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Le idee non si bruciano: intervista a Vittorio Silvestrini

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Non vede l’ora di ricominciare. Ha già pronta la nuova sfida, inaugurare la prossima edizione di Futuro Remoto insieme a Corporea, il padiglione ancora in costruzione di Città della Scienza fatto salvo dalla fiamme ma non dalla burocrazia, che da due anni tiene fermi cantieri cui mancano solo otto mesi per essere chiusi. Ha speso un quarto di secolo a tirar su il più importante science center d’Italia, tra i più apprezzati d’Europa, e non saranno le fiamme criminali dell’altra notte a fermarlo.
Scienziato, umanista, visionario, il creatore di Città della Scienza non si arrende. “Hanno bruciato le mura, non l’idea. La forza dell’utopia che ci ha portato sin qui rimane intatta”. Laureato a 22 anni alla Normale di Pisa insieme al suo grande amico Carlo Rubbia, a ventisette è già libero docente, i quark e le particelle elementari sono il suo elemento naturale, le sue ricerche fanno il giro del mondo, docente alla Sapienza di Roma, Vittorio Silvestrini è uno scienziato di successo eppure dentro di sé cova un sogno: costruire una fabbrica della conoscenza. Un sogno che pian piano diventa realtà nella sola città che avrebbe potuto ospitarlo. “Mi era chiara la sempre più evidente e profonda crisi del modello settentrionale di sviluppo anche nello stesso settentrione, era necessario proporre per l’intero paese un modello di conoscenza intesa come bene comune”. L’ordinariato a Napoli rappresenta quindi una svolta esistenziale oltre che accademica. Verso la fine degli anni ’80 dà vita alle prime edizioni di Futuro Remoto, esposizione temporanea ospitata prima dall’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, poi alla Mostra d’Oltremare fino alla svolta degli anni ’90 con la creazione della Fondazione Idis e l’acquisto di uno dei tanti scheletri del polo industriale di Bagnoli. “Ogni mattina, per recarmi al lavoro – scrive nella sua autobiografia – percorrevo col mio motorino la Discesa di Coroglio, per scendere dalla rupe di Capo Posillipo giù verso il mare, e poi girare, di fronte a Nisida, verso Fuorigrotta. Proprio lì, nel gomito della via, si trovava un brutto edificio a forma di parallelepipedo, squallida testimonianza dell'architettura povera degli anni Sessanta. Un bel giorno, sulla grande porta di ingresso, comparve il caratteristico cartello di cartone con la scritta affittasi”. Quell’edificio a via Coroglio 156 sarebbe stata la “testa di ponte in vista del nostro programmato sbarco in quella terra di fuoco e di memorie”. Bastarda ironia delle parole, ora sono proprio le fiamme appiccate da una “mano criminale” (come denuncia il sindaco de Magistris) a lasciare in dote altre memorie, ricordi di un nuovo incubo da metabolizzare.

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?

La prima reazione è stata di sconforto. Ci ho messo un po’ a metabolizzare non tanto la notizia in sé, il fatto, quanto la visione di quel rogo. Poi però ho cominciato a pensare in positivo. Città della Scienza nascerà, dovrà nascere con strutture ancora più belle. Quel che vedevo bruciare erano solo le mura di quello che per noi è stato un grande progetto, andava in fumo qualche strumento più o meno sofisticato, ma la ricchezza del sogno e dell’utopia di Città della Scienza rimane. Non ne hanno intaccato l’essenza. Un incendio sospetto.

Che idea s’è fatta?

Non ho un’idea precisa, tutt’altro. Però una semplice considerazione mi permetto di farla: la decisione del Comune di fare il porto nel golfo di Bagnoli apre una prospettiva in cui Città della Scienza potrebbe dare più noia che altro. Bagnoli è l’eterna terra promessa di questa città.

Voi avete dimostrato che anche qui è possibile ottenere dei risultati

In verità quello che abbiamo fatto negli ultimi vent’anni è rimasta un’eccezione, un’isola circondata da un deserto. Non è facile lavorare così, le istituzioni ci hanno fatto sentire soli. Credo che oggi stiamo vivendo una fase molto delicata, un momento in cui il passato è squallido, il presente è squallido e il futuro è protesta. Ma siamo vicini al momento in cui quel futuro diventa progetto.

Oggi si moltiplicano le testimoniane di affetto, Ma ieri?

Ieri eravamo trascurati, vivevamo nell’incertezza. Abbiamo crediti esigibili nei confronti dello Stato di più di 7 milioni di euro. Abbiamo sempre chiuso i bilanci in pareggio, abbiamo sempre mostrato di sapere amministrare e molto probabilmente saremmo stati costretti a chiudere. I nostri dipendenti non prendono lo stipendio da dieci mesi, e alle porte abbiamo fornitori che piangono.

Cosa chiedete alla Regione?

Semplicemente di onorare i debiti che hanno nei nostri confronti. Mentre, in positivo, chiediamo di finire “Corporea”. I finanziamenti per il nuovo padiglione ci sono, ma bloccati da due anni e mezzo. Mancano solo otto mesi di lavoro. Entro l’anno potrebbe essere inaugurato. Sarebbe bellissimo se riuscissimo a festeggiare il prossimo Futuro remoto insieme all’inaugurazione di Corporea

Come sarà la nuova Città della scienza?

Dovrà essere diversa da com’era. Mi interrogo se valga la pena di fare un concorso internazionale per far venire idee totalmente diverse. Dovrà essere una struttura futuribile eppure pregna di passato, dovrà portare con sé le cicatrici dello scempio che è stato fatto. 

Cosa l’ha fatta soffrire di più?

L’inevitabile perdita dello spirito dei luoghi. Le mura che sono bruciate non sono mura qualunque. Erano mura che avevano una memoria, una loro bellezza e un loro fascino. Le cose muoiono.

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