Luigi Nicolais, il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, non ha nascosto una certa delusione. Il CNR, che proprio quest’anno festeggia il suo novantesimo compleanno, non è uscito bene dalla Valutazione sulla Qualità della Ricerca effettuata dall’ANVUR (l’Agenzia nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca), i cui risultati sono stati resi noti nei giorni scorsi.
La valutazione, come Scienzainrete ha già riportato, ha interessato intero 95 università, 12 Enti Pubblici di Ricerca vigilati dal MIUR e 26 enti “volontari”. Nelle 14 aree disciplinari prese in considerazione solo in due il Cnr ha avuto una valutazione superiore alla media: nell’area 9 (ingegneria industriale e dell’informazione) e nell’area 11 (storia, filosofia, pedagogia, psicologia). In tutte le altre 12 aree il complesso dei prodotti presentati dai ricercatori del CNR è risultato di qualità inferiore alla media.
Perché?
La
domanda è importante. Per almeno tre motivi. Il CNR è il più grande Ente
pubblico di ricerca – anzi, è la a più grande struttura di ricerca – d’Italia.
È la struttura italiana che ha il maggior peso quantitativo nel sistema di
ricerca internazionale. Ha una vocazione generalista: è l’unico Ente pubblico
presente in tutte le 14 aree disciplinari.
Perché, dunque, la
qualità della ricerca nel CNR è risultata, in media, inferiore a quella delle
università e degli altri Enti pubblici? A questa nostra domanda, Luigi Nicolais
ha risposto: «L’applicazione degli indicatori ha considerato solo alcune delle attività
del CNR non restituendo compiutamente tutto il suo valore». In altri termini
nella sua valutazione l’ANVUR non ha preso in considerazione tutta una serie di
servizi che il CNR rende al paese e che, gioco forza, distraggono dalla
ricerca. Per chi fa ricerca nelle università, per esempio, si è tenuto conto
del carico didattico. Per il CNR non si è tenuto conto delle sue attività
funzionali.
Possiamo aggiungere
che ci sono almeno altri due fattori che hanno portato, probabilmente, a
sottostimare la reale qualità della ricerca del CNR. La prima è che l’Ente è
grande e generalista. E quindi – proprio come è successo con le grandi università
che hanno perso il confronto con alcune minori – le sue performance tendono ad
appiattirsi verso la media, uscendo penalizzato dal confronto con Enti o centri
più piccoli e più specializzati. Probabilmente nelle classifiche dell’ANVUR
dovrebbero comparire i singoli istituti (circa cento) del CNR e non l’Ente nel
suo complesso.
Inoltre l’ANVUR ha
rilevato che tra prodotti non consegnati e prodotti penalizzati, mancano
all’appello il 13,52% dei prodotti attesi dal CNR, contro una media dell’intero
comparto della ricerca del 9,07%. Una differenza di quasi il 5%, dovuta anche a
una sorta di sciopero bianco di alcuni ricercatori dell’Ente che hanno
rifiutato in via preliminare la valutazione.
Alla luce di questi
fatti, sarebbero sbagliate due posizioni, speculari e opposte. Una, che tende a
condannare quei “fannulloni del CNR”. Non è così. L’Ente vanta ottimi
ricercatori e ottimi istituti che lavorano bene in tutti i campi, o quasi,
della produzione di nuova conoscenza.
Ma sarebbe anche
sbagliata anche la posizione opposta. Quella di assolvere l’Ente e condannare
la valutazione dell’ANVUR. La mancanza di alcuni indicatori capaci di “pesare”
meglio l’Ente, sostiene giustamente Luigi Nicolais: «Non deve diventare un
alibi e rallentare il processo di miglioramento delle attività e
delle ricerche che già ci vedono come CNR ai primi posti in Europa».
Più in generale, rispetto alle valutazione dell’ANVUR: «È importante che non si strumentalizzino i risultati per delegittimare il lavoro e le attività di istituti prestigiosi e di università importanti. Ritengo invece che raffinando e migliorando l'intero processo valutativo, ampliando e valorizzando adeguatamente la gamma delle attività da esaminare, il sistema della ricerca scientifica e dell’alta formazione ne uscirà vincente e irrobustito».