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Riflessioni non ideologiche sulla sperimentazione animale

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La scorsa settimana, mentre ero a Londra, in Italia si accendeva un piccolo dibattito sulla sperimentazione animale, durante il quale alcuni arrivavano a proporne la completa abolizione. Un argomento portato a sostegno di questa proposta era che altri paesi lo stavano già facendo, a favore di metodi alternativi come test in vitro e simulazioni al computer.

Ora, cosa c’entra Londra? C’entra perché il Governo Britannico ha da tempo creato un’agenzia che si occupa dell’implementazione delle 3R (replacement, refinement e reduction), cioè della sostituzione, raffinamento e riduzione dell’uso di animali nella ricerca e nei test tossicologici. Questa agenzia è nazionale (si chiama “National Centre for the replacement, refinement & reduction of animals in research”), ma ad affiancare i suoi membri nei gruppi di lavoro ci sono rappresentanti di agenzie di regolazione e di finanziamento, esperti di bioetica, medici, veterinari, scienziati e rappresentanti dell’industria provenienti da vari paesi.

Io sono stato invitato a partecipare al tavolo sull’epilessia, una malattia che colpisce più di 50 milioni di persone nel mondo. Il gruppo di lavoro ha proceduto così: abbiamo studiato la letteratura scientifica sull’argomento, preparato un questionario che abbiamo sottoposto a ricercatori che in tutto il mondo si occupano di modelli animali di epilessia, confrontato i dati raccolti dal questionario con quelli della letteratura, discusso quanto fosse opportuno fare in termini di sostituzione, raffinamento e riduzione. Abbiamo preparato un primo documento in bozza e l’abbiamo condiviso con altri esperti esterni al gruppo di lavoro, raccogliendo ulteriori indicazioni. Infine, dopo due anni di lavoro, la settimana scorsa abbiamo completato la stesura di un lungo documento che definisce una serie di linee-guida specifiche e accuratamente motivate in base ai dati disponibili, che ora verrà sottoposto alla pubblicazione in una rivista scientifica internazionale (dunque, riceverà un’ulteriore revisione da parte di altri esperti).

Mi scuso per la lunga premessa, ma mi sembrava necessaria per far capire le riflessioni che vorrei proporre.
La prima è una questione di approccio al problema e di metodo: anziché indugiare in discussioni di parte, dispute sensazionaliste e impressioni soggettive espresse privilegiando l’aneddoto al dato, la questione è stata affrontata in modo “neutro”, con un sistema “terzo” oggettivante e trasparente.
La seconda osservazione è che a nessuno, in nessun momento, è venuto in mente di abolire la sperimentazione animale. Tutti abbiamo condiviso la priorità etica della ricerca di soluzioni per la malattia (per i malati), e la convinzione che l’utilizzo di modelli animali vada condotto assicurando al meglio il benessere degli animali, ma che non possa ancora essere abbandonato.
Insomma, l’idea del gruppo di lavoro è che esiste un modo etico di fare sperimentazione animale, e che bisogna fare in modo che questo sia seguito da tutti fino a quando si troveranno metodi veramente alternativi.

Mentre a Londra si discutevano queste cose, in Italia percorrevano il Parlamento affermazioni mal supportate dall’evidenza, e si paventava il completo abbandono della ricerca animale.
Mi domando che impatto avrebbe avuto una soluzione di questo tipo sulla ricerca preclinica che, ad oggi, rimane una fase imprescindibile per lo sviluppo di terapie in moltissime aree della medicina.
Che impatto avrebbe avuto sui nostri scienziati che dedicano la vita alla ricerca e si sarebbero trovati esclusi dall’accesso a finanziamenti europei? Soprattutto, cosa avremmo potuto dire ai nostri malati che, affetti da malattie attualmente senza cura, ci esortano a continuare la ricerca? Forse che la Gran Bretagna è un paese arretrato che, invece di affrettarsi a cancellare la ricerca animale, ha intrapreso iniziative per renderla sempre più scientificamente ed eticamente corretta. O, forse, avremmo potuto liquidare ipocritamente la questione dicendo che, in futuro, si potranno pur sempre importare dalla Gran Bretagna (e da altri paesi) le terapie che verranno dalla ricerca, la loro ricerca.

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