fbpx Vaccini per Epatite E | Page 2 | Scienza in rete

Vaccini per Epatite E

Primary tabs

Read time: 2 mins

Le prime dosi del vaccino contro il virus dell’epatite E sono state distribuite in Cina qualche settimana fa. Finalmente s’inizia a sperare di poter controllare il virus che ogni anno infetta 20 milioni di persone. L’epatite E è una malattia diffusa principalmente nei paesi in via di sviluppo caratterizzati da scarsa igiene, in particolare nel Sud-est asiatico. Sebbene nella maggior parte dei casi il virus causi un lieve malessere può provocare gravi danni al fegato, la mortalità è del 4% e raggiunge il 20% nelle donne in gravidanza.

Circa 10 anni fa alcuni ricercatori dell’Università in Fujian avevano creato un ceppo di E. coli geneticamente modificato in grado di produrre una proteina che, iniettata nel corpo umano, era in grado di stimolare il sistema immunitario contro l’epatite E. Solo però nel 2000 iniziano seriamente le prove precliniche e cliniche, quando il gruppo Yangshengtang finanzia un laboratorio biotecnologico in collaborazione con l’Università.

Nel 2006 il Ministero Cinese della Scienza e dellaTecnologia rilancia il laboratorio come Istituto Nazionale di Diagnostica e Sviluppo di Vaccini per le malattie infettive (NIDVD). L’istituto rappresenta un modello positivo di collaborazione tra accademia e industria e assicura lo sviluppo di vaccini anche se non redditizi, afferma Jun Zhang, vice direttore dell’NIDVD. Helicon, il vaccino contro l’epatite E, è il primo prodotto arrivato sul mercato, ma già altri vaccini sono in fase di sperimentazione preclinica.

Jeremy Farrar, direttore dell’Unità di Ricerca Clinica dell’Univerità di Oxford in Vietnam, sottolinea l’importanza di distribuire il vaccino anche fuori dalla Cina, per esempio rifornendo alcune agenzie, come l’United Nations Children’s Fund o il Joint UN Programme on HIV/AIDS, presenti su tutto il territorio mondiale. 

(A.G.)
Autori: 
Sezioni: 
Canali: 
Medicina

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.