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Il rischio, probabilmente...

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Solo dal 2009 ad oggi si contano in Italia più di 10 eventi critici, con un bilancio di oltre 70 morti e danni alle infrastrutture dell’ordine delle centinaia di milioni di euro. Dal futuro, per effetto degli impatti del cambiamento climatico, ci si dovrà aspettare probabilmente un aumento della frequenza e dell’intensità di questi eventi che non sarà neanche più scontato definire “estremi”, se per estremo s’intende “fuori dalla norma”. 
Cosa vuol dire “probabilmente” per la scienza? Siamo abituati ad usare questo avverbio nel linguaggio comune ogni volta che valutiamo la possibilità che si verifichi un ipotetico scenario di vita quotidiana, ma alla scienza chiediamo solitamente certezze che risolvano i nostri problemi e ci esonerino dal compiere delle scelte.

Incertezza e probabilità

Se si parla di eventi meteorologici, di rischi naturali e di proiezioni climatiche bisogna imparare subito che non si può prescindere dai concetti di incertezza e probabilità, per quanto sgraditi e ostici per la maggior parte delle persone. Ma è più utile una falsa certezza o un’informazione in probabilità che può diventare un supporto efficace per decidere quali azioni adottare, a livello personale e come comunità, nel preannuncio di un rischio?
Una quota variabile di incertezza caratterizza tutti i passaggi del sistema di allertamento, che è la struttura a rete (nazionale e locale) preposta a prevedere, monitorare e gestire gli eventi avversi. A innescare il meccanismo della catena di allertamento per gli eventi meteo estremi è la previsione meteorologica, che riesce a individuare, con un margine temporale e spaziale molto variabile a seconda dell’evento, l’approssimarsi di un fenomeno atmosferico intenso o violento che potrebbe avere ricadute disastrose sul territorio e sui sistemi sociali fortemente antropizzati.

Lo stato dell’arte della meteorologia (che per chi non lo ricordasse è una scienza) indica che non è ancora possibile, e forse non lo sarà mai, prevedere con esattezza i dettagli dei sistemi convettivi (per es. i sistemi V-shape responsabili di molti nubifragi) che sempre più spesso potranno minacciare le nostre città. Pur essendo possibile prevedere con qualche giorno d’anticipo le condizioni a grande scala favorevoli all’insorgenza di questi sistemi convettivi, il loro corretto posizionamento, la tempistica e l’intensità del fenomeno rimangono incerti e la “prognosi” si scioglie solo ad evento già in corso.

Insidiose percentuali

L’incertezza è intrinseca alle dinamiche dell’atmosfera, che si possono descrivere più o meno accuratamente con i modelli meteorologici, e non si può azzerare neanche disponendo di un modello perfetto, per il solo fatto che le condizioni iniziali da cui parte la sua previsione sono inevitabilmente affette da errori, quantomeno di misura, che nel tempo si amplificano contaminando il buon esito della previsione. Si avranno quindi previsioni più o meno affidabili, a volte prossime al 100% di attendibilità (ma questo, purtroppo, accade in pochi casi) e qualche volta molto più vicine all’altro estremo, con probabilità di accadimento ad esempio del 10%. Ma se non si definisce con chiarezza a monte, prima tra gli stessi previsori e poi verso l’utenza, cosa significa quella percentuale associata a una previsione, aggiungere quei numeri non servirà a trasformare una previsione “inutile” deterministica (l’evento si verificherà/l’evento non si verificherà) in una “utile” probabilistica. Se un’informazione in percentuale non è usabile, ovvero non aiuta a stimare l’incertezza, anche solo perché non è ben compresa dall’utente, può diventare più fuorviante della falsa certezza, come tutti i messaggi ambigui che lasciano molto spazio all’interpretazione e alla deformazione soggettiva. 

Una lingua adatta al pubblico

Ci sono due aspetti riferiti all’usabilità che richiedono un’analisi attenta:

  • che tipo di informazioni probabilistiche servono davvero all’utente, con le dovute distinzioni tra pubblico generico e decisore politico;
  • quanto chiari e univoci sono i messaggi espressi in probabilità.

Per il primo punto si deve necessariamente ricorrere alla ricerca sociale, allo scambio diretto con chi deve recepire e gestire l’informazione. In America, dove non c’è snobismo tra le diverse scienze e tra la scienza e la società; si sono già sviluppati dei progetti per “l’implementazione strategica nel produrre e comunicare informazioni previsionali incerte”, che coinvolgono soggetti del mondo delle imprese, meteorologi e idrologi, economisti, sociologi, esperti di comunicazione. Questo approccio trasversale sembra prestarsi molto bene a sciogliere i nodi critici dei rapporti tra scienza e società, perché favorisce il dialogo e la comprensione reciproca. 
Definire la chiarezza di un messaggio probabilistico non è completamente slegato dal primo punto, perché ovviamente implica anche il processo di decodifica da parte del destinatario. Ma richiede una riflessione soprattutto sul codice e sul linguaggio, non solo verbale, usato per comunicare. Una soluzione proposta è una scala che associ a ogni termine la probabilità di occorrenza (es. IPPC Likelihood scale), permettendo una semplice conversione. Stesso discorso vale per le rappresentazioni grafiche di una previsione, che dovrebbero fornire indicazioni precise e non ambigue servendosi di simboli, numeri e colori.

Verso una cultura condivisa del rischio

Facendo finta che il “sistema della probabilità” funzioni fino a qui in maniera ottimale, viene spontaneo chiedersi cosa può fare chi riceve ed è in grado di interpretare correttamente queste informazioni incerte. Se siamo nel contesto di un probabile evento estremo, rimarrà da capire cosa deve fare ciascuno dopo aver stimato in modo realistico e scientificamente corretto il rischio che sta per correre. Il passo successivo necessario è calare nel mondo reale delle persone, dei beni e delle infrastrutture, i concetti scientifici teoricamente ineccepibili. Cosa fa il sindaco di Genova (per citarne uno) se sa che c’è il 30% di probabilità che cadano 300 mm di pioggia in poche ore su una zona della città non ben definita? E cosa fa il sig. Bianchi se ha avuto anche lui la stessa informazione? È evidente che la stessa previsione in probabilità assumerà significati molto diversi per i due, considerato il diverso rapporto costo/beneficio associato allo spettro delle possibili azioni di contrasto. 
Sono cioè chiamati entrambi, con responsabilità diverse, a prendere delle decisioni che portino alla minimizzazione del rischio. E questo vuol dire che devono sapere quali sono le azioni da compiere, che devono essere in condizione di scegliere tra ipotetici scenari alternativi ed essere allenati a fare queste scelte. Tutto ciò rientra nella preparazione preventiva e nella diffusione della “cultura del rischio” in tempo di pace, quando la situazione di normalità permette al sistema di assimilare e metabolizzare la fase educativa.
Ed è proprio in questa quiescenza del rischio, che coincide con la normalità, che si deve lavorare per trasferire tutta la portata dell’incertezza legata agli eventi estremi, che parte dall’incertezza previsionale ma si propaga fino a valle e, per quanto possa sembrare strano, è sempre ingrediente della vita quotidiana. Quello su cui è indispensabile lavorare è rendere rilevante e utile la quantificazione di questa incertezza, che i profani spesso scambiano per imprecisione della scienza o disonestà, semplicemente perché non possono capirla. E allora si deve provare a cambiare il linguaggio, magari sostituendo la probabilità con una frequenza di occorrenza, che forse è un concetto più abbordabile (il nubifragio previsto si verificherà 6 volte su 10); sostituendo i numeri, dov’è possibile, con immagini più concrete, paragonando la previsione con qualcosa che è già stato in qualche modo osservato e sperimentato. 

Insomma, serve la volontà scientifica di farsi capire, la volontà mediatica di trasferire informazioni oneste, la volontà politica e accademica di sviluppare programmi educativi e formativi e la volontà della gente di voler capire e di non pretendere o cercare certezze che non esistono.


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