L’integrità del DNA è anche una questione di plasticità. Ritorta, avvolta, superavvolta, e poi srotolata e divisa nei suoi due filamenti: ogni molecola di DNA è esposta anche alle tensioni fisiche legate ai due fenomeni, spesso concomitanti, di trascrizione e traduzione. I sistemi di sorveglianza della cellula sana, però, riescono a modificare le strutture dei punti di ancoraggio del DNA sulla membrana nucleare alleviandone così la tensione. Secondo l’ipotesi degli scienziati queste proteine agirebbero come sismografi, registrando le vibrazioni meccaniche della molecola di DNA ed entrando in azione quando rilevano sollecitazioni. «Nella cellula tumorale questo sistema è alterato, per cui il DNA è molto più rigido, quindi più fragile e predisposto a rompersi con maggior facilità» spiega Marco Foiani, dell’IFOM di Milano, che ha coordinato lo studio pubblicato su Cell. Lo scenario è inoltre reso più drammatico dal ritmo forsennato e incontrollato con cui la cellula neoplastica prolifera e quindi replica il proprio DNA e al fatto che a tutto questo si associa uno stravolgimento dei programmi di trascrizione.
«Ora che sappiamo che la rigidità è un aspetto cruciale della fragilità dei cromosomi delle cellule tumorali – spiega Foiani – potremmo pensare di sfruttare questa caratteristica per colpire i tumori. Per esempio potremmo esasperarla fino a rendere il DNA talmente fragile da provocarne la distruzione, portando alla morte le cellule malate». In sperimentazione clinica ci sono già farmaci che vanno in questa direzione.
