#LLL# Corolla spectabilis
#LLL# Pilumnus inermis
#LLL# Errina aspera
#LLL# Ophiactis balli
#LLL# Portunus pelagicus
#LLL# Albunea carabus
#LLL# Chauliodus sloani
#LLL# Argyropelecus hem.
#LLL# Antipathes subpinn.
#LLL# Cetorhinus maximus
#LLL# Myliobatis aquila
Sebbene il Mediterraneo rappresenti soltanto lo 0,8% della superficie marina dell'Oceano mondiale, la sua biodiversità risulta straordinariamente elevata, soprattutto nelle acque dello Stretto di Messina. L'intenso idrodinamismo, la bassa temperatura e l'abbondanza di sali di azoto e fosforo rendono queste acque simili a quelle atlantiche. Per tale motivo numerose specie, tipicamente atlantiche come le Laminarie (grandi alghe brune), sembrano trovare proprio in questo ambiente esclusivo rifugio. Lo Stretto di Messina, in funzione della sua particolare posizione di confine fra i due bacini occidentale e orientale del Mediterraneo, è un eccezionale punto di osservazione per i flussi migratori delle specie che percorrono i due bacini. Nel suo areale, infatti, convergono o transitano moltissime comunità planctoniche, anche di lontana origine, come il gasteropode Corolla spectabilis (farfalla di mare), il crostaceo decapode Pilumnus inermis, una delle specie più rilevanti nell'associazione dell’idrocorallo Errina aspera, la piccola ofiura Ophiactis balli, la rara oloturia Ocnus petiti e i crostacei Parthenope expansa e Portunus pelagicus.
Un caso particolare è il crostaceo Albunea carabus che, pur essendo un elemento di origine calda (ospite senegalese), estende il suo areale dal Canale di Sicilia (dove l'influenza atlantica è molto marcata) al bacino occidentale. Non mancano sicuramente all’appello, la numerosa e varia fauna batipelagica (chiamata fauna abissale) rappresentata dal «pesce vipera» (Chauliodus sloani) «l’Ascia d’argento» (Argyropelecus hemigymnus) e nelle acque antistanti Scilla i celenterati attinie, madrepore e coralli.
Speciale menzione merita poi la presenza, subito a nord del promontorio di Scilla, di grandi colonie di corallo nero del Mediterraneo (Antipathes subpinnata), delle vere e proprie foreste fra le più estese al mondo. Mentre, lungo le coste calabresi tra San Lorenzo e Ferruzzano, nidifica la tartaruga marina Carretta carretta.
Nelle acque calabresi non è raro identificare specie a rischio di pesci cartilaginei, come squali del Mediterraneo e razze, che spesso costituiscono un’importante frazione delle catture accessorie (by-catch) della pesca professionale. La percentuale di riduzione dei grandi predatori ha superato negli ultimi due secoli il 97%. Un fenomeno di notevole interesse scientifico visto che la presenza degli squali, definiti «top predator», è considerata fondamentale per il mantenimento degli equilibri marini. Recentemente è anche stato catturato un baby esemplare di Cetorhinus maximus (squalo elefante). Un evento straordinario, sia perché prima testimonianza registrata lungo il versante ionico della Calabria, sia perché la presenza di un piccolo conferma che il Mediterraneo non è solo area di alimentazione ma anche zona di riproduzione per questo animale. Qui si concentrano infatti lo squalo elefante e martello (Sphyrna sp.), l’aquila di mare (Myliobatis aquila), il pesce vacca (Hexanchus griseus) e la verdesca (Prionace glauca).
Ma come preservare allora questo paradiso?
Attraverso strategie di tutela e conservazione delle specie autoctone ed endemiche. Lo studio della biodiversità marina, sottovalutato per troppo tempo, negli ultimi anni si è particolarmente intensificato per sviluppare interventi di tutela sia degli habitat sia degli organismi a rischio estinzione o in condizioni di precario equilibrio.
Allo stato attuale, frequenti episodi di depauperamento ambientale stanno provocando la perdita di alcune particolarità biologiche, soprattutto di quegli organismi che si trovano ai vertici della piramide alimentare, quali cetacei, pesci cartilaginei, tartarughe, solo per citarne alcuni.
L’eccessivo sfruttamento della fascia costiera provoca una condizione inevitabile di alterazione dell’ecosistema marino, soprattutto della piattaforma continentale. E a incrementare i delicati equilibri ecologici dell’ecosistema, anche i catastrofici eventi naturali di infangamento delle acque marine costiere, con squilibri spesso irreversibili. Una corretta politica di tutela del mare deve necessariamente essere integrata da una corretta gestione della difesa del suolo.
E per poter comprendere il funzionamento dell'ecosistema marino, la sua risposta ai cambiamenti naturali e a quelli indotti dalle attività umane, è nato un centro di eccellenza per lo studio della biodiversità marina a Catona, in provincia di Reggio Calabria, nella sede regionale denominata ex-Ciapi. Grazie ad un Accordo di programma tra Regione Calabria e Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (Iamc-Cnr) di Messina, Università Mediterranea di Reggio Calabria, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), e Università di Siena, Calabria, Cagliari, il Centro coordinerà tutti i progetti scientifici mirati alla tutela della biodiversità marina.
I ricercatori dell’Iamc-Cnr di Messina saranno coinvolti in studi di monitoraggio ambientale con particolare riferimento al censimento e alla tutela delle specie animali e vegetali che popolano le acque marine della zona. Le attività di ricerca saranno principalmente orientate alla valutazione del tasso di perdita della biodiversità, all’identificazione e quantificazione di specie alloctone non mediterranee (specie aliene), all’identificazione dei principali fattori di minaccia della biodiversità e all’elaborazione di strategie di conservazione delle specie autoctone e degli habitat sensibili presenti: dalle risorse marine rinnovabili (selettività degli attrezzi, salvaguardia delle taglie minime, controllo della pesca illegale sottocosta ecc.), al censimento delle specie che costituiscono il by-catch (catture accessorie prive di valore economico) della pesca professionale, fino alla realizzazione di una banca dati georeferenziata di tutte le specie animali e vegetali e l’individuazione di biocenosi costiere di particolare interesse ambientale.
L’elemento di forza sarà la sinergia tra il mondo della ricerca e le Amministrazioni locali che potranno attuare misure tecniche di conservazione sulla base di dati scientifici.
Paola Rinelli
Primo Ricercatore presso l’Istituto Ambiente Marino Costiero del CNR, Sezione di Messina