Viaggi intercontinentali o più brevi, migrazioni parziali o obbligate sono raccontate in "Senza confini. Le straordinarie storie degli animali migratori", di Francesca Buoninconti, vincitore del Premio Biblioteche di Roma per la saggistica. Ma tutti i migratori, dal piccolo culbianco alla grande balena franca, devono fronteggiare i disturbi posti dalla nostra specie e i cambiamenti climatici. La recensione di Laura Scillitani
Nell'immagine: riscaldamento globale e attività antropiche stanno mettendo a dura prova le renne norvegesi, le cui migrazioni stagionali si sono pesantemente ridotte. Crediti: Arne Nyaas/Pixabay. Licenza: Pixabay License
Ci sono animali che fermi in un posto per tutta la vita non possono proprio restare: sono i migratori. Anno dopo anno si spostano nell’aria, per terra, per acque, sopportando la fatica, affrontando condizioni climatiche avverse, spesso ignorando la fame. La loro esistenza è il viaggio stesso.
Il libro “Senza confini” di Francesca Buoninconti (Codice edizioni, 2019), trascina il lettore in un affascinante viaggio in compagnia delle specie migratrici. Capita così, tra le pagine, di ritrovarsi in volo sopra l’oceano Atlantico di fianco al piccolo culbianco (un uccello che pesa circa 25 grammi e che percorre ogni anno più di 30.000 km), o di sorvolare l’Himalaya a fianco della farfalla Catopsila pomona o ancora di attraversare il fiume Mara, denso di pericolosi predatori, insieme agli gnu. Il libro offre un’attenta panoramica, aggiornata con le più recenti scoperte scientifiche, di tutti i tipi di migrazioni, a corto e a lungo raggio, di uccelli, pesci, insetti, mammiferi e anfibi. Dopo questa lettura, non guarderete più il pettirosso del giardino di casa allo stesso modo, e vi chiederete quale sia il significato dei confini geografici.
Il mistero delle migrazioni
I più famosi migratori sono sicuramente gli uccelli, le cui cicliche apparizioni e scomparse hanno destato curiosità da sempre. Aristotele ipotizzava che le rondini all’arrivo dell’autunno si posassero nei canneti e si trasformassero in rane. Dopo un inverno trascorso placidamente nelle acque dei laghi, recuperavano le piume lucenti col sole della primavera, per tornare a volare in stormi nei cieli.
La migrazione degli uccelli è stata a lungo un mistero, fino a quando, nel 1890, il danese Hans Christian Mortensen, giovane preside di un liceo e appassionato di ornitologia, tentò di comprendere gli spostamenti degli storni applicando sulle zampe piccoli anelli di zinco su cui aveva inciso data e luogo. Inventò così l’inanellamento, una tecnica che è andata sempre più affinandosi nel tempo, consentendo, grazie alla collaborazione internazionale di ornitologi e appassionati, di ricostruire gli spostamenti degli uccelli. All’inanellamento si sono poi aggiunte nel tempo altre tecniche, tra cui l’utilizzo di appositi radar e di GPS applicati agli animali.
Un navigatore naturale
I migratori sanno come raggiungere la loro destinazione e percorrono rotte abitudinarie. Per orientarsi possono contare sui loro sensi, riccamente descritti da Buoninconti nel suo libro. Molte specie di uccelli diurne usano una bussola solare, ovvero mantengono una direzione costante in base alla posizione del sole. I migratori notturni invece fanno affidamento sulla volta celeste per orientarsi. In entrambi i casi non mancano i riferimenti visivi che servono a confermare l’esattezza del percorso: possono essere montagne, corsi d’acqua, ma anche strutture artificiali come strade e agglomerati urbani.
Diversi migratori possiedono la capacità di percepire il campo magnetico. Ad esempio, le specie migratrici di pipistrello hanno una sorta di “bussola incorporata” (alcune cellule del sistema nervoso centrale contengono magnetite) che i pipistrelli “calibrano” grazie alla capacità di leggere la luce polarizzata. Anche le tartarughe sono in grado di leggere il campo magnetico terrestre rilavandone l’intensità.
Per altri, il tragitto è indicato dagli odori. È il caso degli gnu, le cui ghiandole odorifere, presenti negli zoccoli anteriori, rilasciano un secreto oleoso che consente alle mandrie di viaggiare compatte verso la destinazione. Le balene franche, invece, preferiscono il suono: comunicano costantemente durante il viaggio con i loro canti.
Perché partire
“Si viaggia perché i benefici derivanti dall’arrivo a destinazione superano i costi”, scrive Buoninconti. Sono tante le ragioni che portano i migratori a partire. Molti si spostano per raggiungere i luoghi che hanno le condizioni migliori per la riproduzione, come fanno i salmoni che dal mare risalgono i fiumi e le tartarughe che tornano alla spiaggia natia. In altri casi gli animali si spostano per seguire le stagioni: se si fermassero in un posto non troverebbero per tutto l’anno le condizioni ideali per la propria sussistenza.
Esistono inoltre migratori obbligati e migratori parziali. Nel primo caso la migrazione è fondamentale per la sopravvivenza, ed è quindi una caratteristica comune a tutti gli individui; nel secondo invece non tutti migrano: alcuni diventano stanziali e si stabiliscono in un posto. Sebbene la migrazione abbia una componente istintiva e geneticamente programmata, infatti, gli animali possono modificare il loro tragitto in base all’esperienze acquisite e agli stimoli esterni, come la variabilità ambientale.
I confini dell’essere umano
Come viene più volte menzionato da Buoninconti, molte sono le migrazioni che sono in declino o scomparse a causa dell’azione antropica. Le cause principali sono la perdita di habitat idonei, la creazione di barriere, la caccia e la pesca intensive. Gli ostacoli che impediscono ai migratori di proseguire il loro viaggio possono essere barriere fisiche, come strade, ferrovie, recinzioni, dighe. Ad esempio, la migrazione delle zebre di Burchell tra la Namibia e il Botswana fu interrotta tra il 1968 e il 2004 a causa di un recinto eretto per il bestiame.
Le barriere però possono assumere anche forme più inusuali, come l’inquinamento luminoso che disorienta i migratori notturni. Il Tribute in light, installazione luminosa di commemorazione delle torri gemelle ha un effetto disorientante sugli uccelli migratori che sorvolano New York, li costringe a girare in cerchio e a rallentare.
Ancora, le rotte migratorie possono essere interrotte o deviate a causa del cosiddetto disturbo antropico. «Gli insediamenti umani e le attività turistiche rappresentano una vera e propria barriera, invisibile per l’uomo ma concreta per gli animali», spiega Manuela Panzacchi, ricercatrice presso l'Istituto norvegese per la ricerca sulla natura (NINA), esperta di ecologia comportamentale e conservazione dei grandi mammiferi che da dieci anni studia le migrazioni delle renne selvatiche in Norvegia. «Una delle rotte di migrazione che stiamo monitorando negli ultimi dieci anni si sta sempre più riducendo a causa dell’aumento delle attività turistiche», continua.
Il gruppo di ricerca sta mettendo a punto dei modelli che permettono di capire la funzionalità degli habitat per le specie migratrici, considerando l’effetto cumulativo delle barriere fisiche e delle attività umane che disturbano gli animali.
«Tradizionalmente le renne migravano verso la costa nel periodo estivo e poi tornavano nell’entroterra durante l’inverno. Fino alla rivoluzione industriale c’erano almeno tre grosse popolazioni che migravano per lunghe distanze, poi le rotte si sono progressivamente ridotte fino a scomparire. Oggi in Norvegia è rimasta una migrazione, intesa come spostamento tra due aree che non si sovrappongono», spiega Panzacchi. «Se la migrazione viene spezzata gli animali si distribuiscono in popolazioni più piccole e isolate. A volte questo vuol dire che restano bloccate in ambienti sbagliati dove sono più soggette a eventi climatici estremi, come è accaduto pochi anni fa a una popolazione rimasta tutto l’anno nell’area estiva, che d’inverno è inospitale per via delle abbondanti precipitazioni nevose. Sono morti trecentocinquanta animali travolti dalle valanghe», racconta Panzacchi. È un numero impressionante se si considera che l’intera popolazione contava appena cinquecento individui.
Migrare ai tempi dei cambiamenti climatici
I migratori devono inoltre fare i conti con i cambiamenti climatici. Le temperature cambiano e ridefiniscono le stagioni, e questo comporta uno sfasamento nelle tempistiche della migrazione. Molte specie di uccelli hanno anticipato la nidificazione, il clima mite induce a posticipare la partenza in autunno. Le specie che non riescono a adattarsi alle modifiche ambientali dovute ai cambiamenti climatici sono in declino. Cambiare le rotte di migrazione o anticiparle comporta un maggior dispendio energetico, non sostenibile.
L’innalzamento delle temperature causa una perdita di habitat idonei, ad esempio con il discioglimento dei ghiacci cambia la concentrazione del krill, e al loro arrivo nelle acque antartiche le megattere non trovano abbastanza cibo. A causa dell’aumento delle temperature gli inverni diventano più miti, minacciando la sopravvivenza delle specie adattate a climi freddi. «In Norvegia sono aumentate le precipitazioni piovose a discapito di quelle nevose», racconta Panzacchi. «Cadendo a terra, però, la neve diventa ghiaccio e forma uno strato impenetrabile. Le renne non riescono quindi più a scavare per nutrirsi dei licheni. Questo sta causando delle morie di massa. Inoltre, stiamo osservando delle infezioni alle zampe, causate dal terreno umido, cui le renne non sono adattate. In più stanno aumentando gli insetti parassiti. Un tempo le renne potevano ovviare ai problemi spostandosi, ma a causa della perdita delle migrazioni restano isolate in ambienti sfavorevoli».
Il futuro: proteggere le migrazioni
Come conclude Buoninconti “la conservazione dei migratori pone sfide scientifiche e politiche importanti”. Proprio a febbraio 2020 si sta svolgendo in India la Conferenza delle Parti (COP13) della Convenzione sulle specie migratrici (Cbd, anche detta convenzione di Bonn), un trattato intergovernativo che include 114 partner mondiali, concluso sotto l'egida dell’UNEP, il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite. Scopo della convenzione è la tutela delle specie migratrici, attraverso la salvaguardia e il ripristino degli ambienti in cui vivono e la mitigazione degli ostacoli. “Le specie migratrici connettono il pianeta e insieme gli diamo il benvenuto a casa”: questo il tema dalla COP13 della Cbd, che vede riuniti insieme scienziati, tecnici, Ong e delegati politici.
Nella settimana verranno definiti i nuovi accordi per la tutela dei migratori e delle loro rotte. Perché una strategia a vasta scala funzioni è importante creare una rete ecologica che connetta le aree idonee per le specie. Per fare questo è necessaria una collaborazione internazionale che vada al di là delle frontiere, perché i migratori, lo sappiamo, vivono “senza confini”.