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Rivalutata la proteina della memoria

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Per anni, la proteina chinasi M-ζ (PKM-ζ), è stata considerata come cardine nel processo di memoria a lungo termine. Si riteneva, infatti, che l’inibizione di questo enzima potesse cancellare vecchi ricordi, mentre l’aggiunta riuscisse a rafforzare le memorie “sbiadite”. Ma due nuovi studi pubblicati sulla rivista Nature, contestano il ruolo fondamentale di questa proteina. Dal 2007 molti studi indipendenti, tra i quali quelli di Todd Sacktor, avevano dimostrato che sui modelli animali iniettando nell’ippocampo, regione del cervello cruciale nella formazione della memoria, un piccolo peptide denominato ZIP, venivano cancellati i ricordi relativi, per esempio, agli odori sgradevoli. ZIP agiva bloccando l’enzima PKM-ζ. Viceversa, iniettando nel cervello copie extra della chinasi la memoria veniva rafforzata. Questi studi affascinanti suggerivano quindi che la memoria a lungo termine, piuttosto che essere statica e stabile, era sorprendentemente fragile, e dipendeva dalla continua attività di un singolo enzima.

Richard Huganir della Johns Hopkins University di Baltimora, preoccupato del fatto che gran parte dei dati fossero influenzati dalle azioni di ZIP, insieme alla sua èquipe, ha preso una strada diversa, eliminando i due geni: uno per PKM-ζ e una per una proteina correlata chiamata PKC-ζ nei topi embrionali. Anche Robert Messing della California University ha condotto lo stesso tipo di sperimentazione. Nessuno dei due gruppi di topi ha mostrato problemi di memoria. Gli animali sottoposti a una serie di test comportamentali conservano ricordi persistenti per le paure, oggetti, luoghi e movimenti. I topi mostravano livelli normali di potenziamento a lungo termine.

"Il nostro studio afferma che PKM-ζ non è l’unica responsabile del mantenimento della memoria a lungo termine", dice Huganir. Entrambi i gruppi di ricerca hanno scoperto inoltre che ZIP, nonostante la mancanza di PKM-ζ, può sconvolgere lo status della memoria nei topi, “Questi studi non escludono tuttavia la possibilità che PKM-ζ possa giocare un ruolo in alcune forme di memoria, replica Sanktor, perché un gene diverso potrebbe compensare la perdita, come normalmente accade in topi con deficit genetici”. Per confutare anche questa ipotesi, il team di Huganir non ha creato topi knockout, ma ha utilizzato animali in cui i geni PKM-ζ  funzionavano normalmente fino alla somministrazione di un farmaco che improvvisamente spegneva il gene. Questo ha permesso loro di studiare topi adulti che non avevano avuto l'opportunità di sviluppare meccanismi di back-up per la perdita del gene. I topi trattati farmacologicamente  davano risposte ai test comportamentali simili a topi normali. Questi risultati non dimostrano, tuttavia, l’estraneità dell’enzima nella formazione del ricordo, ma che non ha quel ruolo centrale che gli veniva attribuito. La nuova possibile ipotesi è che esistano diversi processi paralleli per la consolidazione dei ricordi nella memoria. "I meccanismi alla base del mantenimento della memoria a lungo termine sarà una delle aree più interessanti della ricerca delle neuroscienze per gli anni a venire", spiega Huganir.

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