L’idea di un Senato della conoscenza discussa da Armando Massarenti e da Elena Cattaneo non può che vedermi di principio favorevole, anche se ho qualche perplessità sul fatto che possa essere realizzata con successo in Italia in questo particolare momento storico.
Certamente il suo avvento sarebbe il frutto di un cambiamento rispetto al bicameralismo perfetto, che, per molti, tanti danni ha creato e sta creando in Italia. Tuttavia, non sono così sicuro che possano essere ascritte colpe a una struttura istituzionale in quanto tale. In realtà, temo che la causa dei mali risieda soprattutto in quegli uomini e in quelle donne che vivono l’istituzione, qualunque essa sia, in modo “cattivo”, anzi, per usare il termine corretto - come ci dice la sua definizione -, da farabutti.
Ho il sospetto che per cambiare l’andazzo non sia sufficiente modificare qualche istituzione, pur anche se centrale, ma che bisogni cambiare sia gli uomini e le donne che l’abitano e sia quelli che han permesso a questi di abitarle. Comunque sia, arriviamo alla mia perplessità.
Se ci fosse il Senato della conoscenza, lo confesso apertamente, mi piacerebbe che fosse composto da individui con un ego non malato, liberi da pressioni partitiche e ideologiche; individui che, avendo delle reali competenze e conoscenze, potessero essere utilizzati per suggerire, valutare, indicare, disegnare, progettare, calmierare consigliare ecc. Ma, ed ecco il dubbio, chi dovrebbe nominarli?
Li sceglie forse il cittadino?
Veramente crediamo che ora il cittadino italiano abbia la capacità di capire e di scegliere chi ha conoscenza e competenza, che è libero e con un ego non malato? Pur essendo un grande sostenitore e teorizzatore della necessità di una cittadinanza attiva, sono piuttosto scettico che si possa rispondere positivamente e non mi va di confondere demagogia populistica con democrazia partecipativa, di cui son grande fautore. La palpabile decadenza conoscitiva e meritocratica, da un lato, ha condotto a rendere opaco chi sia veramente colui che sa e che ha competenza e, dall’altro, ha generato mostriciattoli dall’ego ipertrofico con l’aiuto di mass media alla caccia della facile informazione e della superficiale elaborazione. E se i cittadini italiani, nutriti a talk show e a giornali appiattitisi sul “così dicon tutti”, scegliessero per il nostro Senato della conoscenza “sicumerici matematici” il cui ultimo teorema dimostrato risale a quarant’anni fa; maleducati “critici d’arte” che delle grida han fatto orpello della loro divulgazione liceale; seriosi e biliosi “filosofi” - da noi considerati magnifici templari del pensiero - che però mai han superato (se non per turismo) il canale di Sicilia o le Alpi; psicologi che del cachemire han fatto strategia terapeutica; scienziati in pensione che solo per il fatto di essere stati abbastanza bravi nella loro disciplina pensano sia il caso di poter parlare su tutto; e via dicendo? Veramente vorremmo un Senato della conoscenza così costituito? Veramente vorremmo che per scelta popolare e democratica vi potessero capitare “studiosi” come Liborio Bonifacio, Luigi Di Bella o Davide Vannoni?
Li sceglie forse la politica?
Sono incline a pensare che forse staremmo ancora più “freschi”, tenendo conto dello stato attuale della politica italiana. E poi basta dare un’occhiata, pur anche di sbircio, alla composizione scelta dalla politica di quello che dovrebbe essere un consesso di individui liberi da costrizioni e di acclarata competenza qual è il Comitato Nazionale di Bioetica.
Non mi pare (ed Elena Cattaneo lo sa bene, essendone giustamente fuggita) che fra i suoi membri vi siano stati e vi siano così tanti individui liberi da costrizioni partitiche o ideologiche (leggasi anche religiose) o così tanti pensatori dall’ego non malato che abbiano lasciato o che stiano lasciando qualche traccia di pensiero significativo nei luoghi deputati internazionalmente al dibattito bioetico.
E se, data la visibile incapacità attuale di riconoscere chi sa, merita e vuol essere utile, invece di pensare a un Senato della conoscenza si lavorasse ancor di più per fornire al cittadino italiano quelle competenze basilari, anche di pensiero critico, solo grazie alle quali poi riuscirebbe a svolgere positivamente il suo ruolo democratico?
Forse per raggiungere questo fine potrebbe bastare che si cominciasse ad aggregare un gruppo di individui che accomunassero competenza riconosciuta a livello internazionale con un ego non ipertrofico e che, consapevoli che il loro expertise è dentro ai confini della loro competenza e non omnicomprensivo, si adoperassero a rendere chi abita i nostri lidi un vero e proprio cittadino capace di valutare correttamente e di riconoscere il pericoloso e vuoto millantatore del sapere da colui che veramente potrebbe essergli utile per la costruzione di una buona vita democratica collettiva.
Forse Elena Cattaneo, dato il ruolo istituzionale e la caratura scientifica, potrebbe essere la persona giusta per fungere da attrattore di questo gruppo di Sodali della rivoluzione conoscitiva, peraltro la sola rivoluzione che cambi effettivamente le cose senza lasciare dietro di sé sangue e dolore.