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Vaccino anti Covid-19, il paradosso regolatorio

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A settembre, nove aziende farmaceutiche si sono rifiutate di licenziare un vaccino anti-SARS-CoV-2 prima che siano disponibili i risultati di studi clinici adeguati. Simonetta Pagliani ripercorre qui le scelte fatte finora dall'FDA e gli aspetti del nuovo, auspicato vaccino che preoccupano le aziende farmaceutiche.

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Nel settore farmaceutico, la data dell’8 settembre 2020, nella quale nove industrie farmaceutiche hanno siglato l’impegno a rifiutarsi di licenziare un vaccino anti-coronavirus prima che siano disponibili i risultati di studi clinici adeguati, marcherà la rivoluzione che ha, di fatto, ribaltato l’usuale “pressione industriale vs resistenza delle agenzie regolatorie”. Lo hanno subito rilevato, sulle pagine del New England Journal of Medicine, Jerry Avorn e Aaron Kesselheim, che partecipano al programma “Regulation, Therapeutics and Law” della divisione di Farmacologia della Harvard Medical School di Boston.

FDA, endpoint primari e secondari del vaccino anti Covid-19

Prima che Trump decidesse di usare la vaccinazione anti Covid-19 come viatico del suo secondo trionfo elettorale, la Food and Drug Administration (FDA), un ente governativo dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America, era nota per il suo rigore nell'approvazione dei prodotti alimentari e farmaceutici: l’iter di produzione di un nuovo farmaco (o vaccino), cominciava dalla presentazione dei risultati di non tossicità negli studi sugli animali e di un piano di test sulle persone, perché la FDA richiedeva all'azienda di dimostrare (fase 1 e fase 2) che il farmaco fosse sicuro per i soggetti umani (monitorando tutti gli effetti inaspettati o meno, conseguenti l'assunzione del farmaco) e poi, e solo a questo patto, che fosse efficace nel combattere la malattia o nell’impedirla, nel caso di un vaccino (fase 3).

Le prove dovevano provenire da studi clinici con caratteristiche standardizzate (trial), per i quali l’azienda stabiliva un endpoint primario (esito, risultato principale) e, eventualmente, esiti secondari. Da sempre, per l’FDA, l'endpoint primario è stato l'unico risultato che abbia avuto importanza affinché lo studio potesse essere definito di successo o meno; strettamente correlata a questo esito era la definizione del numero di partecipanti necessari a testarlo. Gli endpoint secondari erano pensati per esaminare gli altri possibili effetti che ci si augurava derivassero dal farmaco ma, per l’FDA, l’ottenimento di un endpoint secondario non era sufficiente, da solo, a definire il successo dello studio.

Per quanto riguarda il vaccino anti-Covid mRna-1273, sviluppato dall'azienda statunitense Moderna e dal NIAID (National Institute of Allergy and Infectious Diseases, parte dei National Institutes of Health e diretto da Anthony Fauci), lo studio clinico di fase 3, iniziato alla fine di luglio su 30.000 persone, ha posto come endpoint primario la prevenzione della malattia da Covid-19 sintomatica; gli endpoint secondari 'chiave' includono la prevenzione di Covid-19 grave (definita dalla necessità di ricovero in ospedale) e la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2.

Secondo la casa produttrice, se i dati della fase 3 fossero positivi, il prodotto potrebbe esordire sul mercato nel primo semestre 2021. La stima è ancora ottimistica: la fase 3 di un trial è necessariamente numerosa, costosa e lunga, perché moltissimi partecipanti, non tutti in partenza sani, devono essere monitorati per lunghi periodi al fine di provare l’efficacia del farmaco (endpoint primario), mentre sulla sua sicurezza continuerà a vigilare la sorveglianza post commercializzazione.

Vantaggi poteziali: da provare

Alla fine di giugno, l’FDA aveva stabilito che poteva essere approvato un vaccino anti Covid-19 che dimostrasse di ridurre almeno del 50% rispetto al placebo l’incidenza o la gravità dell’infezione, ma è difficile che entro ottobre si possa raggiungere la significatività statistica di un risultato così ambizioso. Così, l’FDA ha abbassato l’asticella, decidendo di accettare, in via sempre emergenziale, un vaccino la cui protezione contro SARS-CoV-2 sia suggerita da cambiamenti di esiti surrogati, come, per esempio, i livelli di anticorpi, risultato che si può ottenere in tempo per l’election day.

D’altra parte, i precedenti di una malleabilità politica dell’inderogabilità scientifica non mancano: molti farmaci, su pressioni di case farmaceutiche o di associazioni di pazienti (interpretate dal Congresso) sono stati approvati sulla base di esiti surrogati, di laboratorio o di imaging, senza aver dimostrato di cambiare la qualità o la durata della vita dei pazienti. Di questi tempi, come si è visto, il commissario straordinario dell’FDA preposto ai provvedimenti emergenza può, senza nemmeno consultare il suo staff scientifico, emettere il verdetto che il tal farmaco ha “vantaggi potenziali che superano i potenziali rischi”.

Nel caso del vaccino anti Covid-19, tale potenzialità è tutta da provare: non è nemmeno noto quale sia il titolo anticorpale protettivo cui fare riferimento, dato che l’epidemia è ancora nuova, e nemmeno di quale tipo di anticorpi si stia parlando. E resta, comunque, il dilemma chiave, messo in luce anche dalla definizione degli endpoint di Moderna: se pure un tale vaccino proteggesse chi s’infetta dallo sviluppare una malattia grave, gli impedirebbe di trasmettere ad altri l’infezione?

La “ribellione” delle case farmaceutiche è chiaramente dettata dalla preoccupazione che una mossa sbagliata sull’anticipo del vaccino potrebbe dare il colpo di grazia alla propensione del pubblico a vaccinarsi in generale, con ingenti perdite sulle vendite e dal timore del “non c’è due senza tre” dopo i fiaschi dell’FDA che ha autorizzato con provvedimento di emergenza (EUA) l’idrossiclorochina e il plasma di convalescenti. Negli Stati Uniti, enti e servizi federali e statali stanno prevaricandosi a vicenda con il beneplacito, quando non l’istigazione, dell’amministrazione di Trump; non è che i cittadini non l’abbiano capito, a stare ai sondaggi, ma più della metà degli intervistati ha ancora fiducia che, per la salute, vengano prese decisioni scientifiche e non politiche: “In FDA we trust”.

Che si dice ad Amsterdam?

A fronte dei molti annunci di distribuzione di un vaccino entro l’anno, alla sede dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) non è arrivata nessuna richiesta di attivazione della procedura velocizzata di valutazione, per anticipare i tempi d’immissione in commercio, da parte delle aziende giunte alla fase finale della sperimentazione.

Guido Rasi, direttore esecutivo dell'EMA, ha dichiarato di non avere sul tavolo dati attendibili di un rapporto rischio-beneficio di un vaccino favorevole nelle attuali circostanze epidemiche. Alcuni vaccini sono in fase 2 sull’uomo e che quello di AstraZeneca e Università di Oxford è in fase 3 allargata; i risultati attesi dalla sperimentazione del vaccino Oxford sono una forte risposta immunitaria e una produzione importante di linfociti del tipo T e Th1, la cui funzione è quella di attivare i macrofagi per l’uccisione dei microbi. Anche se molto è ancora da capire circa la durata e la protezione conferita dalla risposta immunitaria dei linfociti T e B, l’EMA si spinge a ipotizzare che, nel caso migliore, le prime dosi potrebbero essere somministrate a inizio 2021.

 


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