Karl Brandt di fronte alla corte (Wikipedia)
Uno dei rami del processo di Norimberga, denominato “United States of America v. Karl Brandt, et al”, ma passato alla storia come il “processo ai dottori”, celebrato da un tribunale militare americano tra la fine del 1946 e l’agosto del 1947, giudicò 23 medici, accusati di efferatezze contro i prigionieri dei lager nazisti; 16 medici furono condannati e sette di essi giustiziati.
Era la prima volta che veniva alla luce il ruolo dei medici tedeschi nelle politiche di selezione della razza e di sterminio di Hitler; eppure, con l’eccezione di un articolo sul New England Journal of Medicine (Alexander 1949), la questione restò sotto silenzio fino agli anni novanta, grazie agli sforzi congiunti della World Medical Association, dell’establishment medico di entrambe le Germanie (che riabilitò in ruoli di distinzione molti ex nazisti) e dei governi non solo dei vinti, ma anche dei vincitori: gli Stati uniti per primi reclutarono nelle loro Università e nell’industria farmaceutica molti scienziati sfuggiti alla giustizia. Una seconda allusione ai crimini di guerra perpetrati da medici comparve su Lancet (Hanauske-Abel 1986), ma solo negli ultimi anni novanta medici tedeschi hanno pubblicato revisioni autocritiche del passato.
Certamente, non tutti i sanitari furono dei Mengele e vi fu anche una certa opposizione al nazismo da parte dell’Associazione dei medici socialisti, ma tacere il lato oscuro del pensiero “scientifico” contribuisce a confinare l’accaduto in un “una tantum” di follia politica, tradendo il significato del giorno della memoria: il passo dalla civiltà alla barbarie è assai breve e lo si è visto a Guantanamo e ovunque, ancora oggi, personale medico venga adibito a sovrintendere pratiche di tortura e di messa a morte dei “nemici”.
Nella Germania economicamente in ginocchio dopo la sconfitta nella grande guerra, i medici, che erano in numero esorbitante le possibilità d’impiego, si iscrissero al partito nazista in percentuale molto più grande degli altri professionisti: nel 1942 era nazista il 50% dei medici, con il 26% attivo nelle truppe d’assalto (Sturmtruppen) e il 7% nelle Schutzaffel (le SS).
La prestigiosa rivista medica Deutsches Artzeblatt, celebrò l’ascesa al potere di Hiltler nel luglio del 1933 con una svastica in copertina; in quel numero si esaltava la missione, da questi affidata ad Alfons Stauder, presidente della massima associazione professionale, di portare avanti l’eliminazione degli ebrei dalla vita culturale e spirituale del paese. Ancora prima della promulgazione delle leggi razziali di Norimberga del 1935, che li avrebbe esclusi da ogni aspetto della vita sociale, agli ebrei fu così vietato di laurearsi in medicina e quelli che già esercitavano potevano farlo solo su correligionari. A quell’epoca, era israelita il 15% circa dei medici tedeschi e il 50% di quelli berlinesi; entro la fine della guerra, il 25% dei medici ebrei venne ucciso, il 5% morì suicida e gli altri avevano lasciato la Germania.
Il darwinismo sociale, contrario all’assistenza medica che permetteva ai deboli di sopravvivere e riprodursi, già nel 1913 contava 425 seguaci, tutti medici o studenti di medicina; con l’avvento di Hitler al potere, divenne parte dell’ortodossia scientifica tedesca, insegnata nella maggior parte delle facoltà mediche. Ne discese la promulgazione della legge per la prevenzione della trasmissione delle malattie ereditarie, attuata con la sterilizzazione: riguardava gli schizofrenici, gli epilettici, i portatori di disturbi bipolari, i ciechi, i sordi, i deformi e gli alcolisti. Più tardi la legge fu allargata ai “delinquenti abituali” e ai feti, fino al sesto mese di gestazione, di madri con malattie ereditarie.
A onor del vero, questa pratica eugenetica non era d’invenzione nazista: simili programmi ai danni di malati o minorati mentali erano attuati, fin dagli anni trenta, nella penisola scandinava, negli Stati uniti e in Svizzera.
Fu proprio lo psichiatra svizzero Ernst Rudin a perfezionare il programma tedesco, suggerendo la presenza di medici accanto alle forze di polizia per “calmare” le persone refrattarie alla sterilizzazione forzata.
In Germania, l’opposizione a tale progetto aberrante fu debole e legata, per lo più, a singoli, seppur eminenti, rappresentanti delle Chiese: la propaganda e l’indottrinamento costante delle masse erano la parte attiva del costituirsi dell’adesione popolare. Ogni atto contro l’umanità era poi talmente burocratizzato e parcellizzato nella pratica, da permettere un’estrema spersonalizzazione del sistema e un’attenuazione delle responsabilità del singolo, il quale veniva a essere inserito in una catena di comando che copriva dubbi e rimorsi con l’obbedienza a ideali di fedeltà al proprio popolo e alla stirpe di appartenenza. La comunità medica tedesca, in particolare, non solo fu acquiescente alla legge, ma collaborò a disegnarla, ne trasse vantaggi, largheggiò negli obiettivi e appoggiò l’ideologia sottostante.
Venivano operati 50.000 individui l’anno; si stima che, in totale, venne sterilizzato un numero di persone pari all’1% della popolazione tedesca tra i 18 e i 40 anni e i medici si contendevano il ben remunerato appalto.
Con le successive leggi “Per la protezione del sangue e dell’onore tedeschi” e “Per la protezione della salute genetica del popolo tedesco”, si crearono ulteriori posti di lavoro per i medici, addetti alla visita e alla selezione dei fidanzati che facevano domanda di matrimonio, per appurare la percentuale di sangue ebraico che scorreva nelle loro vene. L’Associazione medica tedesca e le maggiori riviste plaudivano alle iniziative, viste (e a ragione) come “una strategia di potenziamento dell’occupazione medica”: nel 1937 erano aperti più di 700 uffici statali che impiegavano 2.000 medici a tempo pieno, 4.000 a tempo parziale, 3.700 infermiere e vario personale di supporto, su un totale di 52.000 medici presenti nel paese e nel lustro 1933-38 i guadagni dei sanitari aumentarono di più del 50 per cento,
Nel 1939, Hitler fece un passo avanti, decidendo di applicare l’ossimoro di Alfred Hoche e Rudolf Binding, secondo cui “il diritto di vivere deve essere giustificato”: le vite non degne di essere vissute andavano, caritatevolmente, tolte. Molte istituzioni, tra cui importanti ospedali, ebbero l’incarico di procedere all’eutanasia di deformi e ritardati, con un’escalation che, partendo dai neonati, portò il limite ai tre anni di età, per estenderlo, nel 1941, fino ai 17 anni.
Parallelamente, la comunità medica fu incaricata di disegnare, implementare ed eseguire un programma di eutanasia per adulti non produttivi (specialmente malati mentali), denominato Operazione T4 (abbreviazione di "Tiergartenstrasse 4", l'indirizzo del quartiere di Berlino dove era situato il quartier generale dalla Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege, l'ente pubblico per la salute e l'assistenza sociale): si trattava di una concessione alle uccisioni data da Hitler ai direttori degli istituti di ricovero con una lettera informale (pervenuta ai posteri eccezionalmente, perché il Führer evitava di lasciar scritti ordini che avrebbero potuto configurarsi come crimini contro l’umanità): entro il 1941, 70.000 dei loro ospiti furono selezionati a essere gasati e cremati. Poiché le eliminazioni venivano pagate “a fattura”, i criteri di inclusione nel programma T4 vennero estesi agli individui socialmente indesiderabili, come criminali, prostitute, vagabondi e omosessuali, tanto che l’omicidio divenne parte dell’attività di routine di molti ospedali tedeschi. La stanza corredata da una ventina di docce che emanavano monossido di carbonio, messa a punto nell’ospedale di Brandenburg, vicino a Berlino, ebbe tanto successo che molti ospedali se ne dotarono.
Nel corso del 1940 il sospetto su quanto stava succedendo indusse alcuni medici e psichiatri a dimettere i pazienti oppure, nel caso di famiglie benestanti, a trasferirli presso cliniche private ove il programma T4 non aveva giurisdizione. Alcuni medici acconsentirono a cambiare le diagnosi già effettuate dei loro pazienti in modo che essi non rientrassero più nei parametri per la selezione T4. Il professor Hans Gerhard Creutzfeldt, scopritore dell’omonima morbo, riuscì a salvare praticamente tutti i suoi pazienti. La maggior parte dei medici collaborò comunque con l'Aktion T4, in parte per ignoranza circa i veri scopi che esso si prefiggeva e in parte per convinzione nei confronti delle politiche eugenetiche nazionalsocialiste.
L’Operazione T4 coinvolse, in seguito, i paesi occupati militarmente e i prigionieri malati, con un saldo finale di 200.000 assassini commessi, come incarico professionale, da personale medico.
Infine, la Conferenza di Wannsee, nel gennaio del 1942, decretò la “soluzione finale” ossia lo sterminio definitivo degli ebrei in Europa e nell’Unione sovietica occupata, dove operavano, senza tante sofisticazioni ideologiche, gli Einsatzgruppen, squadroni della morte, anch’essi con supporto di personale medico.
Il testamento morale dell’omonimo processo fu il Codice di Norimberga, del 1947, considerato il documento più importante nella storia dell’etica della ricerca che detta le regole e i confini etici della sperimentazione sull’uomo.
Uno dei capitoli più efferati della storia del legame tra la comunità medica e il crimine nazista, infatti, è quello dell’uso dei prigionieri dei campi come animali cavie.
Ad Auschwitz si sperimentava soprattutto per migliorare l’efficienza delle procedure di castrazione o di sterminio. Altrove, gli scopi erano bellici, per esplorare la possibilità di sopravvivenza dei piloti tedeschi abbattuti: i prigionieri venivano sottoposti ad abbassamento della pressione barometrica fino alle convulsioni o alla morte, oppure a temperature sempre più fredde, per immersione in vasche di ghiaccio o per esposizione, legati su una barella, alle notti invernali, oppure a bere solo acqua marina.
Infine, c’erano gli esperimenti propriamente clinici, nei quali venivano iniettati nelle vittime agenti infettivi per ricercare il vaccino o la cura, oppure inferte ferite e mutilazioni per studiare la rigenerazione cutanea e ossea; furono sicuramente implicati in questi esperimenti anche Hans Reiter, ancora oggi, vergognosamente, insignito dell’eponimo a una sindrome e Karl Gebhardt, allora presidente della Croce rossa tedesca.
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