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Dal Lago di Tovel al Lago di Levico

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Sono le otto e mezza del mattino e la piccola truppa di scienziati e cittadini di Terramare si è riunita sulle rive del Lago di Tovel, dove il guardaparco Matteo Zeni tiene le fila di una piccola conversazione sull'orso bruno in Trentino. «Qui l’orso c’è sempre stato; questo grande animale un tempo era presente in tutta l’Eurasia ed era diffuso in molti tipi di ambiente, dalla tundra alle zone aride, e quindi non solo in alta montagna o nei boschi, come spesso si è portati a credere. Adesso è invece confinato nell’area che va dalla Paganella alla Val di Tovel, che potremmo definire l’ultimo villaggio degli orsi (come quello dei galli di Asterix)».

Continua Matteo: «La scomparsa dell’orso dall’Europa è stata favorita da tre grandi crisi. La prima è stata di tipo culturale: con la diffusione del Cristianesimo, infatti, le popolazioni locali spezzano i legami con i simboli spirituali connessi ai culti della natura, e gli animali selvaggi perdono la loro sacralità. Questo scatto culturale è ben rappresentato nella nuova iconografia, dove  l’orso e il lupo (per esempio), sono raffigurati come “sottomessi” ai santi cristiani. Un esempio, ma ce ne sono decine, è quello datoci da San Romedio, il quale è ritratto con un orso al guinzaglio».

«Nel Medioevo, poi, le popolazioni di orso iniziano a declinare a causa della caccia, che da rituale di iniziazione per giovani guerrieri, diventa passatempo per ricchi e aristocratici. La crisi definitiva arriva però dopo la Rivoluzione industriale, quando l’avvento delle armi da fuoco facilita enormemente l’uccisione di questi animali. Gli uomini, senza alcuna coscienza comune del danno provocato, hanno determinato la quasi totale scomparsa dell’orso da questi territori mettendo in atto una profonda modifica degli habitat di questi animali, ad esempio attraverso la deforestazione  anche in alta quota».

Le parole di Matteo ci spingono a delle intime riflessioni sull’influenza della cultura nel rapporto tra uomo e ambiente e sull’importanza della conservazione delle risorse naturali; idee queste che sono tra i motivi ispiratori di questi nostri Cammini LTER. La storia dell’orso in Trentino ci insegna anche che però l’uomo, se vuole, può porre rimedio ai danni provocati. «L’orso bruno è protetto dal 1939» racconta sempre Matteo. «Per riportarlo tra queste montagne, sono stati fatti parecchi tentativi “empirici”, come per esempio tentare di reimmettere nel bosco cuccioli allevati in casa. E' solo intorno al duemila che, con l’attivazione del progetto europeo Life Ursus si attua una strategia di successo per favorire l’incremento delle popolazioni di orso bruno trentino indebolite nel tempo dall’alto tasso di inbreeding (ovvero dell’accoppiamento tra consanguinei). Attraverso la liberazione di 9 individui (3 maschi e 6 femmine) selezionati tra le popolazioni di orsi sloveni, si è riusciti in dieci anni a riportare la popolazione ad almeno 40-50 individui. Il progetto prevede anche il tracciamento genetico di tutti gli individui e il costante monitoraggio di quelli più “dannosi”, con lo scopo di prevenire i danni potenziali e le tensioni sociali, che sono comunque immancabili nella gestione di tutti i grandi carnivori».

Gli orsi sono animali molto adattabili, con una grande varietà di fonti alimentari: dagli insetti ai semi, fino ad arrivare alle carcasse e, se va male, ci sono sempre i rifiuti! «Abbiamo tolto i cestini dell'immondizia in tutto il perimetro del Parco. Se l'orso si abitua a frugare tra i nostri rifiuti può succedere che pian piano prenda confidenza con gli uomini stessi e lo si ritrovi nei paesi diventando pericoloso. Meglio agire all'origine sradicando alla radice comportamenti innaturali», afferma Matteo. Se qualche animale diventa troppo “pericoloso”, infatti, i guardaparco hanno la possibilità di marcarli con l’ausilio dei radiocollari e di mettere in pratica tecniche di “ricondizionamento” così da evitare che essi provochino danni e limitare le tensioni sociali» conclude Matteo.

In questo viaggio di scoperta, passiamo dal “visibile” alle cose invisibili alla velocità della luce. Dalla “conservazione” dell'orso, allo studio della vita sospesa nelle acque del lago di Tovel. Arriva con una jeep bianca che porta un grosso gommone sul tettuccio la dinamicissima Ulrike Obertegger, ricercatrice della Fondazione Edmund Mach di S. Michele all'Adige (FEM). «Le ricerche ecologiche a lungo termine (LTER) nel Lago di Tovel, dirette dalla mia collega Giovanna Flaim, sono condotte ad una stazione posta al centro del lago, nel punto di massima profondità (39 m) e nella cosiddetta Baia Rossa». La notte appena trascorsa abbiamo dormito in un albergo chiamato “Lagorosso.” In questo momento ci troviamo in prossimità di una baia, definita rossa anch'essa. Il lago però è cristallino e rende in pieno l'idea di cosa possa significare l'espressione “specchio d'acqua”. C'è stato però un tempo in cui il Tovel diventava rosso, rappresentando una attrazione turistica di primo piano.

«Sul finire degli sessanta si è provveduto ad una modifica importante nella gestione degli alpeggi, con la riduzione drastica dello sversamento delle deiezioni degli animali lungo i torrenti che alimentavano il lago. Ciò ha di fatto interrotto la “fertilizzazione” delle acque del lago con azoto e fosforo, provocando così il “mancato arrossamento”». Il colore rosso della acque del Tovel era quindi dovuto alle “fioriture” di una alga unicellulare, il dinoflagellato Tovellia sanguinea. Quindi, quasi paradossalmente, il miglioramento delle condizioni ambientali ha generato una diminuzione della attrattività turistica del sito. Questo dinoflagellato è ancora presente nel lago, ma le sue concentrazioni non hanno più raggiunto quelle necessarie a provocare l'arrossamento del lago, peraltro innocuo, poiché Tovellia sanguinea non produce tossine».      

Ulrike mostra il materiale necessario ad un campionamento limnologico, come sonde per rilevare temperatura, torbidità e clorofilla nella colonna d'acqua e retini per campionare il plancton. Mentre armeggia con gli strumenti, ci parla anche delle indagini scientifiche condotte in questo sito LTER «che mirano soprattutto ad osservare come si modificano le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del lago a causa dei cambiamenti climatici». Come, su tutti, l'effetto sugli organismi microscopici indotti dall'aumento di temperatura e dalla maggiore intensità dei raggi UV, quest'ultima incrementata stabilmente negli ultimi decenni a causa della riduzione dello strato dell'ozono nella stratosfera. Inoltre, il lago ospita una piattaforma tecnologica dotata di una serie di sensori che rilevano dati lungo un profilo verticale: in tal modo vengono acquisiti dati ad alta frequenza di temperatura, ossigeno disciolto, luce e livello dell’acqua. La piattaforma è attiva anche nei mesi invernali e registra dati sotto il ghiaccio. In tal modo è possibile rilevare, anche da remoto, la presenza di oscillazioni estreme ed improvvise nei parametri ambientali, sempre più frequenti ed imprevedibili a causa delle irregolarità del clima legate alle attività umane.

Ad “Uli” però brillano gli occhi quando parla di rotiferi perché studia da anni questi animali grandi al massimo mezzo millimetro che vivono nella comunità planctonica dei laghi, Tovel compreso. «I rotiferi bdelloidei sono tutte femmine», afferma Uli, «non hanno bisogno dei maschi perché si riproducono attraverso la partenogenesi, ovvero le femmine rilasciano uova fertili che danno vita solo ad altre femmine». Il maschio, più piccolo della femmina, viene generato solo quando le condizioni ambientali sono avverse, al fine di introdurre variabilità genetica all'interno della popolazione. La partenogenesi è infatti una modalità riproduttiva “asessuata” e le femmine che vi si generano sono dei “cloni” sul piano genetico. Per questo motivo, una popolazione di rotiferi è povera di soluzioni verso i cambiamenti improvvisi dell'ambiente, soluzioni che si attuano, appunto, attraverso il patrimonio genetico degli animali. Il sesso, invece, garantendo ricombinazione genetica, può introdurre dei piccoli salti evolutivi che consentono alla popolazione di superare momenti di difficoltà.

Salutiamo anche Uli – senza sosta questo Terramare! - e, insieme a Nicola Angeli del MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, visitiamo la Stazione Limnologica del Lago di Tovel e le sue attrezzature per l'osservazione di campioni biologici “vivi”, ovvero microscopi e computer. Nicola ha prelevato campioni dalle rocce in riva al lago grattandole con uno spazzolino. I protagonisti dell'osservazione sono le diatomee, alghe unicellulari con uno scheletro di materiale vitreo dalle forme meravigliose e che, fattore tutt'altro che secondario, a scala globale producono tra il 20 e il 40% dell'ossigeno presente sulla terra. Rivediamo questi esseri nel pomeriggio, quando, salutato il lago, lanciati sulle bici verso fondovalle, attraversata la Valle dell'Adige lungo la ciclabile che segue la “Via Claudia Augusta”, arriviamo a Trento, nella sede del MUSE. Nicola, mostrando diapositive su di uno schermo a muro, ci porta nel mondo della osservazione al microscopio elettronico a scansione (o SEM), uno strumento in grado di far apparire grande quanto una pizza un organismo discoidale delle dimensioni di dieci millesimi di millimetro, come appunto una diatomea.

La nostra giornata – e che giornata! – si conclude a Levico Terme, sorseggiando un bianco offerto dalla Cantina Romanese e invecchiato in bottiglia sul fondo del lago di Levico (a meno di 40 m), dalle acque pulitissime e meta di turisti in tutte le stagioni. Discorriamo anche con Monica Tolotti della FEM sull'uso della paleolimnologia per “andare indietro nel tempo”, osservando la stratigrafia del lago di Levico e gli organismi che si ritrovano all'interno di strati diversi e risalenti ad epoche distinte. Monica è venuta col suo carico di poster divulgativi che espone ad un piccolo pubblico convenuto al nostro evento. Mentre parliamo con Monica, va in scena anche qui, sotto alcuni gazebo forniti dalle autorità locali, la scienza in piazza, con “la vita in una goccia d'acqua”: piccoli e grandi con il naso all'ingiù e gli occhi ai microscopi. Ma anche ragazzini impegnati a comporre molecole con modellini di atomi e legami, a “immaginare realizzandole”, sotto la guida di Andrea Zignin, le due reazioni chimiche fondamentali e complementari della natura vivente, ovvero la fotosintesi e la respirazione. Del resto, gli scienziati in bicicletta sono soprattutto questo, dei “cantastorie di scienza” in continuo movimento. Portano conoscenza alla gente dei posti che visitano, anche in cambio di un bel bicchiere di vino!

Foto di Antonio Bergamino

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