Si
chiama SMSS J031300.36–670839.3, ed è una piccola stella invisibile a occhio
nudo che si trova a circa 6000 anni luce dalla Terra, nella costellazione
dell’Idra Maschio. Niente di così esaltante, apparentemente.
Ma ciò che rende
speciale la “stella di Keller” (così ribattezzata in onore del suo scopritore)
è la sua veneranda età. Con i suoi 13,6 miliardi di anni, infatti, è la stella
più vecchia a oggi conosciuta.
Una vera golosità per gli astronomi, che hanno deciso di studiarla da cima a fondo come un “fossile” dell’universo primordiale. È quello che ha fatto un gruppo di ricercatori delle università di Gottinga e Copenhagen (guidato dall’italiano Stefano Bovino e che vede la partecipazione di un altro scienziato italiano, Tommaso Grassi), che con uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters ha simulato al computer la formazione di questa stella a partire dal suo “ambiente” primordiale.
La
stella di Keller si sarebbe formata appena 150 milioni di anni dopo il Big
Bang, quando la nostra galassia non aveva ancora acquisito la sua forma a
spirale ed era poco più che una nube di idrogeno ed elio. Diciamo “poco più”
perché la Keller è nata in realtà dalle ceneri di una prima generazione di
stelle, che oggi non esistono più. Spiega infatti Bovino che le stelle di prima
generazione erano “assai massive, e con vita talmente breve che sarebbe
impossibile osservarle oggi”.
Queste
stelle, esplose poi come supernovae, hanno rilasciato nell’ambiente circostante
quantità più o meno elevate di carbonio, ossigeno, silicio, ferro e altri
elementi. La presenza di queste “impurità chimiche” ha permesso alla seconda
generazione di stelle, a cui appartiene la Keller, di nascere con massa più
piccola, e quindi vita più lunga. Abbastanza lunga da poter essere osservate
anche oggi, regalandoci preziose informazioni sulla composizione chimica della
Via Lattea primordiale.
La
stella di Keller, poi, è particolarmente adatta a questo tipo di studi perché
“è molto probabile che sia vicina – racconta Grassi – alla sua stella
progenitrice”. Questo garantisce uno studio accurato sul “passaggio di
testimone” dalla prima alla seconda generazione di stelle.
Le
simulazioni di Bovino e colleghi sono state realizzate con Krome, un tool
sviluppato principalmente dagli stessi Grassi e Bovino e che ha permesso di
seguire l’evoluzione della nube da cui si sarebbe originata la stella di Keller
in presenza di materia oscura, radiazione ultravioletta e svariate specie di
elementi chimici e ioni presenti nella nube stessa come “lascito” della prima
generazione di stelle. È stato proprio variando queste quantità che i
ricercatori hanno avuto modo di scoprire quale può essere stata l’origine della
stella di Keller.
In
particolare, il team di studiosi ha concluso che è stata proprio la presenza
degli elementi pesanti a rendere possibile la formazione della stella di
Keller. “Le nostre simulazioni – sostiene Grassi – dicono che gli elementi
pesanti sono necessari per avere un collasso, anche se non è necessario che
siano presenti nelle quantità che abbiamo usato noi.”
Ma come funziona il raffreddamento dovuto agli elementi pesanti? “Raffreddano il gas tramite emissione di fotoni dovute alle loro transizioni atomiche eccitate per via collisionale con le molecole e gli atomi presenti nel gas”, spiega Grassi. In parole povere: gli atomi degli elementi pesanti si scontrano con gli altri atomi presenti nella nube, si eccitano (ovvero i loro elettroni salgono a livelli energetici superiori) ed emettono radiazione quando gli elettroni ritornano ai livelli originari; la radiazione emessa toglie energia al gas, diminuendo la sua temperatura.
Essendo un esemplare altamente rappresentativo di un’intera classe di stelle, ci si può aspettare che le stelle simili a quella di Keller si siano formate attraverso gli stessi meccanismi fisici. Questa piccola stella, insomma, si sta rivelando una miniera di informazioni utili per studiare la fase di transizione tra le prime generazioni stellari nella nostra galassia.