaniche sepolte sotto centinaia di metri di sedimenti e il tempo che è servito all'oceano a riportare le acque del mediterraneo a regime.
A quaranta anni dal primo studio, nel 2013 un gruppo di ricerca internazionale ha dato via a una nuova spedizione che, grazie a innovativi sistemi di perforazione, potrebbe raccogliere l'eredità e la sfida lanciata nel 1970, completandoil lavoro pioneristico iniziato da Cita Sironi.
Questa scoperta affascina ancora oggi anche un pubblico di non esperti, e, nel frattempo, ha attirato una folta schiera di studenti formatisi con la scuola di Maria Bianca Cita, tra cui Angelo Camerlenghi dell'Istituto Nazionale di oceanografia e Geofisica Sperimentale di trieste, Elisabetta Erba dell'Università degli Studi di Milano, Giovanni Aloisi del Laboratoire d'Oceanografie et du Climat dell'Universitè Pierre et Narie Curie di Parigi, tutti esempi, tra molti altri, di percorsi d'eccellenza. Camerlenghi, Erba e Aloisi hanno celebrato i 90 anni di Maria Bianca Cita raccontando i loro successi nella ricerca, arrivati soprattutto grazie ai suoi insegnamenti e alla sua passione.
Come ha ricordato uno degli invitati presenti, ex allievo della professoressa Cita, "Insegnare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco".