La biodiversità è il tassello fondamentale dell’evoluzione, la capacità delle specie di sopravvivere adattandosi ai cambiamenti ambientali dipende proprio dalla variabilità genetica. Il mondo della ricerca è molto attento a queste tematiche e lavora per tutelare e conservare la biodiversità.
All’Università degli Studi di Milano-Bicocca, col patrocinio del Comitato Scientifico per Expo 2015 del Comune di Milano, giovedì 13 marzo si discuteranno questi e altri temi in un convegno organizzato dal Master MaCSIS in collaborazione con Scienzainrete.
In preparazione dell'evento abbiamo incontrato Paolo Ajmone Marsan, professore di Miglioramento genetico animale e coordinatore scientifico del Centro di Ricerca sulla Biodiversità e sul DNA antico (BioDNA) dell’Università Cattolica di Piacenza, che analizza l’evoluzione del genoma e la diversità genetica delle specie vegetali, animali e dei microorganismi attraverso l’analisi, appunto, del loro DNA. Quello di BioDNA è uno dei pochissimi laboratori italiani attrezzati per studiare il DNA antico: ha una struttura particolare, è composto da tre moduli distinti collegati da un percorso a senso unico. Una volta entrati in un modulo non si può tornare al precedente, e una volta usciti dal laboratorio non si può rientrare fino al giorno successivo. I ricercatori indossano tute integrali bianche e mascherine tipo sala operatoria, per evitare di contaminare i campioni. La sala è a pressione positiva con un sistema di UV che si attivano di notte per degradare qualsiasi traccia di DNA rimasto.
Come si conserva la variabilità genetica nelle specie animali di interesse zootecnico?
La diversità genetica delle specie zootecniche deriva dai progenitori selvatici. Uno dei siti più importanti per la domesticazione di piante ed animali e per la nascita dell’agricoltura, avvenuta circa 10.000 anni fa, è la Mezzaluna fertile. La variabilità genetica iniziale si è poi arricchita di nuove mutazioni, si è in parte persa per eventi casuali ed è ora suddivisa tra le razze che sono state create dall’uomo attraverso la selezione. In generale la variabilità genetica si origina perché la copiatura del DNA, sebbene sia molto precisa, non è perfetta e introduce delle mutazioni nella sequenza. Queste mutazioni possono essere favorevoli, neutrali o svantaggiose. Queste ultime sono progressivamente eliminate dalla selezione naturale. Quelle vantaggiose si diffondono se aumentano la capacità di sopravvivenza, adattamento e fertilità degli animali. Il destino di quelle neutrali dipende invece dal caso. Se non ci fosse variabilità genetica non ci sarebbe biodiversità, e la biodiversità è il risultato della variabilità genetica.
Oggi la perdita di diversità biologica e l’estinzione delle specie procedono a una velocità di dieci volte superiore a quella normale...
Abbiamo stime ancora più allarmanti. Se parliamo di specie selvatiche, la velocità di estinzione è addirittura di cinquanta volte superiore a quanto avvenuto in passato. Queste stime sono basate sulle osservazione di vertebrati, facili da monitorare. Ma bisogna ricordare che la biodiversità comprende tutte le specie viventi, dagli animali superiori ai microorganismi del terreno. La perdita di biodiversità porta alla distruzione di una parte del patrimonio biologico del pianeta e a una destabilizzazione degli equilibri tra specie che si sono evoluti nel corso di milioni di anni.
Cosa comporta la perdita di biodiversità delle specie zootecniche?
Le specie domestiche sono un caso particolare. Sembra strano parlare di estinzione quando circa 1 miliardo di bovini e 17 miliardi di polli sono allevati sul nostro pianeta. Il problema è un altro, cioè che gli animali allevati stanno diventando sempre più omogenei dal punto di vista genetico a causa della selezione e dell’allevamento su grande scala di un numero molto limitato di razze. Il 10% delle razze che esistevano nel 1900, razze adatte a vivere in condizioni ambientali difficili e a cibarsi con sottoprodotti, si è estinto. Nello stesso periodo 1 razza ogni 3 è diventata a rischio di estinzione e su 1 razza ogni 3 non ci sono informazioni attendibili sullo stato di pericolo.
Oggi col sistema di agricoltura industriale abbiamo polli con geni molto simili, abbiamo una razza di vacca da latte predominante, la Frisona, che non ha origini italiane, ma è molto produttiva e per produrre deve essere nutrita con alimenti ricchi di energia come il mais della pianura padana. Le cause della perdita di razze locali sono diverse. Nei paesi sviluppati sono principalmente di carattere economico e hanno determinato il progressivo abbandono delle aree agricole marginali e la sostituzione delle razze locali con razze più produttive, adatte a un allevamento di tipo industriale. Nei paesi in via di sviluppo le motivazioni sono altre. In alcuni casi le razze locali sono state incrociate in modo non controllato con le razze industriali non adatte a sopravvivere in ambienti tropicali. Le guerre, la povertà, l’instabilità politica e i cambiamenti climatici hanno fatto il resto. Intendiamoci, l’allevamento industriale è necessario per nutrire con proteine ad alto valore biologico la popolazione mondiale in continua crescita. Ma le razze locali sono altrettanto importanti perché conservano delle varianti genetiche non presenti nelle razze industriali e che devono essere conservate per il futuro. Se dovessero cambiare rapidamente le condizioni ambientali, in assenza di biodiversità, rischieremmo una crisi globale.
Quali sono le strategie da mettere in atto per conservare la biodiversità?
Il modo migliore per conservare la biodiversità è di promuovere le razze locali nel loro ambiente di origine, valorizzando i prodotti tipici e il modo con cui sono ottenuti. In questi giorni stiamo rispondendo a una call di Horizon 2020 proprio su questo tema. Vogliamo studiare le caratteristiche molecolari e nutrizionali (es. composizione in acidi grassi omega 3, utili per l’uomo) dei prodotti tipici per dare loro un valore aggiunto e per poterne dimostrare l’autenticità. In altre parole vogliamo proporre delle strategie per permettere agli allevatori di razze minori di sopravvivere anche in assenza di sovvenzioni.
Nel caso più estremo si possono conservare gameti e cellule attraverso il congelamento, ma una nuova e più economica procedura di conservazione prevede la disidratazione. Nell’ambito di un progetto europeo che sta studiando come conservare la biodiversità zootecnica (Nextgen) un gruppo di ricerca italiano condotto da Pasqualino Loi dell’Università di Teramo studia proprio la disidratazione di cellule e gameti che possono essere conservati a temperatura ambiente per diversi anni per poi essere rigenerati.